Alto un metro e quaranta, artrite alle mani, difficoltà nel parlare, occhi arrossati: davvero un poveretto da compatire. Ma il medico Enrico Rubartelli, suo amico, lo vede come un capo, "assediato, seguito e invocato da folle di tutti i ceti" a Padova. A più di 50 anni dalla morte, altri lo invocano nel suo santuario padovano con la tomba. E gli scrivono, come a un vivo: i loro messaggi riempiono ormai centinaia di migliaia di pagine. È nato alle Bocche di Cattaro, terra dalmata sotto gli Asburgo. Battezzato col nome di Bogdan, entra sedicenne nel seminario cappuccino di Udine, poi è novizio a Bassano diventando fra Leopoldo, pronuncia i voti e nel 1890 è sacerdote, con un sogno preciso: spendere la vita per riconciliare con Roma i cristiani orientali separati. Il più piccolo frate dell’intero Ordine cappuccino cammina tra i primissimi sul sentiero dell’ecumenismo. Vuole andare in Oriente, e per due volte crede di fare il primo passo, quando lo mandano a Zara e a Capodistria.
Ma nella guerra del 1915-18, essendo croato (ossia “suddito nemico”), deve risiedere nel Meridione d’Italia. Confessore a Padova, comincerà presto a essere “assediato”, ma nel 1923 lo destinano a Fiume, come confessore dei cattolici slavi.
E la missione in Oriente sembra farsi realtà. Ma interviene il vescovo di Padova, il grande Elia Dalla Costa, e dice ai Cappuccini: "La partenza di padre Leopoldo ha destato in tutta la città un senso di amarezza e di vero sconcerto". Insomma, i padovani non ci stanno. E riescono a recuperare il piccolo confessore, che passa giorni e anni in una celletta ascoltando ogni fallimento e riaccendendo ogni speranza. E anche lui capisce: "Il mio Oriente è qui, è Padova".
Il gigante della confessione. E anche il martire, perché vi brucia tutte le sue energie, ricco di compassione per tanta gente che impara da lui a conoscersi e a riprendere fiducia. Lui però non è un tipo bonario per naturale tranquillità. Al contrario, è bellicoso e capace d’infiammarsi in scatti aspri e inattesi, come il suo compatriota san Gerolamo. E, come lui, infatti, chiede al Signore il dono della calma: "Abbi pietà di me che sono dàlmata!".
Sembra impossibile che resista, sempre più fragile, a questo genere di vita, inasprito da preghiere, penitenze, digiuni. Ed è anche vecchio: "Ma la verità non invecchia", usa ripetere; e quando nel 1942 lo portano in ospedale trova modo di confessare anche lì. Gli riscontrano però un tumore all’esofago.
Torna allora in convento e muore il 30 luglio 1942, dopo aver tentato ancora di vestirsi per la Messa. Giovanni Paolo II, nel 1983, ha collocato padre Leopoldo tra i santi.
San Leopoldo Mandic
La misericordia di Dio è superiore ad ogni nostra aspettativa
Uno dei protettori dell'Anno Santo della Misericordia, che si aprirà il prossimo 8 dicembre, sarà San Leopoldo Mandic, cappuccino, un umile frate confessore, pioniere dell’ecumenismo che pregava per la piena unità fra la Chiesa d'Oriente e Occidente. Un frate umile, piccolo di statura, povero e di salute cagionevole, ma forte nello...

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