Nei Fioretti (FF 1857) si racconta di un lebbroso impossibile, arrogante, violento, scorbutico e bestemmiatore. I frati per santa pazienza, si occupano di lui ma certamente, attraverso il linguaggio non verbale, il povero si rende conto che loro mal sopportano questo servizio alla sua persona. Così ne parlano a Francesco e lui stesso vuole incontrarlo. Subito il povero attacca Francesco e tra le altre cose dice: “…non solo io sono afflitto dall’infermità mia, ma peggio mi fanno sentire i frati che tu mi desti perché mi servissero, e non mi servono come debbono”. Francesco, dopo aver pregato, chiede al lebbroso di poterlo lui stesso servire e gli dice: “Chiedimi quello che vuoi e io lo farò!”. Dice il lebbroso: “Io voglio che tu mi lavi tutto quanto perché puzzo così fortemente, che io stesso non mi posso sopportare”. E così fece Francesco, dopo aver fatto riscaldare l’acqua, con aggiunta di erbe aromatiche e profumi, se ne occupa personalmente con cura, premura, attenzione: mirabilmente la pelle lavata guarisce e mentre viene sanato l’esterno, l’anima si riconcilia.
Francesco prova misericordia verso questo uomo, sono toccate le sue viscere, nonostante si presentasse quasi indemoniato. Poi Francesco ascolta la situazione drammatica e gli lascia sfogare la sua rabbia ben sapendo che la sua grossolanità era dovuta alla sofferenza fisica e psichica; sente compassione per quell’uomo divenuto una piaga puzzolente; non lo giudica ma cerca di comprenderla come se la sperimentasse sulla propria pelle. Un giorno don Oreste davanti alla piaga della prostituzione, vedendo la mia rabbia, disse: “Francesco non esistono lupi cattivi, esistono solo lupi infelici!”.
Possiamo avere tanti doni e qualità, ma non avere l’amore. Puoi fare un sacco di cose belle solo per estetica ma l’amore ha come fine l’altro. Senza l’amore non sono nulla (dice Paolo in 1Cor 13). È l’amore che da l’essere. È l’amore ciò che serve. Il modo in cui facciamo l’amore è la questione seria. L’amore è da Dio. “I tuoi frati caro Francesco non mi servono come debbono” dice il lebbroso difficile. Un povero si accorge subito da come ti muovi. Mi disse un giorno un giovane, Marco, che presta servizio alla Caratas: “Una famiglia a cui portavo ogni settimana il pacco era inavvicinabile, fredda, irraggiungibile. Un venerdì andai da loro, sapevo che c’erano tutti in casa; portai invece del pacco un mazzo di fiori. Mi dissero: Finalmente ci hai visti”. Amare come Cristo ama. Il primo dono che il povero ha da attendersi da noi non è tanto un piatto di minestra, quanto lo stabilirsi di una amicizia, di una fraternità; solidali e lieti di vivere con loro.
Esistono due tipi di conoscenza: quella che nasce dai fatti e quella che nasce dall’amore. Quella dei fatti, prima conosce e poi ama. Quella dall’amore, prima ama poi conosce. Quest’ultima è il tipo di conoscenza tipica dell’innamorato e della persona spirituale il cui cuore è inondato dell’amore di Dio. Per noi spesso le cose prima le capiamo poi le amiamo; le cose di Dio invece spesso le amiamo e poi le comprendiamo.
Un ultimo accenno riguarda una distinzione che ritrovo nell’episodio di Francesco con i lebbrosi: passare dall’impegnarsi al compromettersi (non sono la stessa cosa). Ci si impegna in molte cose e vengono attivate responsabilità, servizio, capacità, ruoli, si acquisiscono abilità: nell’impegno si attivano intelletto e volontà. Ma per passare dall’impegnarsi al compromettersi ci vuole l’attivazione dell’affettività nel suo grado più alto di affidamento.
A noi che siamo custodi di una memoria viva del carisma, il nostro Ministro generale, fra Massimo Fusarelli, ha indirizzato una lettera per la V giornata del povero, chiedendoci un tempo e un gesto nel quale comprometterci con i poveri; perché la brace continui ad ardere in noi.
Domani, nell’ultimo passo, vogliamo svelare la beatitudine del povero.
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