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Terza serata del Settenario di Natale 20 Dic 2020

Radice di Iesse, vieni a purificare i nostri cuori

L’accensione della quarta candela della corona d’Avvento segna l’ingresso nella settimana che ci porterà al Natale del Signore Gesù. Ci stiamo preparando a questa celebrazione con il Settenario, un percorso attraverso il quale scopriamo 7 diversi titoli con cui si attendeva il Messia nel Primo Testamento. (I - II serata) P. Stefano Maria Cogoni OFM ha offerto la sua meditazione sulla terza antifona che recita:

O Radice di Iesse,
che rimani salda a simbolo dei popoli,
al cospetto della quale i re chiuderanno la bocca,
tu, cui le nazioni supplicheranno,
vieni a liberare noi: non tardare ancora.

 L’immagine della Radice si staglia ai nostri occhi: vive nascosta nel suolo della terra, è senza bellezza apparente, non ha forme regolari, tuttavia è la parte più essenziale per la vita e la sopravvivenza di una pianta. Essa vuol significare una generazione o una discendenza. Questo titolo, infatti, lega il Salvatore alla stirpe di Davide, figlio di Iesse. La dinastia davidica ha lo scopo di mantenere viva la fede del popolo di Dio nelle promesse del suo Signore. La speranza rimarrà salda pur in una situazione di estrema afflizione, come fanno capire i canti del servo piagato e sofferente.

Le nazioni rimangono meravigliate perché Egli stenderà la mano che riscatterà il popolo e farà conoscere il suo nome. Questa speranza deve spuntare anche nelle nostre vite, spesso segnate dall’aridità dei giorni quotidiani, dalla paura di non farcela, dalla solitudine, dalla fragilità che rende buio il nostro orizzonte.

“Chi o che cosa – è radice profonda nella mia esistenza? È Dio la mia sapienza-sapore, il mio liberatore, il mio fondamento?” si chiede p. Stefano. È necessario, allora, purificare le radici che Dio ha immerso dentro il nostro cuore: una buona confessione ci permetterà di rinnovare la nostra appartenenza a Lui e trasformerà le nostre tenebre in luce. Se lo lasceremo agire, avverrà una vera liberazione, sperimenteremo che in noi maturerà la capacità di sottomettere le nostre tristezze, il nostro egoismo, il nostro pensare e agire incostante per vivere finalmente in comunione profonda.

Invochiamo, allora, con il cuore colmo di desiderio: “Maranathà, vieni Signore Gesù!” Lui fin d’ora ci risponde: “Verrò presto!



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