Non sembri strana l’affermazione che la gioia è una cosa molto seria. Naturalmente non parliamo dell’allegria spensierata e spassosa, ma di quello stato d’animo gratificante e pacificante che chiamiamo gioia. La gioia si esperimenta, si vive, non sappiamo definirla. Che cosa risponderemmo a una persona che ci chiedesse cos’è la gioia, se non l’avesse mai sperimentata? La stesa cosa si può dire per la vita, l’amore, il tempo. Per un cristiano il valore della gioia è un atto di fede nella parola di Dio. Solo i termini gioia e gioire ricorrono ben 295 volte nella Bibbia. Nell’esperienza comune la gioia nasce dalla vita e trova la sua pienezza nell’amore. La vita per se stessa è gioia.
Lo vediamo bene nel bambino già nei primi mesi di vita, quando predomina la spontaneità. Se non c’è qualcosa che lo disturba, il piccolo è sereno, gioioso, pacifico. Grida di gioia felice di esistere, sorride alla vita. Anche la gioia dell’amore è un’esperienza indiscussa e insostituibile. «L’inferno, Signora, è non amare», diceva il parroco di campagna del Bernanos. E anche se limitato dall’egoismo, dalla ricerca del piacere, un po’ d’amore è necessario per non cadere in un’esistenza vuota e disperata. Con la crescita la vita dell’uomo si complica. Si fa strada l’esperienza del male, del dolore, dell’insoddisfazione, dell’incertezza, delle gioie mai totalmente appaganti, del logorio del tempo. Dall’ambiguità della sua condizione nasce nell’uomo la ricerca di una forma di vita rispondente alla sua natura, ai suoi desideri.
Sorgono allora varie scuole di pensiero per scoprire quella che i greci chiamano eudaimonia, tradotta dai latini vita beata, non una vita gaudente, ma appagante, tale da non lasciare spazio ad altri tentativi. Sant’Agostino aveva cercato per anni la vita beata, ma la sua aspirazione, come quella di tanti maestri, era rimasta delusa. Ma perché l’uomo non trova pace come le altre creature? Perché tale anomalia? Sappiamo che Agostino troverà nella fede cristiana la vera beatitudine e ne darà testimonianza all’inizio delle Confessioni con le celebri parole rivolte al Signore: «Tuttavia ti vuole lodare l’uomo, piccola parte della tua creazione. Tu stesso la stimoli a dilettarsi nel lodarti, perché ci hai fatti per te e il nostro cuore è inquieto finché non riposi in te». Luminosa verità: Dio ci ha creati orientati verso di lui (ad te), con una vita in movimento verso di lui. E il cuore rimane inquietum, senza riposo, finché non trovi in lui la pienezza della sua gioia. Entriamo così nella prospettiva della fede.
Quello che sant’Agostino aveva vissuto nell’esperienza della fede è confermato nella Sacra Scrittura, nell’Antico e nel Nuovo Testamento. La rivelazione trasmessa dalla Bibbia si realizza nella storia del popolo d’Israele e trova il compimento nell’evento di Cristo. Gran parte dei testi, numerosi, dell’Antico Testamento si riferiscono alla gioia che è donata dal Signore o si trova nel rapporto con lui. Si vive con gioia alla presenza di Dio, nella città santa Gerusalemme, soprattutto nel suo tempio; si cantano con grande letizia i suoi interventi per la salvezza, il suo perdono; si gioisce nel meditare i suoi comandamenti. Si canta la gioia del Signore in modo particolare nel Salmi: «Fammi sentire gioia e letizia» (51,10), «Servite il Signore nella gioia» (100, 2), «Gioia piena nella tua presenza, dolcezza senza fine alla tua destra» (16,11). Se è vero, come credono i cristiani, che Cristo è venuto a salvare il mondo e a portare a compimento il disegno di Dio, la sua natività doveva essere accompagnata da grande gioia.
