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Testimonianza di fr. Francesco Piloni 22 Giu 2022

La Santa Settimana in Ucraina: quando Dio ti dà un appuntamento!

L’occasione di un viaggio inaspettato si presenta a fine marzo 2022 grazie all’invito di un amico rabbino, che mi propone di partecipare a un momento di solidarietà, amicizia, preghiera, speranza e conforto in Ucraina: “Volentieri - rispondo - fratello Alon!”. “Bene, fra’ Francesco, l’incontro si terrà il 12 aprile a Černivci, in Ucraina”. Silenzio! Capisco che sono quelle visite inaspettate di Dio, quasi un’imboscata, che sembrano impossibili e che mettono tutto sottosopra. Dopo aver compreso la portata dell’evento, coinvolgo subito nostro fratello e padre, il Ministro generale dei Frati minori, fra’ Massimo Fusarelli, il quale non solo accetta l’invito, ma mi chiede di accompagnarlo e di prolungare il viaggio in Ucraina per visitare con lui i nostri frati in quella terra ferita, stanca e violate.

Giorni di passione in terra ucraina
I giorni della Quaresima corrono veloci e impegnati, come pure sono tumultuosi in me i sentimenti, che a fatica la razionalità tiene a bada; ma viene in soccorso la fede con le parole che per anni il mio padre spirituale mi ha donato: “L’abbandono è la fine di ogni paura!”. Del resto, vivremo questo pellegrinaggio - perché di questo si tratterà -, proprio durante la Santa Settimana nella quale Gesù entra a Gerusalemme come Re ed esce come Pane. Ascolteremo ancora il racconto della Passione del Signore e ogni personaggio coinvolto, gli eventi convulsi e duri di quelle acerbissime ore, i tradimenti e le lacrime, la presenza di Maria e le parole di affidamento di Gesù a lei come Madre, forse, ci aiuteranno a leggere con maggior fiducia quanto sta avvenendo in Ucraina e in Russia, a vedere e credere.

È dalla notte del 24 febbraio che ci sentiamo tutti impotenti, offesi e umiliati, perché il “nuovo umanesimo” è negato e violato: la guerra sembra spegnere la vocazione dell’uomo a diventare veramente umano. C’è urgenza di Pasqua, di quel magnifico scambio in cui Cristo muore perché io invece viva; c’è urgenza di fiducia pasquale, di quel rovesciamento secondo il Regno di Dio dove dalla morte nasce la vita, dalle ceneri del mercoledì divampa il fuoco santo della veglia pasquale, dove il Magnificat che cantiamo ogni sera non resti un pio desiderio ma diventi realtà con i piccoli innalzati e i potenti abbassati, e le beatitudini siano il vanto di ogni uomo. Pochi giorni prima di partire scrivo una lettera ai frati, alle sorelle clarisse, alle fraternità dell’Ordine francescano secolare, ai tanti amici che negli anni il buon Dio mi ha donato; esprimo con un’immagine questo pellegrinaggio agli amici ucraini “come il gesto della Veronica che asciuga il volto di Gesù, portando loro un istante di sollievo, di vicinanza, regali uno sguardo amico. Gesù nota i segni della fede, di amore, di carità, di delicatezza che quella donna gli rivolge e volentieri li accoglie per continuare la via crucis”.

Dopo la celebrazione mattutina delle Palme fra’ Massimo ed io partiamo alla volta di Suceava, in Romania: ci accolgono i frati della Provincia della Transilvania. La loro accoglienza è sempre consolazione, e resto sempre più convinto che l’ospitalità è la prima opera della fede, il primo mattone d’ogni relazione: permette ad altra vita di vivere. Entreremo solo martedì 10 aprile, all’alba in terra Ucraina con un permesso speciale della Segreteria di Stato, insieme agli altri leader religiosi; Papa Francesco, poche ore prima di partire, ha affidato al Ministro generale un suo messaggio che verrà letto da fra’ Cristian, frate minore ucraino che lavora in Curia generale a Roma ma, al momento dell’attacco, si trovava nella sua terra e lì è tutt’ora.

