La vita dell’uomo come un edificio, casa o tempio da costruire: è un’immagine che ritorna più volte nella Bibbia. Vuol dire che il Signore la ritiene adatta per insegnarci a considerare la vita come una realtà da costruire giorno per giorno, secondo il disegno del Padre, sul fondamento di Cristo e mediante lo Spirito, per essere sua dimora.
Non intendiamo sviluppare tutta la tematica della casa o del tempio di Dio che troviamo nella Scrittura. Possiamo riassumerla con le parole della Lettera agli Efesini: «Così dunque non siete più stranieri né ospiti, ma siete concittadini dei santi e familiari di Dio, edificati sopra il fondamento degli apostoli e dei profeti, avendo come pietra angolare lo stesso Cristo Gesù.
In lui tutta la costruzione cresce ben ordinata per essere tempio santo nel Signore; in lui anche voi venite edificati insieme per diventare abitazione d Dio per mezzo dello Spirito» (2, 19-22).
Presupposto il fondamento teologico e il fine della costruzione, prendiamo in considerazione un elemento che riguarda più direttamente il nostro impegno e la nostra responsabilità: il materiale usato per edificare la casa.
Il fuoco proverà l’opera di ciascuno
Per capire meglio il problema, riferiamoci ancora a un brano dell’epistolario paolino: «Secondo la grazia di Dio che mi è stata data, come un saggio architetto io ho posto il fondamento; un altro vi costruisce sopra. Ma ciascuno stia attento a come costruisce. Infatti nessuno può porre un fondamento diverso da quello che già vi si trova, che è Gesù Cristo. E se, sopra questo fondamento, si costruisce con oro, argento, pietre preziose, legno, fieno, paglia, l’opera di ciascuno sarà ben visibile: infatti quel giorno la farà conoscere, perché con il fuoco si manifesterà, e il fuoco proverà la qualità dell’opera di ciascuno. Se l’opera che uno costruì sul fondamento resisterà, costui ne riceverà una ricompensa.
Ma se l’opera di qualcuno finirà bruciata, quello sarà punito: tuttavia egli si salverà, però quasi passando attraverso il fuoco» (1Cor 3, 10-15). Propriamente qui Paolo non si riferisce al lavoro del cristiano che edifica in se stesso la casa del Signore, ma a quello dell’apostolo che deve edificare la Chiesa; tuttavia l’applicazione al nostro caso va benissimo. Si tratta sempre, infatti, della scelta del materiale di costruzione. Esso può essere solido, resistente come il metallo o la pietra. Oppure materiale poco resistente come la paglia o il fieno. Alla fine sarà il fuoco, simbolo del giudizio, a fare apparire la qualità della materia: se resisterà al calore si dimostrerà idonea, se si ridurrà in cenere mostrerà tutta la sua inconsistenza.
Così appunto avviene per l’edificazione della casa del Signore che ognuno di noi deve portare avanti finché durerà la nostra giornata terrena, fino al momento in cui dovremo affrontare il fuoco del giudizio di Dio, nel quale avverrà la verifica della solidità della costruzione.
Per non trovarci di fronte a brutte e irreparabili sorprese, sarà bene preoccuparci ora del tipo di materiale che utilizziamo per preparare la nostra dimora eterna.
Le pietre preziose dell’amore
Se alla fine – come dice S. Giovanni della Croce – dovremo essere giudicati sull’amore, è chiaro che i metalli e le pietre preziose saranno tutte le opere ispirate dall’amore di Dio e del prossimo. E quanto più sarà puro l’amore, tanto più risulteranno solidi e reggeranno alla prova del fuoco i materiali con cui abbiamo edificato la casa. Ma quanta paglia o legno o carta porteremo con noi? O, fuori metafora, quali e quante saranno le azioni, le parole, i pensieri, i desideri inconsistenti con i quali forse ci siamo illusi di far progredire la vita cristiana? Dovremmo imparare a esaminarci più attentamente e sinceramente su questo punto. Notiamo che non si tratta di pensieri o azioni palesemente peccaminosi, perché in tal caso chi li commette non pensa minimamente a costruire una casa per il Signore. Ci riferiamo invece all’operare di persone intenzionate a vivere cristianamente. Proviamo a individuare qualcuna delle possibili realtà inconsistenti.
Eliminare la paglia
Al primo posto poniamo tutte le cose inutili: pensieri inutili, parole inutili, azioni inutili. Inutili, cioè non servono a niente e a nessuno, né a noi, né agli altri.
Sono cose che non fanno del male, ma neppure del bene. Come il talento della parabola evangelica sotterrato cautamente dal servo: non si è sciupato, ma non ha dato alcun frutto. Alla resa dei conti il padrone toglierà il talento al servo infingardo e lo darà a chi ne ha riportati dieci, perché «a chiunque ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha, verrà tolto anche quello che ha» (Mt 25,29). Un posto di rilievo, tra le azioni fatue, occupano quelle compiute senza intenzione retta o pura, fatte per scopi privi d’amore per Dio o per il prossimo, in modo particolare le opere promosse dalla vana gloria, finalizzate alla ghiotta prospettiva della lode degli uomini.
Coloro che agiscono per un tal fine, dice Gesù, «hanno già ricevuto la loro ricompensa» (Mt 6,2), quindi davanti al Padre celeste non porteranno che fumo. Consideriamo un’altra categoria di opere sterili: sono le opere fatte male.
Tra queste comprendiamo le pratiche di pietà fatte per pura abitudine, senza desiderio, senza fiducia. Non diciamo senza distrazioni, perché nella preghiera possiamo cercare il Signore col cuore anche se la mente involontariamente pensa ad altro, mentre, al limite, potrebbe risultare vuota un’orazione o una meditazione fatta con attenzione ma priva di sete di Dio e di adesione alla sua volontà. Giudichiamo pure fatte male le stesse opere di beneficenza o l’osservanza dei doveri compiute formalisticamente, senza amore, magari solo per un naturale senso di ordine o di disciplina.
Non intendiamo sottovalutare il valore delle opere di beneficenza né quello dell’osservanza dei doveri: si tratta soltanto di non fare opere buone senza cuore, magari per sentirsi a posto con la coscienza, o di evitare il compimento del dovere per il dovere, senza capire, come i farisei nell’osservanza del sabato, il vero fine della legge, col pericolo di esserne tutori arcigni e forse spietati.
Non sprecare i doni di Dio!
Ci fermiamo qui con il nostro esame sulla qualità del materiale con cui costruiamo la casa del Signore. Sono riflessioni solo indicative che ognuno potrebbe completare; pensiamo tuttavia che siano sufficienti per prendere coscienza di un problema che riguarda seriamente l’edificazione della vita cristiana e il suo esito davanti al giudizio di Dio.
È un esame troppo esigente? Al menzionato servo infingardo che restituisce il talento sotterrato il padrone dice: «Tu sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso» (Mt 25, 26).
In realtà il Signore ha sempre largheggiato nel seminare. E considerando tutti i doni che Dio ha deposto nelle nostre mani, forse è bene pensare che le sue esigenze sono giuste. Confidiamo certamente nella sua misericordia di Padre, ma è inevitabile che il materiale non adatto alla costruzione di fronte al suo giudizio venga bruciato.
Dalla sua misericordia attendiamo di essere ad ogni modo salvi anche «passando attraverso il fuoco» (1Cor 3 5). Ma la cenere non la porteremo nella gloria del cielo.
In GUIDATI DALLO SPIRITO, di Umberto Occhialini
dal n. 4/2022 della Rivista Porziuncola
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