INTRODUZIONE
In questa quaresima che si avvicina, mentre viviamo il quinto anniversario dell’Enciclica Laudato si’, desideriamo proporvi un cammino penitenziale ritmato dal suo pressante invito alla conversione integrale, una conversione che prenda ogni fibra della nostra vita. Il quinto anniversario è stato infatti pensato come passaggio dai principi alla pratica, dalle idee alla vita, per trovare soluzione alle urgenze di una crisi, ora anche pandemica, ai limiti dell’irreversibilità e, contemporaneamente, per colmare una dicotomia, teoria-prassi, corpo-spirito, che affligge la stessa Chiesa, estraniata da un’economia e una finanza, lanciate verso la realizzazione di un utile, che affama l’80 % della popolazione mondiale.
Sia dunque una quaresima nella quale l’opera della conversione dimostra una fede capace di autotrascendenza, trasfigurazione, innovazione, creatività, risurrezione. Si tratta di una visione, appunto, integrale che lo stesso magistero petrino della Laudato si’ - già avviato dal s. Giovanni Paolo II con la proclamazione di s. Francesco patrono degli ecologisti e soprattutto da Benedetto XVI della Caritas in veritate - mutua dalla tradizione orientale, che mediante la voce del fratello patriarca di Costantinopoli, Bartolomeo I, parla addirittura di “peccato ecologico”! Anzi, è proprio Bartolomeo I ad aver ispirato la Laudato si’, come afferma papa Francesco nella stessa Fratelli tutti. E l’ispirazione più profonda consiste nel fatto che la crisi ecologica non è solo una crisi ambientale, ma una crisi spirituale, della quale l’impronta ambientale non è che il segnale più evidente:
Bartolomeo – afferma la Laudato si’ - ha richiamato l’attenzione sulle radici etiche e spirituali dei problemi ambientali, che ci invitano a cercare soluzioni non solo nella tecnica, ma anche in un cambiamento dell’essere umano, perché altrimenti affronteremmo soltanto i sintomi. Ci ha proposto di passare dal consumo al sacrificio, dall’avidità alla generosità, dallo spreco alla capacità di condividere, in un’ascesi che «significa imparare a dare, e non semplicemente a rinunciare. È un modo di amare, di passare gradualmente da ciò che io voglio a ciò di cui ha bisogno il mondo di Dio. È liberazione dalla paura, dall’avidità e dalla dipendenza». (LS 9)
Un vero programma per la quaresima, questo di Bartolomeo I. La sua affermazione più forte, però, è quella sulla violazione dell’equilibrio ambientale come vero crimine contro Dio, e non solo mera trasgressione di un ethos sociale:
«Che gli esseri umani distruggano la diversità biologica nella creazione di Dio; che gli esseri umani compromettano l’integrità della terra e contribuiscano al cambiamento climatico, spogliando la terra delle sue foreste naturali o distruggendo le sue zone umide; che gli esseri umani inquinino le acque, il suolo, l’aria: tutti questi sono peccati». Perché «un crimine contro la natura è un crimine contro noi stessi e un peccato contro Dio». (LS 8)
È interessante questo magistero sociale di Pietro, che proprio nella sororità ecumenica scopre la Madre Terra di Francesco d’Assisi e, viceversa, nella responsabilità per la cura, ritrova un ecumenismo più fraterno, arricchente, davvero sinfonico nel mistero unico di Cristo, vertice dell’intera creazione.
E in questo incontro tra le chiese sorelle, accomunato dalla cura per una terra, sulla quale “tutti appoggiamo i nostri piedi”, come afferma Bartolomeo I, il tema tipicamente quaresimale del digiuno ci suggerisce qualche riflessione, utile per questo itinerario con la Laudato si’. Proprio la pratica del digiuno, assai cara ai padri del deserto e a quelli della chiesa orientale si radica nella convinzione che esiste un legame inscindibile tra dimensione spirituale e materiale/ambientale.
Anche la materia, in quanto creata, possiede una sua dimensione spirituale, che incide profondamente sul nostro rapporto con Dio. L’uomo, secondo l’antropologia teocentrica dei Padri orientali, è l’unica creatura che sintetizza tutto il creato, collegando in sé il mondo materiale e quello spirituale, le condizioni della corporeità e della creaturalità con le capacità dell’Imago Dei. Come l’essere umano, cadendo nel peccato, rompe il suo rapporto armonico con le creature, così, nel processo di riconciliazione con Dio, le stesse creature assumono un ruolo rilevante. Per i padri del deserto, che descrivono la lotta spirituale, le radici di ogni peccato affondano, infatti, nell’atteggiamento che l’uomo assume di fronte alla natura.
Per molti di questi maestri dello spirito è dalla golosità che ha origine lo stesso peccato originale. San Giovanni Sinaita, ad esempio, individua proprio nella golosità la radice di tutti i mali che affliggono la vita monastica e S. Basilio di Cesarea afferma che il digiuno è stato il primo comandamento dato da Dio nel paradiso terreste. Perciò il digiuno è alla base di ogni pratica penitenziale. Non stupisce allora che nelle liste dei peccati, compilate dai maestri di vita spirituale, non compaia l’adulterio, mentre, al contrario, la golosità non manca mai. La golosità, infatti, viene da essi considerata la “madre della fornicazione”.
La sobrietà del palato, dell’uso delle cose, del tempo e degli spazi è allora la norma prima del digiuno, alla base di una trasformazione della mente. Per la medesima tradizione orientale, infatti, l’essere umano che, incapace di sobrietà, maltratta la natura perde il senso della bellezza; quello che non la cura diventa pigro e quello che trascura la sua dimensione naturale, eteronoma piomba nell’ignoranza. L’essere umano che non si dimostra grato per il dono della creazione si rende privo di “teognosia”, cioè diventa spiritualmente cieco e perciò ingrato.
Solo il ripristino della giusta relazione con la natura garantisce una piena riconciliazione con Dio, come, d’altronde, si riscontra nella stessa teologia del Cantico delle Creature, che indica un Francesco in pace con Dio, riconciliato con gli altri e con la sua mortalità, perché in armonia con l’intera creazione.
[San Francesco] era un mistico e un pellegrino che viveva con semplicità e in una meravigliosa armonia con Dio, con gli altri, con la natura e con se stesso (LS 10).
L’essere umano plasmato in un giardino, infatti, non può salvarsi senza la creazione, senza la terra dalla quale è stato tratto. Nella prospettiva biblica, anzi, spetta all’uomo chiedere scusa al creato per il fatto che l’ha trascinato nel suo cammino peccaminoso, l’ha maltrattato e l’ha esaurito; perché ha smesso di rispettare la Madre Terra, trascurando il fatto che, grazie soprattutto all’Incarnazione del Verbo, essa è compenetrata dall’energia divina della grazia. Nei racconti evangelici dell’ultima cena, infatti, il Signore usa proprio il pane e il vino, frutto della terra e del lavoro dell’uomo, per celebrare in anticipo il sacrificio di sé stesso. L’evento eucaristico indica, perciò, non solo l’importanza della materia, ma la stessa modalità per restituirla a Dio. Si può dire, allora, che nell’eucarestia l’essere umano offre a Dio, proprio tramite la natura, la propria lode e la propria gratitudine. Il digiuno eucaristico, perciò, è una ascesi che deve permeare l’intero operare umano, il suo servizio lavorativo di custode e coltivatore del giardino, che esprime la specificità del suo genere.
fr. Giuseppe Buffon
Photo credits: Jordan Wozniak su Unsplash
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