La celebrazione del Triduo Pasquale, iniziata ieri sera con la Messa in Coena Domini, e proseguita lungo la notte con l’adorazione del Santissimo Sacramento presso l’altare della Reposizione, allestito nella Porziuncola, è continuata quest’oggi con la liturgia del Venerdì Santo.
Alle 7:30 ci siamo raccolti per la celebrazione delle Lodi e dell’Ufficio delle letture; il tabernacolo vuoto, il presbiterio spoglio, il canto a cappella della salmodia sottolineavano l’atteggiamento della Chiesa sposa, che sta ai piedi della croce contemplando il suo Sposo che consuma il suo sacrificio d’amore.
“Da questo albero di vita la gioia è venuta del mondo”: da queste parole della 3° antifona delle Lodi ha preso le mosse l’omelia di p. Pasquale Berardinetti, che presiedeva la celebrazione. Come tenere insieme croce e gioia? Come condurre la nostra ragione inquieta verso un binomio che così inaspettatamente la supera?
- Un primo passo è tacere: far tacere le nostre parole dinanzi a un Dio che è in croce, un luogo dove non lo aspettiamo, un luogo che ha scelto per farsi nostro compagno nei momenti più difficili, estremi della vita; tacere, dunque, e contemplare.
- Un secondo passo è far tacere l’Accusatore: che parla nella coscienza rinfacciandoci i nostri peccati, i nostri vizi, le nostre meschinità e miserie; far tacere l’Accusatore con la consapevolezza che Cristo “ha dato se stesso per me” (Gal 2,20): il Crocifisso è il “contratto scritto”, irreversibile, dell’Amore di Dio per ogni uomo, amore che supera ogni rifiuto.
- Infine, un terzo passo è quello di tenere sempre unite morte e Risurrezione, per far tacere la voce della paura, la paura della morte.
Allora vedremo il rapporto che unisce la croce alla gioia, e potremo scegliere di morire all’“uomo vecchio” per rinascere con Cristo e vivere in Lui: sarà la nostra Pasqua, iniziata sacramentalmente nel Battesimo, che siamo chiamati a fare sempre più nostra giorno dopo giorno.
Nel pomeriggio, alle 15:00, abbiamo celebrato la Via Crucis, con le meditazioni preparate per il Papa da giovani libanesi sotto la guida di Sua Beatitudine il Card. Béchara Boutros Raï. Nel ripercorrere le ultime ore della vita terrena di Gesù, abbiamo pregato con le parole delle Chiese sorelle di rito orientale, e con particolare insistenza abbiamo rivolto lo sguardo sul Medio Oriente, dove i nostri fratelli nella fede vivono il dramma della guerra, della persecuzione, dell’esilio.
Alle 17:00 il culmine liturgico del Venerdì Santo. Per tradizione antichissima non si celebra l’Eucaristia, ma una Liturgia della Parola, seguita dall’adorazione della Croce e dalla Comunione Eucaristica; ha presieduto il Custode della Porziuncola, p. Fabrizio Migliasso.
I celebranti sono entrati in silenzio, e si sono prostrati dinanzi all’altare spoglio: dinanzi alla morte di Cristo non resta che il silenzio, nell’umile riconoscimento della propria miseria e nell’attesa dell’intervento salvifico di Dio. Dopo una solenne orazione, le letture di Isaia e della lettera agli Ebrei hanno preparato la solenne proclamazione della Passione secondo Giovanni; il testo evangelico è stato interamente cantato, distribuito tra 3 voci (narratore: p. Maurizio Verde; Gesù: fr. Marco Savioli; altri personaggi: p. Antonio Giannoni).
Nella breve omelia, p. Fabrizio ha esordito citando le parole di don Tonino Bello, che sottolineava la nostra difficoltà nell’imboccare le scomode “mulattiere del Calvario” rispetto alle più rassicuranti “circonvallazioni”. Il Custode ha esortato a seguire con decisione la strada del Calvario come l’unica in grado di condurci alla Risurrezione, e ha invitato a stare davanti alla croce con questa domanda: “fino a che punto Dio è capace di amarmi?”; una domanda piena di quello stesso stupore che solo qualche mese fa provavamo dinanzi alla grotta di Betlemme.
La risposta sgorga dalla contemplazione dell’Uomo-Dio Gesù, che ha scelto liberamente non solo di condividere la nostra condizione umana (con l’Incarnazione), ma anche di “farsi obbediente fino alla morte, e alla morte di croce” (Fil 2,8): per vincere la nostra solitudine, perché nessun uomo, mai, neppure nel momento supremo della morte, sia solo.
La croce diventa così il cuore del mondo. Da essa si è innalzata al Padre la preghiera di Cristo per la salvezza di tutti. Unita al gesto sacerdotale del suo Signore la Chiesa eleva la grande preghiera universale, accogliendo così l’invito della lettera agli Ebrei ad accostarci “con piena fiducia al trono della grazia per ricevere misericordia e trovare grazia, così da essere aiutati al momento opportuno” (Eb 4, 16).
Il secondo momento ha visto il diacono recare il Crocifisso all’altare, alla triplice ripetizione del canto: “Ecce lignum Crucis, in quo salus mundi pepéndit. Vénite, adorémus”. I fedeli hanno potuto quindi esprimere la loro fede ed il loro amore al Signore Crocifisso, avviandosi processionalmente per venerarlo con la genuflessione ed il bacio, al canto dei cosiddetti “lamenti del Signore”. Il gesto dell’adorazione della croce diventa significativa risposta al dono immeritato, e avveramento della parola profetica: «Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto!» (Zc 12,10; Gv 19,37); riconoscimento della regalità salvifica di Cristo e della speranza nata dalla croce; gesto di penitenza, ma anche di impegno a vivere nell’obbedienza a Dio e a promuovere con tutte le forze la verità e l’amore.
Infine, i fedeli hanno risignificato il loro desiderio di condividere la Pasqua del Signore con la Comunione Eucaristica, celebrata con il pane consacrato nella Messa di ieri; Comunione che rende partecipi della morte gloriosa di Cristo e dei suoi frutti; è inserimento nell’alleanza sigillata nel sangue dell’Agnello; è accoglienza dello Spirito sgorgato dal costato di Cristo.
Dopo una breve orazione, l’assemblea si è sciolta in silenzio: ora la Sposa attende con amore fiducioso di contemplare il suo Sposo Risorto.
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