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Festa dell'impressione delle Stimmate di San Francesco in Porziuncola 18 Set 2020

Francesco, segno trasparente della bellezza dell'amore divino

Ecco il testo dell'omelia di p. Francesco Ruffato ofm Toscana durante la Celebrazione Eucaristica della Festa dell'Impressione delle Stimmate di San Francesco

Carissimi fratelli e sorelle, il Signore vi dia pace!

Sul monte della Verna – come ricorda san Bonaventura – l’amore di Cristo trasformò l’amante nell’immagine stessa dell’amato. La profonda esperienza mistica, vissuta da Francesco a san Damiano davanti all’icona del Crocifisso, raggiunge sul crudo sasso il suo vertice: qui, il Poverello, ricevendo da Cristo l’ultimo sigillo, diviene egli stesso icona di carne e di sangue di Colui che è stato trafitto (cfr. Gv 19,37).

Riflettendo su questo prodigio, possiamo lasciarci interpellare da una domanda: l’impressione delle stimmate nella debole carne di Francesco cosa dice alla nostra vita? Inevitabilmente, lo stimmatizzato della Verna rinvia al mistero della croce di Cristo: compendio delle sofferenze del mondo e segno tangibile dell’amore, misura della bontà di Dio verso l’uomo (Benedetto XVI). La croce – mistero di amore e di dolore – ci introduce nel mondo dell’estetica divina, che trova la sua più alta espressione nel corpo crocifisso del Figlio di Dio. Paradossalmente, la croce è epifania della bellezza divina che si esplicita nell’amore capace di donarsi, di accogliere, di perdonare.

A tale proposito, san Pietro Crisologo, in un discorso, esorta la sua gente ad ascoltare il Signore che dice: Questa croce non è un pungiglione per me, ma per la morte. Questi chiodi non mi procurano tanto dolore, quanto imprimono più profondamente in me l’amore verso di voi. Queste ferite non mi fanno gemere, ma piuttosto introducono voi nel mio interno. Il mio corpo disteso anziché accrescere la pena, allarga gli spazi del cuore per accogliervi. Il mio sangue non è perduto per me, ma è donato in riscatto per voi. Il mistero delle stimmate ci invita così a recuperare il valore della bellezza, quale segno di contraddizione.

La bellezza autentica, infatti, non tradirà mai l’uomo scendendo a compromessi con un modo di pensare, di intendere la vita e la persona umana lontani dal «pensiero di Cristo» (cfr. 1 Cor 2,16). La bellezza autentica non illuderà il cuore che aspira alla Verità e al Bene, proponendo percorsi allettanti nei quali – un’errata concezione di libertà, l’idolatria dell’istinto e l’avidità del possesso – lo rendono schiavo. La bellezza autentica, che rapisce il cuore e lo orienta verso Dio, si rivela nell’amore che non indietreggia di fronte al dolore ma lo comprende, lo fa suo!

La vera bellezza è l’incarnazione – nella quotidianità – di quella parola evangelica che irrita le orecchie di coloro i quali hanno scelto come regola di vita la chiusura, il ripiegamento su se stessi e l’autoaffermazione: «chi vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la sua vita per me – dice Gesù – la salverà» (Mt 16,25). Le stimmate di Francesco ci parlano di identificazione, di conformazione a Cristo.

Ecco il percorso che tutti noi siamo chiamati ad intraprendere. Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù (Fil 2,5). Ecco il progetto di vita che ogni credente è chiamato a realizzare: tradurre nelle varie situazioni della vita, nelle relazioni, nelle scelte personali…l’esempio che Cristo ci ha lasciato: vi ho dato l’esempio, perché come ho fatto io, facciate anche voi (Gv 13,15). Ciò significa compiere un passaggio fondamentale: dall’apparenza alla verità. Purtroppo dobbiamo confessare quanto sia forte il condizionamento delle opinioni altrui. Distante da Dio, l’uomo tenta di elaborare un’immagine di sé che gli consente di affermarsi, di compiacere l’altro, di imporsi, di farsi spazio nel mondo delle opinioni altrui…a scapito della verità.

