Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico… uno degli incipit più celebri del Vangelo, simile a quello che recita “un uomo aveva due figli…” che subito fa venire in mente la parabola del Padre misericordioso, raccontata da Luca. Sempre lui riporta la parabola del “buon Samaritano” (10,25-37) che fa da paradigma biblico alla Lettera Enciclica sulla fraternità e l’amicizia sociale, Fratelli tutti, firmata ad Assisi da Papa Francesco lo scorso 3 ottobre 2020. Se in genere la “parabola” si presta a veicolare significati profondi mediante racconti semplici, questa è indicata dal Santo Padre come un episodio espresso in modo tale che chiunque possa lasciarsi da esso interpellare, al di là delle appartenenze religiose (cf. FT 56).L’interpretazione “sociale” proposta nel documento avalla una lettura quanto più letterale possibile che, nel presente contributo, vuole arricchirsi anche di un’interpretazione allegorica, partorita sulla base di quella dell’alessandrino Origene e da Agostino che, alla scuola dell’Adamantius, gli è debitore per l’influsso subito a partire dall’interpretazione che del brano citato offre Ambrogio - mentore dell’Ipponense - nel suo Commento a Luca.
Il Papa chiarisce subito che, alla luce dell’amore fraterno, tema ricorrente lungo il Nuovo Testamento, meglio si coglie il valore della parabola del samaritano: «all’amore non importa se il fratello ferito viene da qui o da là» (FT 62), ma che sia un uomo bisognoso di cure compassionevoli. Segue un commento a partire dai singoli personaggi con i quali è chiesto, in modo diretto, di identificarsi per scongiurare una sorta di analfabetismo nell’accompagnare e prendersi cura dei deboli a favore di un atteggiamento indifferente, volto a farci «a girare lo sguardo, a passare accanto, a ignorare le situazioni finché queste non ci toccano direttamente» (FT 64).
Vittima e briganti
Accanto alla lettura del Pontefice, quasi specularmente collocheremo le interpretazioni dei Padri suddetti. Premettiamo che già nel II secolo d.C. Ireneo di Lione e Clemente di Alessandria vedevano entrambi il buon Samaritano come un simbolo di Cristo stesso che salva l’umanità ferita dal peccato (cf. anche Gv 8,48). Pochi anni più tardi, il discepolo di Clemente, Origene, affermava di aver ripreso questa interpretazione da un anziano appartenente alla primitiva comunità cristiana, offrendo un’esegesi completa della parabola in chiave di allegoria cristologica nelle sue Omelie su Luca (XXXIV,3-5), di cui ci è pervenuta una preziosa sintesi in un frammento conservato in greco (n. 71). A questa faremo riferimento, oltre che all’immediatamente successivo commento dello stesso Origene. Innanzitutto le voci patristiche in questione concordano nell’individuare, dietro le sembianze dell’uomo ferito e abbandonato, Adamo e tutta l’umanità di cui è simbolo, per la rovinosa caduta dovuta alla disobbedienza: «trasmigrò dalla vita agli inferi; ma non un cambiamento di posto, bensì di condotta fu per lui causa dell’esilio» (Ambr., CLc VII,73). Del resto «quello sventurato giaceva ferito ai bordi della strada appunto perché stava scendendo» (Aug., en. Ps. 125,15) da Gerusalemme. La città santa, così, rimanda al paradiso, mentre Gerico al mondo, visto che, essendo «etimologicamente uguale a “luna”, rappresenta la nostra condizione mortale in quanto la luna nasce, cresce, invecchia e tramonta» (Aug., qu. ev. II,19).
