Smeralda di nome e di fatto: doveva essere bellissima la figlia di Bernardo Cofino, se molti sostengono che servì da modella al suo coetaneo Antonello da Messina per dipingere la celebre “Annunziata”. Ma forse è solo una leggenda, che tuttavia nulla toglie alla sua celebrata bellezza di cui anche oggi ci si può rendere conto: perché, dopo più di 500 anni, il suo corpo è ancora miracolosamente incorrotto, ha passato indenne anche il terremoto del 1908 ed è conservato in una teca di vetro in posizione eretta.
La “santa in piedi” (come la chiamava Giovanni Paolo II) nasce a Messina, il 25 marzo 1434. Suo papà è un commerciante che esercita anche via mare il trasporto conto terzi, la mamma è un’autentica cristiana che si è lasciata conquistare dallo spirito francescano, si è iscritta al Terz’Ordine e riesce a trasmettere un grande amore per Chiara e Francesco soprattutto alla figlia Smeralda.
Che a 11 anni, a sua insaputa, si ritrova fidanzata con un maturo vedovo trentacinquenne e subisce questo legame per due anni, fino a quando cioè il “fidanzato” muore improvvisamente, facendola meditare sulla brevità della vita e sulla necessità di usare bene il tempo. Non ha neppure 14 anni, ma decide di entrare in convento per dedicarsi completamente a Dio.
Netto il rifiuto di papà, al quale non mancano certo altre richieste di matrimonio per quella figlia tanto bella: lei rifiuta ogni proposta, litiga con papà e cerca addirittura di scappare da casa. La strada per il convento sembra spianarsi il giorno in cui papà muore in Sardegna, durante uno dei suoi frequenti viaggi commerciali, ma adesso sono le monache a non volerla: hanno paura di vedersi incendiare il convento, come i fratelli di Smeralda hanno minacciato di fare.
Riesce comunque a realizzare il suo sogno e ad entrare dalle Clarisse ancor prima di compiere 16 anni, ma quello che a lei sembrava essere il paradiso in terra si rivela diverso da come lo aveva immaginato. La vita spirituale si è rilassata; dispense e favoritismi hanno ammorbidito la penitenza per venire incontro alle esigenze delle ragazze di buona famiglia che non hanno voluto rinunciare alle loro comodità; la badessa ha perso di vista lo spirito di povertà che dovrebbe essere proprio delle figlie di Santa Chiara. Smeralda, che ha preso il nome di suor Eustochia, si oppone a questo stile di vita e invoca un ritorno alla Regola originaria, dando lei per prima l’esempio di una vita austera, intessuta di preghiera e di servizio alle sorelle anziane o ammalate.
Inevitabile lo scontro con la badessa e lo strappo doloroso, ma necessario: esce dal convento per fondarne un altro, che più fedelmente segua la Regola di Santa Chiara. Ci riesce a fatica nel 1464, seguita da sua mamma, da una sua sorella e da poche fedelissime, incontrando incomprensioni anche dai Frati Minori Osservanti, che per otto mesi lasciano il nuovo convento senza assistenza religiosa. Quando si stabilisce a Montevergine, il suo monastero si consolida, si ingrandisce e lei lo guida con la saggezza e la spiritualità proprie dei santi.
Si spegne a 51 anni, il 20 gennaio 1485 e la firma di Dio sulla sua vita santa sono i miracoli che accompagnano questa suora in vita e in morte.
Giovanni Paolo II, nel 1988, proclama Eustochia Calafato santa, proprio come già da 5 secoli era ritenuta dai messinesi e dalle Clarisse.

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