Si prova sempre un notevole imbarazzo a parlare della morte: da un lato se ne ha paura; dall’altro, forse, si teme di cadere nella superficialità o, peggio ancora, nella retorica. Il più delle volte si cerca di esorcizzarla con il silenzio, tentando di rimuoverla dal vissuto quotidiano.
Francesco, invece, si confrontò a lungo con essa, fino a mostrarne la luce, e riuscì a farlo in mezzo a miserie tutte umane e sofferenze fortissime, fisiche e spirituali. Miserie umane, anzitutto: il primo biografo, non senza crudezza, riferisce che i suoi concittadini speravano che Francesco morisse in Assisi.
Nelle ultime settimane di vita, egli fu guardato a vista dagli assisani, i quali avevano tutto l’interesse a conservare entro le mura della loro città le reliquie di un santo che non avrebbe fatto mancare alla comunità la sua protezione.
Sofferenze fisiche e spirituali, poi. Negli ultimi anni le malattie presero progressivamente il sopravvento, minando definitivamente un fisico che non fu mai di tempra eccezionale. La crescente cecità, che verso la fine divenne quasi totale, gli impediva di muoversi liberamente, per cui doveva essere sempre assistito da alcuni compagni. Inoltre, la crescita veloce del numero dei frati comportò notevoli problemi in merito all’evoluzione della nuova famiglia religiosa, ciò che causò a Francesco anche una profonda lacerazione interiore.
Furono, per lui, gli anni più duri. Un testo meritatamente famoso, qual è quello sulla vera letizia, si rivela a questo proposito di un’eloquenza disarmante: «Vattene, tu sei un semplice ed un idiota, qui non ci puoi venire ormai; noi siamo tali e tanti che non abbiamo bisogno di te». Come se Francesco stesso si sentisse ormai fuori posto nelle pieghe che gli eventi stavano prendendo.
Eppure, nonostante questo contesto umanamente avvilente, gli ultimi tempi della sua vita furono non un’agonia, ma un parto. Con piena coscienza avvertì il momento della morte. Dopo che, al suo capezzale, il medico – che aveva insistentemente sollecitato – gli ebbe rivelato le reali condizioni del suo stato di salute dicendogli con tutta franchezza che si trattava di una malattia incurabile, Francesco iniziò a lodare il Signore: «Ben venga sorella morte».
Allo stesso modo, quando un compagno gli presentò le sue ormai tragiche condizioni, Francesco non mancò di lodare il Signore. Poi fece chiamare, da quello stesso frate, Leone e Angelo affinché gli cantassero il Cantico di Frate Sole e prima dell’ultima strofa inserì la lode di sorella morte.
Arrivò perfino a chiedere, con gesto di grande umanità, che madonna Jacopa gli portasse dei dolcetti che a lui piacevano tanto. Perché quando si crede davvero all’eternità il tempo acquista una nuova luce e la fede, quando c’è, cambia la vita e fa vedere con occhi nuovi ogni cosa.
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