La violenza di Caino e il grido di Abele
Il messaggio del Papa risuona forte nel Drama Theater di Černivci, dove si celebra l’incontro organizzato dall’Elijah Interfaith Institute di Gerusalemme: le parole del Santo Padre sono accolte con benevolenza e considerate profetiche dai leader religiosi presenti, esprimono la verità di ciò che continua ad accadere in Ucraina e in Russia e che pochi hanno il coraggio di chiamare per nome: “L’ora che stiamo vivendo ci lascia sgomenti perché è attraversata dalle forze del male. La sofferenza arrecata a tante persone deboli e indifese; i numerosi civili massacrati e le giovani vittime innocenti; la fuga disperata di donne e bambini… tutto ciò scuote le nostre coscienze e ci obbliga a non tacere, a non rimanere indifferenti di fronte alla violenza di Caino e al grido di Abele, ma ad alzare la nostra voce con forza per chiedere, in nome di Dio, la fine di tali azioni abominevoli”.

La Chiesa ha una missione di verità da compiere, in ogni tempo e in ogni evenienza, per una società a misura dell’uomo, della sua dignità, della sua vocazione. (Benedetto XVI, Caritas in veritate). Chiamare per nome il male, riconoscere che i fratelli Caino e Abele continuano la loro lotta fratricida, rende evidente la questione fondamentale e che i cristiani debbono avere chiaro per essere a servizio della verità che libera; la domanda giusta non è se armare gli ucraini è giusto o meno, ma: come favorire il dialogo fra Caino e Abele? Quale mediazione mettere in campo perché il confronto e lo scontro diventino incontro? Solo la fedeltà alla verità è garanzia di libertà (Gv 8,32) e premessa a uno sviluppo integrale.

Francesco d’Assisi, scrivendo la Lettera ai reggitori dei popoli (Fonti francescane 210-213), li richiama da subito alla verità delle verità, alle cose ultime, cioè a quelle che stanno alla fine della vita: la morte, il giudizio, l’inferno e il paradiso. Questo non per intimorire qualcuno, ma per ricordare ai piccoli e ai dotti che la vita è l’aldiqua e l’aldilà; non ho solo l’aldiqua per capire, ma ho anche l’aldilà, la meta, il vero traguardo. Per questo occorre vivere con amore, passione e responsabilità quanto ci viene dato, evitando di scivolare sulla vita come se niente fosse; per questo occorre non perdere nessuno fin da subito.

Una Via Crucis che non finisce mai
Nei giorni successivi, guidati dai nostri frati della Provincia dell’Ucraina, abbiamo viaggiato nelle regioni occidentali del Paese, tra Ternopil, Zbarazh, Zoločiv, Sudova Vishnia, per poi rientrare nell’Unione europea attraverso il confine polacco la sera del Giovedì santo. Con i frati e il Ministro generale scegliamo di vivere questo pellegrinaggio visitando le persone, ascoltando le loro storie che si assomigliano molto ma che brillano dell’unicità di ogni fratello e sorella che apre la stanza intima e ci fa entrare come amici e ospiti di pochi istanti; sono storie che sanguinano, chi più chi meno. Davvero quest’anno, nella Santa settimana, vivo una Via crucis che non finisce mai. In questi giorni in cui anche la Liturgia mischia l’odore del sangue, la puzza della morte con il profumo di Cristo, sperimento l’assoluta impotenza di chi è vicino a Cristo e non ha parole e prova a gridare a Dio.

Dal primo giorno, dal primo centro di rifugiati, ho la netta percezione che le macerie non sono le case distrutte dai missili, gli edifici segnati dai bombardamenti: no, questi saranno ricostruiti e forse saranno ancora più belli! Stiamo incontrando le macerie di persone abusate da un attacco che si credeva impossibile, le macerie di un’umanità violata nei sogni interrotti e nel futuro assolutamente incerto, stiamo ascoltando le macerie che l’uomo registra nella memoria come in una scatola nera e che non sappiamo quanto odio, rabbia e violenza sapranno a loro volta generare. A Zbarazh ci accolgono i Frati minori e il Sindaco: il villaggio di più di 14.000 abitanti ha accolto oltre 4000 rifugiati. La sede del Comune è diventata il centro di accoglienza e di smistamento dei fratelli e sorelle che continuano a lasciare le zone dove è sempre più pericoloso ostinarsi a restare. La condivisione tra comunità civile e religiosa è speciale, una “scuola di relazioni”: davvero la povertà ci rende umili creando spazi di concordia, condizioni per la collaborazione, disponibilità al dialogo, solidarietà nella prova e creatività nel bene.

