L’evangelizzazione del Giappone ebbe inizio con il gesuita s. Francesco Saverio (1506-1552) e con i suoi confratelli; si sviluppò con ottimi risultati nei decenni successivi, tanto che nel 1587 i cattolici giapponesi erano circa 300.000. Ma proprio nel 1587 lo ‘shogun’ (maresciallo della corona) Hideyoshi, che fino allora era stato condiscendente verso i cattolici, emanò un decreto di espulsione contro i Gesuiti (allora unico Ordine religioso presente nel Giappone) per alcune ragioni non chiarite. Il decreto fu in parte eseguito, ma la maggior parte dei Gesuiti rimase nel paese, mettendo in atto una strategia di prudenza, in silenzio, continuando con cautela l’opera evangelizzatrice.
A seguito di questa espulsione, i Frati Minori chiesero l’autorizzazione di poter sostituire i Gesuiti e quattro di essi sbarcarono presentandosi alle autorità come ambasciatori e agenti commerciali delle Filippine; solo dopo più di un anno, praticamente confinati in una casupola fra sofferenze e incomprensioni, ebbero il permesso di residenza dallo shogun.
Tutto questo fino al 1593, quando per la mancanza di prudenza degli stessi Frati Francescani, che iniziarono una predicazione aperta e pubblica, si ebbe la reazione dello ‘shogun’ Hideyoshi, che emanò l’ordine di imprigionare i francescani. I primi arresti furono eseguiti il 9 dicembre 1596 e i 26 arrestati, fra cui tre gesuiti giapponesi e i sei francescani: Pietro Battista Blazquez, Martino dell’Ascensione, Francesco Blanco, Filippo di Las Casas, Francesco di S. Michele, Gonsalvo García.
Subirono il martirio il 5 febbraio 1597: furono crocifissi e trafitti nella zona di Nagasaki, che prese poi il nome di “santa collina”. Subentrato un periodo di tregua, la comunità cattolica aumentò, anche per l’arrivo di altri missionari, non solo gesuiti e francescani ma anche domenicani e agostiniani.
Ma nel 1614 la numerosa comunità cattolica subì una furiosa persecuzione decretata dallo shogun Ieyasu, che si prolungò per alcuni decenni distruggendo quasi completamente la comunità in Giappone, causando moltissimi martiri. I motivi che portarono a questa lunga e sanguinosa persecuzione, furono vari, a partire dalla gelosia dei bonzi buddisti che minacciavano la vendetta dei loro dei.
Dal 1617 al 1632 la persecuzione toccò il picco più alto di vittime; i supplizi secondo lo stile orientale, furono vari e raffinati, non risparmiando nemmeno i bambini; i martiri appartenevano ad ogni condizione sociale, dai missionari e catechisti, ai nobili di famiglia reale; da ricche matrone a giovani vergini; da vecchi a bambini; dai padri di famiglia ai sacerdoti giapponesi.
La maggior parte di loro furono legati ad un palo e bruciati a fuoco lento, cosicché la “santa collina” di Nagasaki fu illuminata sinistramente dalla teoria di torce umane per parecchie sere e notti.
Oltre i primi 26 santi martiri del 1597 già citati, la Chiesa raccogliendo testimonianze poté riconoscere la validità del martirio per almeno 205 vittime, fra le migliaia che persero la vita anonimamente e papa Pio IX il 7 luglio 1867 poté proclamarli beati.

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