La biografia del Santo appare incerta e frammentaria, la tradizione lo vuole nativo di Sulmona, e per alcuni anni, eremita presso la selva Liba (nelle vicinanze di Fusignano). La leggenda asserisce che in seguito all'apparizione di un angelo durante il suo romitaggio fu spinto all'evangelizzazione della zona tra Spoleto ed Assisi. La testimonianza del suo passaggio in questi luoghi potrebbe essere riscontrata dalla presenza di un monte nella zona che si chiama Costa San Savino. La sua presenza ad Assisi invece è certa, in quanto in questa città ricopri il soglio episcopale verso la fine del III secolo e l'inizio del IV.
In questo periodo, in seguito agli editti di Diocleziano e Massimiano subì il martirio. Fu sepolto a Spoleto, per essere traslato in seguito a Fusignano. Da qui, al tempo di Astorgio II Manfredi signore di Faenza, conte di Bagnacavallo e di Fusignano, venne trasferito a Faenza, tra il 1438 ed il 1444, dove attualmente risiedono ancora le sue spoglie, che si trovano nella cappella dedicata al Santo all'interno della cattedrale cittadina.
In due millenni di cristianesimo non sono affatto rari i casi di furti di reliquie ed il caso più celebre è forse costituito da quello attuato dai mercanti veneziani ad Alessandria d’Egitto con i resti dell’evangelista San Marco. Meno famoso, ma non meno ecclatante è il caso del misterioso personaggio citato in data odierna, 7 dicembre, dal nuovo Martyrologium Romanum: “A Spoleto in Umbria, ricordo di San Sabino, vescovo e martire”. Presunto vescovo di Spoleto, tra il III ed il IV secolo dopo Cristo San Sabino si prodigò nell’opera di conversione dei pagani umbri, attività che assai poco si conciliava con le persecuzioni anticristiane condotte dall’allora imperatore Diocleziano.
La persecuzione arrivò a colpire duramente anche Sabino, al quale vennero amputate le mani, evento poi ripreso dall’iconografia a lui relativa. Ciò non gli impedì però di operare prodigi e ridare la vista ad un cieco mentre ancora era imprigionato. Questo miracolo suscitò la curiosità e l’apprezzamento del suo stesso carnefice, vittima di una grave malattia agli occhi. Sabino decise allora di incontrarlo e ciò favorì la sua guarigione e la sua conversione, ma fece altresì infuriare ulteriormente le guardie imperiali che non esitarono ad ucciderlo a bastonate. La diocesi di Spoleto venera ancora oggi San Sabino con i santi diaconi Marcellino ed Esuperanzio.Parecchie peripezie subirono le reliquie del santo vescovo, tanto da ottenergli il patronato della città piemontese di Ivrea, sebbene tutta la sua vita e l’opera pastorale si siano svolte nella terra natia.
Nel 954 era duca di Spoleto un certo Corrado, figlio del marchese Berengario di Ivrea. Qualora nella centro umbro scoppiò una terribile pestilenza, il duca cercò di scampare alla morte fuggendo nei possedimenti di suo padre, ma desiderando proteggere Ivrea dall’epidemia, decise di portare con sé le reliquie di San Sabino, forse non proprio con entusiastica approvazione da parte dei fedeli. Giunte a destinazione, le suddette spoglie iniziarono ad essere fonte di miracoli e si meritarono così la venerazione da parte degli eporediesi. L’urna delle reliquie, contenente ben visibile il capo del santo, è oggi custodita nella sacrestia della cattedrale cittadina e da alcuni anni viene portata solennemente processione lungo le vie del centro storico ogni 7 luglio, anniversario della traslazione. In tale data il santo compare infatti nel calendario liturgico di Ivrea come “San Savino martire”, “solennità” nella città di cui è patrono principale e “festa” nell’intera diocesi di cui è patrono secondario. San Sabino è raffigurato anche nei mosaici bizantini di Sant’Apollinare Nuovo in a Ravenna.

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