Questa mattina, presso la Basilica papale di Santa Maria degli Angeli, la celebrazione delle lodi e dell'ufficio delle letture sono state arricchite da una meditazione sul Venerdì Santo da parte di p. Emanuele Gelmi. In seguito riportiamo le sue parole:
Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto. Ecco, con questo passo della passione di Giovanni vorrei che entrassimo in questa giornata di contemplazione del mistero della passione di Gesù Cristo perché senza la passione non c’è risurrezione. La Chiesa da sempre ci mostra e ci invita a vivere la Pasqua di risurrezione di Gesù in un unico grande giorno, partendo dalla cena del Signore per passare poi alla passione e la morte e poi il sabato Santo per contemplare in pienezza gli eventi che sono accaduti e che accadono sia nella vita di Gesù ma anche nella nostra vita. Vorrei che ci lasciassimo guidare in questa giornata dagli sguardi di alcuni personaggi che erano sotto la croce di Gesù. Sotto la croce abbiamo tanti personaggi, ognuno con una sua storia e il suo desiderio. Abbiamo le persone di servizio, i soldati, quelli che hanno portato Gesù sulla croce insieme ai ladroni, semplicemente per adempiere un dovere. Essi erano semplicemente alcuni dei tanti malfattori che venivano condannati. Con quale sguardo queste persone avranno visto il Signore Gesù? Forse c’era qualcosa di insolito, certo più gente del solito. Forse percepivano che qualcosa non era diverso dalle solite condanne. Alcuni, forse non ha cambiato la vita perché avevano sugli occhi un velo che impediva loro di entrare in relazione con lui.
Altri come il centurione, al vedere come muore, ecco qui si aprono gli occhi. Egli riconosce che era veramente il figlio di Dio. Abbiamo poi i Giudei, i capi degli scribi e i capi dei sacerdoti. Coloro che hanno fatto di tutto per porre fine alla vita di Gesù per i loro interessi e per i loro scopi. Questi lo vedevano proprio come un traditore, una persona che aveva cercato di ingannare il popolo. Erano schiavi dei loro schemi religiosi. Avevano la legge di Mosè, avevano la possibilità di incontrare il figlio di Dio, eppure il loro sguardo era bloccato sul passato e non sono riusciti a contemplare il presente dove Dio finalmente aveva mandato la pienezza dei tempi.
Abbiamo poi anche quelli che passavano di lì. Essendo un luogo molto vicino a Gerusalemme, tanta gente passava di lì e lo guardavano senza particolare interesse. Forse avevano sentito parlare di lui perché comunque Gesù era una persona conosciuta, faceva parlare di sé. Lo guardano con derisione, schernendolo e chiedendo di dimostrare che fosse realmente il Figlio di Dio, come se non avesse fatto abbastanza e come se non avesse compiuto già abbastanza prodigi. Il loro sguardo, è superficiale, irrisorio, di persone di passaggio che non vengono toccati da questa presenza. C’è anche tutto il popolo che sta a vedere, che hanno anche ascoltato questo Gesù, forse si sono anche lasciati toccare dalle sue parole si sono forse anche commossi, ma hanno seguito un’emozione, un sentimento, qualcosa che finisce. Nel dubbio rimangono lontani, non si coinvolgono, stanno a guardare. Essi non hanno il coraggio di dare seguito alle azioni che hanno fatto, seguendo Gesù.
Poi abbiamo queste donne, queste che sono lì vicino alla croce. Esse hanno lo sguardo di chi ama il Signore Gesù. Non si può cambiare lo sguardo in maniera immediata. Ci vuole una vita, un’educazione, un percorso, un cammino. Per educare il nostro sguardo a riconoscere il signore Gesù bisogna imparare prima nella vita quotidiana di tutti i giorni, e poi nei momenti di difficoltà, sotto la croce. Come purificare il nostro sguardo? Come non essere semplicemente spettatori? Da questo evento che è cambiato il mondo. In effetti, il mondo cambia ogni giorno, se noi lo guardiamo con gli occhi dell’amore. In questo senso, possiamo lasciarci guidare da Francesco di Assisi. Uscendo da questa Chiesa, dietro la Porziuncola possiamo vedere questo pezzo di affresco dove Francesco abbraccia la base della Croce di Gesù. Così Francesco ci indica come stare vicino a Gesù sotto la croce: abbracciandola, non giudicandola e neppure guardandola semplicemente da lontano. Non semplicemente irridendo ma facendola nostra. Non è Gesù che ci manda le croci. Non è Dio che gode del male o delle nostre tribolazioni. Invece Francesco ha capito che Gesù ha portato la sua croce per darci l’esempio e continua a portare la nostra ogni giorno. Chiediamo allora al poverello di Assisi di aiutarci. Lui che ha abbracciato la sua croce, l’ha portata con fatica, ma sempre con fede e abbandono, a tal punto che ha accolto la morte cantando, sapendo che, la risurrezione, è una realtà concreta. Con il suo esempio chiediamo di entrare, in queste giornate, con questo sguardo purificato. “Ecco, volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto”. Ma la morte non è l’ultima parola, lo sarà la risurrezione.
Emanuele Gelmi Porziuncola Riflessione Venerdì Santo
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