All’incontro con Maria, la sua parente Elisabetta esclama: «Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto» (Lc 1, 44-45)». Alla nascita di Gesù a Betlemme, un angelo appare ai pastori che vegliano presso il gregge e dice: «Non temete, ecco vi annuncio una grande gioia che sarà per tutto il popolo: oggi, nella città di Davide è nato per voi un salvatore che è Cristo Signore» (Lc 2, 10-11). Infine i Magi, quando riapparve loro la stella ce li aveva guidati, «provarono una gioia grandissima. Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, si prostrarono e lo adorarono» (Mt 2, 10-11). Le parole che esprimono più esplicitamente il motivo di tanta letizia sono quelle dell’angelo rivolte ai pastori: «Oggi nella città di Davide è nato per voi un salvatore che è Cristo Signore». È la gioia della salvezza quindi che viene annunciata, una salvezza apparsa con quel bimbo che è il Messia (Cristo) atteso, è il Signore venuto in mezzo a noi.
Come poi si realizzerà la salvezza lo narrerà tutto il Vangelo che è la buona notizia, il lieto annuncio della liberazione, del compimento del disegno d’amore di Dio. I vangeli sinottici (Matteo e Luca) non continuano a proclamare espressamente la gioia come negli episodi dell’infanzia di Gesù. Lasciata Nazaret egli annuncia l’avvento del Regno di Dio, è venuto a liberarci dal peccato e da ogni infermità e oppressione che ne derivano. Lo vediamo quindi invitare alla conversione, manifestando la misericordia del Padre che lo ha mandato non «a chiamare i giusti ma i peccatori» (Mt 9 13). Molto rilievo viene dato ai suoi gesti di liberazione dai demoni e di guarigione da ogni infermità: Gesù quindi mostra segni efficaci che liberano gli uomini dalle varie e numerose cause delle loro tristezze.
Chi parla esplicitamente della gioia di Gesù è il Vangelo di Giovanni. Durante l’ultima cena, dopo aver esortato i discepoli a rimanere nel suo amore, dice: «Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena» (15, 11). Poi prega il Padre «perché abbiano in se stessi la pienezza della mia gioia» (17, 13). I discepoli dunque saranno partecipi della gioia di Cristo, della gioia ineffabile dell’amore tra il Figlio e il Padre. E, come per Gesù, sarà una gioia come quella della donna nel parto che prima soffre, poi gioisce perché «è venuto al mondo un uomo» (Gv 16, 21). Nelle lettere degli apostoli ritroviamo il tema della gioia che nasce dai patimenti subiti per la fede (Gc 1, 2 1Pt 1, 6; 8). Essa è frutto dello Spirito (Rm 14, 17; Gal 5, 22) e letizia nella speranza (Rm 12, 12).
Come per gli altri insegnamenti della Sacra Scrittura, anche quello della gioia verrà concretizzato nella vita della Chiesa. Ne saranno testimoni tutti i cristiani ferventi, e, in modo eminente, i santi. Sul loro volto risplenderà il sorriso, dai loro occhi irradierà la serenità che solo la grazia di Cristo può donare. La più evidente testimonianza sarà data poi dalle anime che sapranno affrontare lietamente la sofferenza e il martirio. Lo spazio di un articolo non permette di citare gli innumerevoli esempi di cui è ricca l’agiografia cristiana, ma solo qualche breve riflessione finale. Se la gioia dev’essere lo stato normale del cristiano, la tristezza è un’anormalità da superare. Il modo migliore per farlo è mettersi davanti al Signore e non uscire dall’orazione senza aver riacquistato la pace e la letizia del cuore.
Sappiamo che senza l’amore non può esserci vera gioia, ma l’amore vero è disinteressato; di conseguenza, per raggiungere la vita beata non si deve cercare la gioia, ma l’amore puro per Dio e per il prossimo. C’è quindi un paradosso: «Ogni amore vero è insieme disinteressato e ricompensato; diciamo di più: non può essere ricompensato che se è disinteressato, perché il disinteresse è la sua stessa essenza. Chi cerca nell’amore altra cosa che l’amore, perde insieme l’amore e la gioia che gli dà» (É. Gilson). Un discorso a parte meriterebbe l’esperienza della gioia nella sofferenza, ma ci limitiamo a ricordare che il noto dialogo di san Francesco sulla “perfetta letizia” è ambientato a S. Maria degli Angeli.
In GUIDATI DALLO SPIRITO, di Umberto Occhialini
dal n. 2/2021 della Rivista Porziuncola
Photo credit: Kolby Milton su Unsplash
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