Nel nostro Santuario di San Damiano si è svolto ieri un evento straordinario: il Cantico di san Francesco ha compiuto 800 anni (qui l'articolo)
Dopo aver celebrato il Natale di Greccio (1223), il dono delle Stimmate alla Verna (1224) e in vista del transito di Francesco (1226), siamo chiamati a ricordare quest’anno il Cantico delle Creature che risuona con la sua eco di speranza, proprio nell’anno del Giubileo ad essa dedicato.
La forza del suo messaggio ha attraversato i secoli ed ha richiamato tutte le famiglie francescane qui, dove Francesco ha composto questa lauda, così famosa nella sua semplicità.
Francesco vede con gli occhi di Dio
Talvolta nel parlare del Cantico ci dimentichiamo di un dettaglio importantissimo ma che sta alla genesi dello scritto, e che ne svela la potenza: Francesco è cieco quando lo compone. Già malato, la sua vista esteriore ormai è scomparsa, ma la luce interiore gli fa vedere tutto come presenza, come traccia di Dio, e tutto gli rimanda il significato della presenza dell’Altissimo. Francesco vede tutto con gli occhi di Dio.
All'inizio della sua vocazione, invece, è esattamente l’opposto: è cieco interiormente. Davanti al Crocifisso di San Damiano, in questo stesso luogo, lui invoca il Signore: “Illumina le tenebre del cuore mio”, perché è cieco spiritualmente, non riesce a interpretare il desiderio del suo cuore.
Questo ci racconta la rappresentazione di un Dio che lo accompagna e lo trasforma. Mi vengono in mente le parole di San Paolo “Anche se il nostro uomo esteriore si va disfacendo, il nostro uomo interiore si rinnova di giorno in giorno” (2Cor 4:16).
Un girotondo intorno all’Altissimo
Il Cantico di Frate Sole è un’opera letteraria meravigliosa che ci coinvolge dentro un grande girotondo.
Mi immagino Francesco che prende per mano ogni creatura, comprese l’infermità, la tribolazione e la morte, e fa un grande girotondo intorno all’Altissimo, lodando nelle sue creature le loro caratteristiche specifiche, particolarissime.
Nel Cantico racconta della sua esperienza con il sole (radiante), le stelle (pretiose), l’acqua (humile e casta), il fuoco (robustoso): a ciascuna delle creature, nel suo volgare così diretto ed eloquente, dona un aggettivo. Compresa la morte. Un'esperienza, quest’ultima, che lui chiama sorella, perché ogni giorno la sperimentiamo nelle piccole e grandi morti quotidiane, nell’incontrare e vivere le sfide che ci fanno un po’ morire. Ma poi, affrontandole, diciamo ne è valsa la pena, ne è valsa la gioia.
Per cui anche la morte per Francesco è qualcosa di familiare e lui le restituisce la dignità: essa non ha il potere di togliere nulla, anzi accresce ancora più il valore e il significato della vita. Francesco così ci dice che il buio, l'infermità, la tribolazione e la morte non hanno vinto, non hanno l’ultima parola sul mondo. Ormai la luce è accesa ed è una luce Pasquale, della quale ci possiamo fidare. Questi sono motivi più che validi per cantare la lode al creato, lode dal respiro universale, e celebrare la vittoria su ogni presunzione della morte che è gelosa – e golosa! – e vuole farci credere che ha vinto lei. Ma in realtà ha vinto la Luce, quella che proclamiamo nel Credo (Luce da Luce) e che abbiamo appena celebrato nel Natale.
Figli della lode
Infine, il cantico è lode.
Ogni cristiano che celebra la liturgia delle ore inizia la sua preghiera con le lodi. La preghiera di lode è la preghiera di chi vuole prima di tutto riconoscere la positività della vita, il valore che va oltre ogni afflizione che ci può soffocare. La lode ci ricorda che tutto è un dono, tutto è grazia, tutto è possibilità.
Francesco ce lo dice da una condizione di infermo, in una notte tribolata, in una notte travagliata: lui passa dal travaglio alla lode, perché la lode è la potenza di una relazione da figli di Dio, certi di avere un Padre che è dalla nostra parte, ormai distanti dal veleno della negatività.
La lode ci sintonizza in modo corretto dandoci le giuste coordinate dentro il quale porci.
Francesco fino all'ultimo, con tutte le fatiche degli ultimi suoi sei anni, ci racconta che noi siamo i figli della lode, che nasciamo da un Dio che quando ci guarda vede che tutto è molto buono, e loda per quelle creature che sono nate dal suo cuore innamorato.
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