La parabola, poi, accenna ai briganti che derubano e percuotono a sangue il malcapitato per poi fuggire. Origene vi individua il simbolo sia dei demoni (e con lui Agostino) sia dei falsi maestri che si sostituiscono a Cristo, entrambi catalogati come “forze avverse”. Ambrogio si sofferma soprattutto sul fatto che fossero “ladroni” e, perciò, «angeli della notte e delle tenebre, che talvolta si mascherano da angeli della luce» i quali «prima ci tolgono le vesti, che abbiamo ricevuto, della grazia spirituale, quindi si mettono a ferirci» (Ambr., CLc VII,73). Ferite che, se per l’Alessandrino e l’Ipponense richiamano la disobbedienza, i vizi e i peccati, Ambrogio specifica che sono state inferte a motivo della vulnerabilità di Adamo, denudato, dopo il primo peccato, della veste della fede, intesa come scudo. Anche il dettaglio della condizione dell’uomo lasciato “mezzo morto” (v. 30) interpella gli esegeti antichi che interpretano, all’unisono, come indicativo della fine del corpo, non avendo i briganti il potere di uccidere l’anima (cf. Mt 10,28). Infatti «la morte raggiunge metà della natura, giacché l’anima è immortale» (Or., fr. 71), quella parte con cui all’uomo è dato di «comprendere e conoscere Dio» (Aug., qu. ev. II,19).
Sacerdote e levita
A questo punto ecco passati in rassegna il sacerdote e il levita che, indifferenti, si disinteressano dell’uomo mezzo morto. Il fatto che appartengano alla sfera religiosa - scrive il Papa - «indica che il fatto di credere in Dio e di adorarlo non garantisce di vivere come a Dio piace» (FT 74). Avalla le sue considerazioni citando un altro gigante della Chiesa antica, san Giovanni Crisostomo che, in un’omelia sul Vangelo secondo Matteo, scrive: «Volete onorare veramente il corpo di Cristo? Non disprezzatelo quando è nudo. Non onoratelo nel tempio con paramenti di seta, mentre fuori lo lasciate a patire il freddo e la nudità» (Hom. in Mat., 50, 3-4). I nostri autori, invece, muovendo sempre da presupposti esegetici improntati ad allegoria, intravedono nel sacerdote e nel levita, rispettivamente, Origene la legge e i profeti, Agostino il sacerdozio e il ministero dell’Antico Testamento, in entrambi i casi uomini «incapaci di giovare alla salvezza» (Aug., qu. ev. II,19), non semplicemente alla guarigione, essendo entrambi latori di una salus divina, se non altro per il ruolo rivestito.
Cristo buon Samaritano
A fronte dei due esponenti religiosi, ecco sopraggiungere un Samaritano che di fronte all’uomo, abitante della Giudea, non tiene conto delle storiche rivalità sussistenti tra i due popoli (in Sir 50,25 si afferma che Samaria «non è neppure un popolo»), si fa carico del suo dramma, quasi a dire, come precisa il Santo Padre, che: «vivere indifferenti davanti al dolore non è una scelta possibile; non possiamo lasciare che qualcuno rimanga “ai margini della vita”» (FT 74). Con un’attenzione etimologica, Agostino, sulla stregua di Ambrogio, ci dice che Samaritano significa “custode” e indica proprio la missione di colui che, passando davanti alle ferite nostre non nos contempsit, curavit nos (Aug., en. Ps. 125,15). Si rivelò, potremmo dire, “umano, visto che - commenta Origene - la sua figura rimanda a Cristo, il quale «ha preso la carne da Maria» e ben comprende le conseguenze di furti e battiture, essendo egli «in ogni cosa come noi, escluso il peccato» (Eb 4,15). Mirabile il commento ambrosiano: «questo Samaritano stava scendendo - “chi è Colui che è disceso dal cielo, se non Colui che è asceso al cielo, il Figlio dell’uomo, che è nel Cielo”? - vedendo questo uomo mezzo morto, poiché nessuno prima era stato capace di curarlo (proprio come quella donna che perdendo un flusso di sangue aveva speso tutto il suo patrimonio con i medici), si accostò a lui, cioè: si fece simile a noi avendo preso sopra di sé la nostra compassione, e si fece vicino donandoci la sua misericordia» (Ambr., CLc VII,74). C’è un significato “altro” anche per la fasciatura che, secondo Agostino, indica «il freno imposto ai peccati» (Aug., qu. ev. II,19). (continua)
In FRATELLI TUTTI, a cura di Graziano Maria Malgeri
dal n. 1/2021 della Rivista Porziuncola
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