Prima di entrare in una grande palazzetto dello sport di recente costruzione, incontriamo Sergej, un giovane marito e padre trentenne di due bambini, tra i primi a lasciare dopo il 24 febbraio Kharkiv con la famiglia. Il volto di Sergej è sorridente, stava per andare via con l’auto ma, dopo averci visti con il saio, ritorna; si presenta e ha parole di riconoscenza subito perché ci siamo, siamo lì con loro. Con la moglie, la suocera, i bambini e un gatto aveva pensato di trascorrere pochi giorni nel villaggio e poi dirigersi da famiglie amiche in Europa, ma invece ha scelto di restare e prestare il suo servizio per coloro che ancora arrivano dall’assurdo. Mi tornano alla mente le parole di san Francesco, che nel Saluto alle virtù lega la sapienza alla santa semplicità: mentre lo ascolto trovo in questo giovane fratello sapienza e semplicità impastate e, come prodotto finale, una squisita carità. Spiega come è difficile entrare e poter dire una parola seria e serena nella questione politica complessa nel Donbass; “ogni imposizione che schiaccia altre identità è una bomba a orologeria”.

La vita nuova che ha vinto, vince e vincerà
Mentre ascolto Sergej interessato, una bambina continua a girare attorno canticchiando, libera, serena, tocca il saio per attirare l’attenzione e corre divertita. È Alexandra, sei anni, un gioiello di vitalità! La madre, una donna il cui volto è invece una maschera di dolore, la richiama per non infastidirci. In realtà mi diverte e si crea una sintonia bellissima; saprò dopo l’ennesima storia di sangue, di separazione forzata, di morte che ha travolto la loro famiglia. Ma Alexandra sembra volermi annunciare la Pasqua, la primavera che lotta con l’inverno, la vita più forte della morte, la vita nuova che ha vinto, vince e vincerà. Sono coinvolto da questa sua energia, dalla verità dei piccoli, benedetti da Gesù: giochiamo e penso che non vorrei essere da nessun’altra parte. Trovo che la bellezza della vita nuova è grande quando sa esaltare la ferita anche quando sanguina.

Mi accompagna nei vari spostamenti un libro che due amici, Francesca e Michele, mi hanno regalato: Ucraina. La guerra che non c’era (A. SCERESINI, L. GIROFFI, Milano: Baldini Castoldi, 2022). Quanto è pericoloso il nostro parlare senza conoscere le fonti e per sentito dire: confonde un mondo confuso. Solo dal di dentro si intuisce qualcosa, come tutto, del resto; percepisci la paura di alcune donne che si scusano perché mentre parlano, usano parole russe e si tappano la bocca, quasi fossero bestemmie; scopri il valore della luce nel buio del coprifuoco che dalle ore 22.00 deve essere assoluto; conosci la fierezza di un popolo, di donne, spose e madri che preferiscono lasciare i numerosi figli ai nonni per andare a combattere perché “se il fine è giusto, non può essere sbagliata la lotta”; inizi a percepire il contraccolpo che tutto questo avrà sull’Occidente considerando le distese immense di grano che non verrà curato quest’anno. Mi ha commosso la storia di bambini che, a causa del trauma dei primi giorni, non mangiavano più; la psicologa era angosciata e a stento tratteneva le lacrime mentre ci raccontava. Poi ecco la terapia migliore: i bambini del paese ospitante, che non avevano sentito sirene e bombardamenti, hanno coinvolto quelli traumatizzati nei giochi e quando le mamme hanno preparato la merenda, i giochi si sono fermati e così, in modo naturale, chi rifiutava il cibo, si è trovato semplicemente a mangiare con gli altri. Vita chiama altra vita.

Sono i giorni santi, il sole primaverile scalda l’aria ancora fredda e tagliente: penso ad Assisi, alla Porziuncola, alle liturgie che i miei frati stanno celebrando con tanti pellegrini che sono finalmente tornati. Qui tutto è semplice e tanto dignitoso. In ogni luogo i frati hanno organizzato uno spazio di preghiera ecumenica con i fratelli greco-cattolici, ortodossi e protestanti; respiriamo una fraternità reale, un ecumenismo non più sui testi di teologia ma vissuto sul campo, un’amicizia che profuma di compimento, quello che dalla croce, il Venerdì santo, Cristo ci ha consegnato. “Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri” (Gv 13, 34). Dove sta la novità? Nel come io, così voi! Ma, ancor di più, Gesù ci manifesta un modo perché Dio resti vivo sulla terra, in mezzo a noi, sempre: amare come Lui ci ha amato per primo, per renderlo presente più che mai sulla terra, “perché vedano le vostre opere buone e glorifichino il padre che è nei cieli” (Mt 5, 16).
Quando Dio ti dà un appuntamento è perché ti vuole far toccare la sua carne.



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