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Omelia del Ministro Provinciale, fr Bruno Ottavi 18 Apr 2014

Giovedì Santo – Messa in “Coena Domini” 2014

Fratelli e sorelle, possiamo già dirci “Buona Pasqua” perché questa sera, con la “Messa in Coena Domini”, entriamo nel mistero pasquale: abbiamo cantato solennemente anche il Gloria che ripeteremo nella notte di Pasqua.

E’ la Pasqua del Signore! Questa è l’esclamazione che abbiamo ascoltato nella prima lettura. La possiamo ripetere con tutta verità in questa nostra liturgia del Giovedì Santo: E’ la Pasqua del Signore!

Che significa « fare Pasqua »?

Molti cristiani a questa domanda, risponderebbero: significa confessarsi e comunicarsi o, come si è soliti dire: “prendere Pasqua”. Ci sono dei cristiani che prendono il nome da qui: sono i pasqualini.

Ma la Pasqua è soltanto un rito che scandisce la nostra tiepida vita di cristiani?

Forse è anche per questo che continuiamo a sommare le nostre feste di Pasqua, una dopo l'altra, senza che avvenga una vera conversione, un vero “esodo”, ritrovandoci nell'Egitto spirituale di sempre e la Pasqua non ci tocca nel profondo della nostra esistenza.

Per cercare di convertirci e per fare una vera Pasqua, già da questo Giovedì Santo, occorre esaminare questo rito partendo dall’esperienza degli Ebrei come ci ha mostrato la prima lettura, passando poi alla Pasqua di Gesù, per arrivare a noi e alla nostra Pasqua.

Per gli ebrei fare la Pasqua significò celebrare un rito, un rito antico, comune anche ad altri pastori nomadi dell'Oriente. Si uccideva un agnello e lo si consumava insieme, in segno di solidarietà, invocando la protezione di Dio, prima di dividersi per raggiungere i nuovi pascoli all'arrivo della primavera.

Quell'anno (siamo intorno al 1250 prima di Cristo), questo rito, per gli ebrei, ebbe un significato tutto nuovo: il passaggio di Dio. In quella notte, io passerò, dice Dio agli ebrei schiavi in Egitto. Pasqua, dunque, perché Dio passò.

Ma fu solo questo per gli ebrei fare la Pasqua? No!

Fu qualcosa di più di un rito che celebrava il passaggio di Dio.

Fu un « passare » essi stessi. Il passaggio attraverso il Mar Rosso, nella movimentata notte dell'esodo, era il segno del passaggio dalla schiavitù alla libertà. Questo popolo diventa libero dall’Egitto, per servire Dio.

Ma è stato un “passaggio” difficile, pieno di mormorazioni e di ripensamenti!

La schiavitù ha un suo fascino: non ci sono decisioni da prendere; ci si lascia trasportare dalla società e dai piaceri. E’ assai più difficile gestire la propria libertà; di qui, la tentazione del deserto: tornare indietro, in Egitto. Essi tuttavia proseguirono e attraverso il deserto giunsero alla terra promessa. Questo fu per loro fare la Pasqua: celebrare un rito, ma soprattutto compiere un passaggio.

Ed ora domandiamoci: cosa significò per Gesù fare la sua Pasqua?

Anche per lui, fare la Pasqua significò, anzitutto, celebrare un rito, quello stesso rito che, dalla notte dell'esodo, gli ebrei non avevano smesso di celebrare: ogni famiglia, o gruppo di persone, si procurava un agnello, lo portava al tempio di Gerusalemme per farlo immolare dai sacerdoti poi, a sera, lo si consumava tra preghiere, canti e rievocando ciò che Dio aveva fatto nella liberazione dall'Egitto.

All'approssimarsi della festa, Gesù mandò due discepoli da un amico che abitava in Gerusalemme a dirgli: Il mio tempo è vicino: farò la Pasqua da te con i mie discepoli (Mt. 26, 18). E, mettendosi a tavola, disse: Ho desiderato ardentemente di mangiare questa Pasqua con voi (Lc. 22, 15).

Perché l'aveva desiderato tanto? Perché in questa Pasqua egli avrebbe trasformato la figura in realtà, portando a compimento l'attesa di una promessa, antica di secoli. Egli era infatti l'Agnello di Dio, di cui l'agnello pasquale era un semplice simbolo.

Ciò che fece Gesù quella sera ce lo ha ricordato san Paolo nella seconda lettura: finita la cena, Gesù prese il pane, lo benedisse, lo spezzò e lo diede ai suoi discepoli dicendo: Prendete e mangiate, questo è il mio corpo. Lo stesso fece con il calice.

Questa sarà, d'ora in poi, la nuova cena pasquale per i credenti: la celebrazione dell'Eucaristia. Ogni volta che si celebra questo rito, si ricorda la morte del Signore, il suo Sacrificio per noi, fino al giorno del suo ritorno nella gloria.

