vide in visione
tutti i frati Minori del mondo,
in visione di uno arbore,
e conobbe la virtù e li meriti
e li vizi di ciascuno.
Frate Iacopo della Massa, al quale Iddio aperse l’uscio delli suoi segreti e diedegli perfetta scienza e intelligenza della divina Scrittura e delle cose future, fu di tanta santità, che frate Egidio da Sciesi e frate Marco da Montino e frate Ginepro e frate Lucido dissono di lui che non ne conoscieno nessuno nel mondo appo Dio maggiore che questo frate Iacopo.
Io gli ebbi grande desiderio di vederlo, imperò che pregando io frate Giovanni, compagno del detto frate Egidio, che mi dichiarasse certe cose di spirito, egli mi disse.
«Se tu vuogli essere bene informato nella vita spirituale, procaccia di parlare con frate Iacopo della Massa, imperò che frate Egidio disiderava di essere alluminato da lui, e alle sue parole non si può aggiugnere né scemare imperò che la mente sua è passata a’segreti celestiali e le parole sue sono parole dello Spirito Santo, e non è uomo sopra la terra ch’io tanto disideri di vedere».
Questo frate Iacopo, nel principio del ministero di frate Giovanni da Parma , orando una volta fu ratto in Dio e stette tre dì in questo ratto in estasi, sospeso da ogni sentimento corporale; e istette sì insensibile, che i frati dubitavano che non fusse morto.
E in questo ratto gli fu rivelato da Dio ciò che dovea essere e addivenire intorno alla nostra religione; per la qual cosa; quando l’udii, mi crebbe il disiderio di udirlo e di parlare con lui. E quando piacque a Dio ch’io avessi agio di parlargli , io il priegai in cotesto modo: «Se vero è questo ch’io ho udito dire dì te, io ti priego che tu non me lo tenga celato. Io ho udito che, quando tu istesti tre dì quasi morto, tra l’altre cose che Dio ti rivelò fu ciò che dovea addivenire in questa nostra religione; e questo ha avuto a dire frate Matteo ministro della Marca, al quale tu lo rivelasti per obbidienza». Allora frate Iacopo con grande umiltà gli concedette che quello che dicea frate Matteo era vero.
Il dire suo, cioè del detto frate Matteo ministro della Marca, era questo: «Io so di frate Iacopo al quale Iddio ha rivelato ciò che addiverrà nella nostra religione; imperò che frate Iacopo dalla Massa m’ha manifestato e detto che, dopo molte cose che Iddio gli rivelò dello stato della Chiesa militante, egli vide in visione un arbore bello e grande molto, la cui radice era d’oro, li frutti suoi erano uomini e tutti erano frati Minori. Li rami suoi principali erano distinti secondo il numero delle provincie dell’Ordine, e ciascuno ramo avea tanti frati, quanti v’erano nella provincia improntata in quello ramo: e allora egli seppe il numero di tutti li frati dell’Ordine e di ciascuna provincia e anche li nomi loro e l’età e le condizioni e gli uffici grandi e le dignità e le grazie di tutti e le colpe.
E vide frate Giovanni da Parma nel più alto luogo del ramo di mezzo in questo arbore; e nelle vette de’rami, ch’erano d’intorno a questo ramo di mezzo, istavano li ministri di tutte le provincie. E dopo questo vide Cristo sedere su in uno trono grandissimo e candido, il quale Cristo chiamava santo Francesco, e davagli uno calice pieno di spirito di vita e mandavalo dicendo: «Va’e visita li frati tuoi, e dà loro bere di questo calice dello spirito della vita, imperò che lo ispirito di Satana si leverà contro a loro e percoteragli, e molti di loro cadranno e non si rileveranno».
E diede Cristo a santo Francesco due Agnoli che lo accompagnassono. E allora venne santo Francesco a porgere il calice della vita alli suoi frati, e cominciò a porgerlo a frate Giovanni, il quale prendendolo il bevette tutto quanto in fretta e divotamente, e subitamente diventò tutto luminoso come il sole. E dopo lui seguentemente santo Francesco il porgeva a tutti gli altri, e pochi ve n’erano di questi che con debita reverenza e divozione il prendessino e bevessino tutto, di subito diventavano isplendidi come il sole; e questi che tutto il versavano e non lo prendeano con divozione, diventavano neri e oscuri e isformati a vedere e orribili; quelli che parte ne beveano e parte ne versavano, diventavano parte luminosi e parte tenebrosi, e più e meno secondo la misura del bere e del versare.
Ma sopra tutti gli altri, il sopradetto frate Giovanni era risplendente, il quale più compiutamente avea bevuto il calice della vita, per lo quale egli avea più profondamente contemplato l’abisso della infinita luce divina, e in essa avea inteso l’avversità e la tempesta la quale si dovea levare contra la detta arbore, e crollare e commuovere i suoi rami. Per la qual cosa il detto frate Giovanni si parte dalla cima del ramo nel quale egli stava e, discendendo di sotto a tutti li rami, si nascose in sul sodo dello stipite dello arbore e stavasi tutto pensoso. E frate Bonaventura, il quale avea parte preso del calice e parte n’avea versato, salì in quello ramo e in quello luogo onde era disceso frate Giovanni.
E stando nel detto luogo, sì gli diventarono l’unghie delle mani unghie di ferro aguzzate e taglienti come rasoi: di che egli si mosse di quello luogo dov’egli era salito, e con empito e furore volea gittarsi contro al detto frate Giovanni per nuocergli. Ma frate Giovanni, veggendo questo, gridò forte e raccomandossi a Cristo, il quale sedea nel trono: e Cristo al grido suo chiamò santo Francesco e diegli una pietra focaia tagliente e dissegli: «Va’ con questa pietra e taglia l’unghie di frate Bonaventura, con le quali egli sì vuole graffiare frate Giovanni, sicché egli non gli possa nuocere». Allora santo Francesco venne e fece siccome Cristo gli avea comandato. E fatto questo, sì venne una tempesta di vento e percosse nello arbore così forte, che li frati ne cadeano a terra, e prima ne cadeano quelli che aveano versato tutto il calice dello spirito della vita, ed erano portati dalli demoni in luoghi tenebrosi e penosi.
Ma il detto frate Giovanni, insieme con gli altri che aveano bevuto tutto il calice, furono traslatati dagli Agnoli in luogo di vita e di lume eterno e di splendore beato. E sì intendea e discernea il sopradetto frate Iacopo, che vedea la visione, particolarmente e distintamente ciò che vedea, quanto a’nomi e condizioni e stati di ciascheduno chiaramente. E tanto bastò quella tempesta contro allo arbore, ch’ella cadde e il vento ne la portò. E poi, immantanente che cessò la tempesta, della radice di questo arbore, ch’era d’oro, uscì un altro arbore tutto d’oro, lo quale produsse foglie e fiori e frutti orati. Del quale arbore e della sua dilatazione, profondità, bellezza e odore e virtù, è meglio a tacere che di ciò dire al presente.
A laude di Gesù Cristo e del poverello Francesco. Amen.
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