Vivendo secondo la logica dell’apparenza l’uomo si allontana dalla bellezza. Amare la verità, significa andare controcorrente, significa aspirare a quella libertà che libera dalla schiavitù di modelli tendenti a soffocare quella originalità, unicità e irripetibilità che ogni persona porta con sé, significa tenere fermo lo sguardo su Cristo, dal momento che è Lui che spiega pienamente l’uomo a se stesso e gli fa capire le profondità della sua vocazione divina.

Infine, le stimmate di Francesco ci ricordano che seguire Cristo significa essere disposti a condividere il suo destino. Nel momento in cui ci si rende disponibili a condividere quello che fu lo stile di vita di Gesù, ecco che si è conformati a lui. Il Figlio di Dio entrando nel mondo, quale definitiva Parola di salvezza, ha vissuto il dramma della non accoglienza (cfr. Lc 2,7; 9,51ss; Gv 1,5.11). Il discepolo non è esente da tale situazione: aderendo a Gesù, egli si consegna alla storia quale parola evangelica esponendosi alla reale possibilità di sperimentare rifiuto e persecuzione.

Ferito dall’ostile incredulità e chiusura, il discepolo di Cristo non si nasconde e non scende a patti con il compromesso, ma rimane fedele al suo essere Vangelo vivente. Le ferite ricevute non sono per lui motivo di risentimento o di rassegnazione, quanto piuttosto situazioni che, ricordandogli il destino del Maestro, lo fanno essere partecipe della sua croce: «completo nella mia carne – egli dice – quello che manca ai patimenti di Cristo» (cfr. Col 1,24). Il vero discepolo non teme di seguire nudo il Cristo nudo (cfr. FF 1043). Un autentico cammino di sequela esige la spogliazione.

La nudità non è forse una cifra, una chiave di lettura che ci consente di comprendere il percorso di vita di Francesco? Come attesta san Bonaventura: [Francesco] Volle certamente essere conforme in tutto a Cristo crocifisso, che povero e dolente e nudo rimase appeso sulla croce. Per questo motivo, all’inizio della sua conversione rimase nudo davanti al vescovo; per questo motivo, alla fine della vita, volle uscire nudo dal mondo […] (FF 1240). All’inizio della sua conversione, Francesco rinuncia all’eredità paterna e restituisce al padre i vestiti (cfr. FF 1336). Come non cogliere in questo gesto un profondo significato di liberazione? Francesco non vuole forse liberarsi da tutto ciò che compromette la relazione con il Signore? Come è possibile seguire le orme di Cristo, se il modo di pensare, di affrontare le situazioni della vita, se le azioni e le scelte sono rivestiti di mondanità? Come è possibile rivestirsi di Cristo se si adora il proprio “io”, restando così prigionieri di se stessi? Come si può amare il Signore e i fratelli se si è schiavi degli idoli?

Giunto al temine della sua vita, il Santo è deposto nudo sulla nuda terra (FF 804). È la spogliazione ultima e più radicale che lascia trasparire Colui che Francesco ha amato con tutto se stesso. In lui, come attesta Tommaso da Celano, «veramente appare l’immagine della croce e della passione dell’Agnello immacolato […]: sembrava appena deposto dalla croce, con le mani e i piedi trafitti dai chiodi e il lato destro come ferito dalla lancia» (FF 516).

Il mistero delle stimmate ci dice che solo se si abbraccia la nudità si è profondamente liberi, si sperimenta la gioia di appartenere pienamente a Cristo, si vive il desiderio di conformarsi a lui, si avverte il coraggio di prendere le distanze da tutto ciò che è apparenza, mediocrità, superficialità… Il discepolo che sceglie di seguire nudo Cristo nudo diviene egli stesso Vangelo vivente, icona di Cristo, segno trasparente della bellezza dell’amore divino.



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