Un rito veramente solenne dunque, questa Cena del Signore, che stiamo ora commemorando! Eppure, la Pasqua di Gesù non si esaurisce qui.

La Pasqua non fu, per Gesù, soltanto istituire un rito; anche per lui, si trattò di compiere un passaggio. Quale passaggio?

Giovanni, nel Vangelo, lo definisce il passaggio da questo mondo al Padre (Gv. 13, 1). Ed infatti questo fu il passaggio di Gesù: un passare attraverso la morte verso la vita, un morire per risorgere, di cui la lavanda dei piedi ne è il segno.

Ma non fu un passaggio indolore, recitato da Gesù senza problemi.

Fu, al contrario, il passaggio attraverso un abisso immenso di angoscia. Gesù sperimentò tutta l'amarezza del fallimento, dell'abbandono, della paura, perché prese su di se il nostro peccato. Nel Getsemani, pianse e supplicò che passasse quel calice, ma pronto a fare la volontà del Padre. Passione e Morte per distruggere il nostro peccato, Risurrezione e Vita per dare a noi la vita nuova di “figli di Dio!

Fu così dunque che Gesù fece la sua Pasqua!

Ma ora dobbiamo riflettere: che significa per noi fare la Pasqua?

Anche per noi significa prima di tutto celebrare un rito, anzi un insieme di riti: la Quaresima è stata già un rito preparatorio alla Pasqua; le funzioni di questi giorni sono riti; riti sono anche i sacramenti pasquali: il Battesimo per i catecumeni, la Confessione come rigenerazione dal peccato e l'Eucaristia che ripete la cena pasquale di Cristo.

Dobbiamo però riflettere bene: noi possiamo fare tutti questi riti, senza tralasciare una sola funzione di questa Settimana Santa, e … tuttavia non fare la Pasqua.

Cosa si richiede per fare in verità la Pasqua?

Quello stesso che si richiese per gli ebrei e per Gesù Cristo: compiere un passaggio.

San Paolo lo definisce il passaggio dall'uomo vecchio all'uomo nuovo. Un passaggio da un modo di vivere ad un altro, dal vivere per il mondo e secondo il mondo, nell’egoismo, al vivere per il Padre e nell’amore dei fratelli, soprattutto dei più poveri.

Il Vangelo ha una parola per esprimere tutto ciò: conversione.

“Pasqua significa passaggio”, dicevano i primi cristiani; “Pasqua significa conversione”, dovremmo dire noi con altrettanta verità.

Di questo passaggio che è conversione, la Pasqua mette in evidenza un aspetto nuovo. Non è solo fatica, rinuncia, dolore, ma è anche passaggio verso la libertà e verso la gioia. Noi infatti siamo schiavi, come gli ebrei in Egitto. Siamo schiavi delle cose, dei piaceri ai quali non sappiamo rinunciare; schiavi dei pregiudizi e delle mode; schiavi soprattutto dei peccati, perché chiunque commette il peccato è schiavo del peccato (Gv. 8, 34). Ma nel Cristo morto e risorto siamo nuovamente liberi e nella gioia!

Nelle biografie di San Francesco c’è la memoria della Pasqua come passaggio, infatti si dice che Francesco … li ammaestrò con santi discorsi a celebrare continuamente la Pasqua del Signore, cioè il passaggio da questo mondo al Padre, passando per il deserto del mondo in povertà di spirito, come pellegrini e forestieri e come veri ebrei. (Leg. Mag. VII, 9)

Come dice papa Francesco: occorre uscire, da noi stessi per fare come Gesù ed accostarci agli altri per portare il Vangelo della Gioia, quel Vangelo che libera l’uomo in profondità e dona la vera gioia; ed occorre farlo con l’umiltà di colui che lava i piedi, il papa infatti dice nell’Evangelii Gaudium:

Gesù ha lavato i piedi ai suoi discepoli. Il Signore si coinvolge e coinvolge i suoi, mettendosi in ginocchio davanti agli altri per lavarli. Ma subito dopo dice ai discepoli: «Sarete beati se farete questo» (Gv 13,17). La comunità evangelizzatrice si mette mediante opere e gesti nella vita quotidiana degli altri, accorcia le distanze, si abbassa fino all’umiliazione se è necessario, e assume la vita umana, toccando la carne sofferente di Cristo nel popo­lo. (E. G. 24)

Ecco, se entreremo in questa prospettiva coraggiosa, mettendoci in stato di conversione davanti a Dio, nell’umiltà e nella carità fraterna, noi quest'anno faremo davvero la Pasqua con Cristo.

I riti non saranno più solo riti, ma diventeranno realtà viventi, segni visibili della grazia di Dio e ci verrà da escla­mare, per la prima volta in modo nuovo: E’ la Pasqua del Signore!



Bruno Ottavi Giovedì Santo Omelia Porziuncola

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