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Ludopatia e società contemporanea 11 Mar 2018

Gioco a perdere

Pubblichiamo un articolo di Giuseppe Buffon, religioso dell’ordine dei frati minori, che insegna Storia della chiesa moderna e contemporanea presso la facoltà di Teologia della Pontificia università Antonianum e dirige la rivista omonima. L’università dedicherà al tema del gioco d’azzardo una giornata di studio il 13 marzo prossimo. «Lavoriamo su questo tema già dall’estate scorsa — spiega Buffon — insieme a una associazione che si occupa della patologia scrictu sensu p er approfondire le cause culturali e sociali di questo fenomeno».

«Ho cominciato a giocare d’azzardo a quattordici anni. Facevamo la schedina nell’intervallo a scuola. All’inizio era un passatempo. Alla fine avevo svuotato due libretti di risparmi, quello mio e quello della mamma. Mi sono fatto anche dei debiti. Quando i soldi sono finiti, ho venduto tutto l’oro che c’era in casa per continuare a puntare. Per sei anni sono stato malato. Malato di gioco».

Sono ormai numerose le organizzazioni, nate per la lotta al gioco d’azzardo, che hanno curato una particolareggiata diagnosi sociale della patologia, diffusa non solo tra gli adolescenti, ma anche tra gli adulti e perfino tra gli anziani. La spinta tecnologica che polverizza le certezze dell’individuo e la sua stessa identità; la disgregazione del tessuto sociale e famigliare, che genera precarietà e sfaldamento del tessuto relazionale, con l’effetto di una solitudine ormai globalizzata; l’aumento delle disuguaglianze economiche e sociali, insieme a povertà esistenziali; la perdita della necessaria serenità, della sufficiente sicurezza economica, della fiducia negli altri, nella società e nelle istituzioni; la ricerca di soluzioni facili, immediate, spesso causate da impulsività e dalla ricerca di sensazioni forti; l’effetto della persuasione occulta, subliminale, che induce a credere necessario il superfluo, incitando al “di più”, a un riscatto sociale; il miraggio del tutto virtuale, che conduce all’immancabile fallimento e al conseguente senso di impotenza; e, infine, l’illusione di rimettere le cose a posto, su consiglio della dea bendata.

La finalità perseguita dal convegno organizzato dalla Pontificia università Antonianum, «Gioco o azzardo», sulla scia dell’interdisciplinarietà, auspicata dalla recentissima Veritatis gaudium, consiste nel desiderio di allargare l’angolo di osservazione del fenomeno, passando dalla considerazione della patologia in termini psicosociali a una analisi antropologico-culturale di una mentalità, già segnata dalla crisi del gioco.

Del resto, la dimensione ludica propria del gioco è da intendersi come presupposto della creatività umana e quindi dell’innovazione culturale, sociale, politica ed economica. Non serve limitare il gioco; occorre “levar via” gli strumenti del gioco. Si badi che è messa a repentaglio la salute di tutti, di un’intera società, anche dei non giocatori, e non solamente della “malattia” di pochi. Le espressioni del francescano Bernardino da Siena, indicato da molte organizzazioni, impegnate nella lotta all’azzardo, come il primo predicatore a essersi schierato contro il gioco d’azzardo, esortano chiaramente a non limitare l’interesse alle pure conseguenze patologiche di tale squilibrio comportamentale, ma all’urgenza di segnalare la presenza di una autentica mentalità azzardopatica, con gravi esiti etico- culturali, sociali e politici.

È la stessa struttura dell’economia, basata sul principio del massimo guadagno con il minimo sforzo, a orientare verso una visione dell’esistenza viziata dal paradigma negativo dell’azzardo.

Il mito del progresso, infatti, impone all’essere umano il capestro di una crescita infinita, ritmata dal prodotto interno lordo. L’essere umano è indotto a cercare la propria realizzazione soltanto rincorrendo a profitti sempre più elevati, finalizzati a sempre maggiori consumi, per soddisfare bisogni dalla voracità infinita. L’attività umana viene come succhiata nel vortice dell’aspirazione a un guadagno sempre maggiore, all’ottimizzazione dello sforzo, finalizzato a realizzare risultati. Si insedia nell’animo umano un senso del dovere e del sacrificio insopportabile, soffocante. Non c’è spazio per l’ozio, per il divertimento.

Al contrario, Albert Einstein afferma di aver scoperto la teoria della relatività bighellonando oziosamente. Il padre ingegnere installava le prime centrali elettriche, tecnologia all’avanguardia, Albert invece leggeva Kant e assisteva alle lezioni dell’università di Pavia, ma senza iscriversi e quindi senza dare esami, per puro divertimento. Soltanto successivamente si immerge nella fisica, scrivendo tre articoli da premio Nobel, il terzo dei quali presentava già la prima teoria della relatività.

La nuova teoria della relatività, quella veramente nuova, in quanto sconvolge la teoria della gravità universale del grande Newton, affiora alla sua mente dieci anni più tardi, dopo studi pazzi, vani tentativi ed errori, confusione, sbagli, illuminazioni e folgorazioni. Quando finalmente si manifesta, irrompe come la più bella delle teorie scientifiche.

A sostenere una tale riflessione sul gioco e le sue devianze si dimostra di prima utilità la tradizione francescana, sia quella delle origini, che presenta in Francesco il modello del giullare, capace di denunciare un sistema coercitivo, fondato sul potere economico–politico, tipico della società pre-capitalista, sia quella dell’epoca rinascimentale, che vede i predicatori francescani impegnati per un’economia civile ante litteram, fautori del bene comune e della fraternità universale, contro il lucro e l’esclusivismo classista. Istruttivo si dimostra inoltre l’approccio al Francesco ilare, da parte della filosofia e della letteratura contemporanee, che vedono nel santu giullare una possibile via di uscita dalla crisi di senso, indotta da un consumismo disumanizzante.

Per la filosofia, la letteratura, la cinematografia e il teatro contemporanei, Francesco giullare diventa una parola performativa, che permette di ripensare la realtà e lo stesso essere umano entro le coordinate dello spazio ludico. Francesco giullare si dimostra così capace di mettere in luce le contraddizioni, le rigidità, le angustie di un pensiero contemporaneo finalizzato al profitto, al lucro. La sua attualità supera la stessa attualità proprio per il fatto di proporre la sua contestazione. In verità, Francesco giullare mette alla berlina l’essere umano impegnato nella competizione, nella realizzazione dei propri guadagni, nel perseguire il surrogato manageriale della felicità, cui il mito della carriera ha imposto la camicia di forza del successo a ogni costo.

Fonte: L’Osservatore Romano del 10 marzo 2018



Gioco Giuseppe Buffon Osservatore Romano Società

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