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Riflessione di p. Gianluca Zuccaro 03 Mar 2020

Il sogno di Dio per il mondo

Il mondo come casa comune            
È ormai all’ordine del giorno ascoltare notizie inquietanti sullo stato di salute del nostro pianeta che, descrivendo la gravità della situazione attuale, sembrano porci sull’orlo di una catastrofe ambientale di dimensioni epocali dalle conseguenze forse irreversibili: basti pensare agli incendi che devastano l’Amazzonia, o allo scioglimento di una porzione cospicua di gran parte dei ghiacci perenni dei poli come anche di quelli delle Alpi. La sopravvivenza di molte specie animali e vegetali pare essere infatti pregiudicata definitivamente per i prossimi anni al punto che ci si chiede quali saranno le ripercussioni sulla vita dell’intero ecosistema terrestre e su quella dell’uomo se non si compirà una decisa inversione di rotta.

I dati sul cambiamento climatico sono ormai ampiamente confermati da tutta la comunità scientifica e, per la loro gravità e diffusione, spingono molti ad adottare nuovi stili di vita più rispettosi dell’ambiente. Tali azioni che, sia a livello personale che comunitario, vediamo assumere sempre maggiore forza e determinazione, manifestano il senso di rispetto dell’uomo per ciò che è un bene di tutti: la salute del nostro pianeta. Si tratta indubbiamente di scelte importanti e meritevoli di grande rispetto che rendono evidente il desiderio di bene che abita il cuore dell’uomo dei nostri tempi.

Ciò che pare mancare però in tale contesto è una visione d’insieme più vasta, o per meglio dire “più teologica”, in cui collocare tale consapevolezza e il conseguente impegno. Papa Francesco nel parlare del nostro pianeta usa con grande sapienza l’espressione «casa comune». Questa scelta terminologica non è casuale ed estemporanea ma ricca di implicazioni che ci permettono di comprendere più a fondo il suo messaggio in difesa della Terra da un uso dispotico e violento. L’utilizzo del termine «casa» ci riporta infatti con la mente e il cuore a quel luogo e a quel calore che ha caratterizzato (o quanto meno avrebbe dovuto caratterizzare) la nostra vita quotidiana sin dai suoi primi momenti; vita fatta di gesti e attenzioni date e ricevute dai nostri familiari; esso dice l’intimità di cui ci siamo nutriti sin da piccoli e che ci ha fatto crescere portandoci all’età adulta. E questo è avvenuto non per puro caso o per abitudine, ma perché l’abitare un luogo dove coltivare le relazioni con i nostri cari è qualcosa di profondamente legato alla nostra natura di uomini in relazione gli uni con gli altri. La casa, quindi, diventa il luogo nativo delle relazioni dove si impara prima di tutto a riconoscere un padre e una madre, ad avere per loro rispetto e riconoscenza, e a condividere quanto essi ci donano con i fratelli.

Tale atteggiamento è lo stesso da adottare nel momento in cui allarghiamo il nostro orizzonte dalla nostra casa e dalla nostra famiglia al nostro pianeta e all’umanità intera. Se infatti alzassimo lo sguardo verso il cielo riconosceremmo al nostro fianco dei fratelli e delle sorelle amati dal nostro stesso Padre che con la sua provvidenza vuole nutrire ogni creatura. Non a caso, accanto al termine «casa» il Papa pone l’aggettivo «comune», che ci dice che esso non ha un unico proprietario ma appartiene a tutti: tutti vi abitano e tutti devono poterne godere la bellezza e prima ancora le risorse che essa mette a disposizione per ogni figlio di Dio. Sì, perché questa casa, questa bellissima casa che è il nostro pianeta, è un dono che ci è stato fatto da Dio il quale vuole che nessuno dei suoi figli soffra in essa la fame e la sete, buono o cattivo che sia; Egli infatti «fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti» (Mt 5,45). La sua misericordia è così grande che Egli ama di un amore che sovrasta le piccole misure del nostro cuore e vuole raggiungere anche chi ai nostri occhi, secondo i nostri angusti criteri morali o anche solo di merito, non ne sarebbe degno. Egli vuole includere tutti nel suo abbraccio di amore. Nessuno escluso.

Non amiamo a parole né con la lingua, ma con i fatti e nella verità” 
Noi da cristiani, ossia da persone che hanno scelto di vivere dell’amore di Dio mostratoci e donatoci in Cristo, dovremmo tendere a questo. Dovremmo condividere questo amore elargitoci in maniera sovrabbondante nei beni della creazione con chi ci sta accanto, chiunque esso sia, ricco o povero, colto o ignorante, appartenente al nostro Paese o proveniente da lontano. Solo in questo modo saremo perfetti come è perfetto il Padre nostro celeste (cf. Mt 5, 45). Chi ha una minima esperienza di vita familiare o comunitaria sa però quanto questo possa essere difficile e quanto impegno richieda: impegno per amare e lasciarsi amare, impegno per rispettare lo spazio dell’altro, le sue abitudini, magari molto diverse dalle nostre, e permettergli di esprimersi con tutti quei carismi che il Padre gli ha dato per diventare uomo secondo quello che è il suo “sogno” su di lui. Senza questo “altro” il mondo sarebbe più povero perché privato di un riflesso inedito della bellezza di Dio donata a tutti noi, ma anche di un fratello indispensabile per il nostro cammino e amato dal Padre di un amore unico e personale al pari di chiunque altro.  (continua)



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