Il 24 maggio 2015 papa Francesco ci consegnò la sua prima enciclica sociale sulla cura della casa comune Laudato si’ (d’ora in poi LS), e nel maggio 2020 si sono tenute diverse iniziative per festeggiare il suo quinto anniversario.
Nel dare il nostro piccolo contributo vorremmo cogliere l’invito che Francesco fa quando scrive: «Le riflessioni teologiche o filosofiche sulla situazione dell’umanità e del mondo possono suonare come un messaggio ripetitivo e vuoto, se non si presentano nuovamente a partire da un confronto con il contesto attuale, in ciò che ha di inedito per la storia dell’umanità» (LS 17).
Proviamo quindi ad applicare alcuni criteri di analisi che emergono da questo documento per avere uno sguardo profetico su questo tempo caratterizzato dalla pandemia di Covid-19 al fine di chiederci: abbiamo una responsabilità in questa vicenda? Se sì, qual è stato il nostro ruolo? Quindi, come siamo chiamati a contribuire per un futuro migliore?
Alle origini della pandemia
In attesa delle presunte prove dichiarate dal presidente statunitense Trump che dimostrerebbero come il virus Sars-CoV-2 sarebbe stato creato in un laboratorio di Wuhan, una delle ipotesi più accreditate sull’origine del virus è un salto di specie dagli animali all’uomo: il cosiddetto spillover. In estrema sintesi, lo spillover avviene quando un patogeno proveniente dagli animali evolve e diventa in grado di infettare l’uomo, determinando una zoonosi, cioè una malattia trasmissibile dall’animale all’uomo. Il virus della rabbia, l’ebola, l’influenza A, l’HIV sono alcuni esempi. In particolare, le zoonosi degli ultimi anni hanno più volte visto protagonisti virus della famiglia dei Coronavirus, causa appunto delle epidemie di Sars, Mers e dell’attuale Covid-19. Il salto di specie necessita in genere di un contatto prolungato tra uomo e animale portatore in origine del patogeno: più persistente e ravvicinata è quest’esposizione animale-uomo, più è statisticamente probabile che un virus divenuto potenzialmente capace di infettare le cellule umane si trasmetta effettivamente all’uomo. Lo spillover di virus nuovi in particolare è favorito dalla nostra frequentazione di specie selvatiche come i pipistrelli che sono il serbatoio naturale di centinaia di virus, compreso, presumibilmente, quello che ci sta affliggendo. Le possibilità che l’uomo entri in contatto con un determinato tipo di pipistrello sono abbastanza limitate normalmente. Lo sono, a dir vero, un po’ meno se pensiamo che nel mercato di Wuhan da cui è partita l’epidemia si vendono vivi e si macellano animali selvatici tra cui pipistrelli, rane, ricci, serpenti insieme ad animali domestici. Una specie intermedia ha fatto da anello di congiunzione tra i pipistrelli e l’uomo e dall’analisi del genoma virale il maggiore indiziato sembrerebbe essere ad oggi il pangolino. Vale a dire un animale in via di estinzione, decimato dal traffico illegale della sua carne che è servita come cibo pregiato nei ristoranti, e delle sue scaglie, millantate come rimedio nella medicina tradizionale cinese.
Le malattie infettive esistono da sempre, ma ci sono evidentemente elementi del modo in cui viviamo che facilitano eventi potenzialmente drammatici come quello che stiamo vivendo. Il commercio selvaggio e l’utilizzo come cibo di animali selvatici è uno di questi.
Inoltre, l’espansione delle aree urbane, la razzia di spazio naturale ceduto alle attività agricole e di allevamento intensivo, e la deforestazione hanno sottratto habitat alle specie selvatiche costrette a una coabitazione ravvicinata con l’uomo e con animali domestici, elemento in grado di facilitare lo spillover.
Ma c’è qualcosa che ci riguarda ancora più da vicino. Siamo quasi 8 miliardi di esseri umani di cui più della metà concentrati in grandi centri urbani: la crescita disordinata delle città e il sovraffollamento hanno un ruolo determinante nella trasmissione di un’infezione oltre che incidere pesantemente nella qualità di vita della popolazione (LS 44). A questo si aggiunge il fatto che il flusso quotidiano di persone che si spostano per motivi economici e turistici da un capo all’altro del mondo favorisce il rapido trasporto di agenti patogeni.
La tecnologia ci salverà?
Per papa Francesco la radice della crisi socio-ambientale che stiamo vivendo, nella quale possiamo inserire questa pandemia e le modalità con cui è stata affrontata fin d’ora, è da ricercarsi nel paradigma antropologico vigente: quello tecnocratico. Secondo questa mentalità la realtà viene concepita come un oggetto “informe” e “totalmente disponibile” alla manipolazione umana (LS 106). È una visione che conferisce al progresso tecnico-scientifico pieni poteri e che guida il mondo della politica e dell’economia sull’assioma di una massimizzazione del profitto. Ma, ci ricorda la LS, «che il progresso della scienza e della tecnica non equivale al progresso dell’umanità̀ e della storia» (LS 113).
Lo stiamo vedendo con la vicenda della ricerca di un vaccino, speranza a cui è appesa la salvezza del mondo intero. Svariati leader politici, l’Onu, l’OMS, l’Unione Europea ribadiscono che la cura al Covid-19 è un bene pubblico, che il suo accesso deve essere universale, che il vaccino deve essere sottratto alla legge del mercato. Eppure, è evidente che appena e se sarà disponibile, non sarà subito per tutti. Nella giungla della corsa alla cura e dell’accaparramento delle prime dosi si combatte una battaglia geopolitica di dimensioni abnormi. Già a Marzo 2020 gli Stati Uniti avevano cercato di acquistare per sé il vaccino in studio dalla società tedesca CureVac, garantendosi una precedenza nella distribuzione rispetto al resto del mondo; più recentemente la storia si è riproposta con la ditta francese Sanofi. Ci libererà davvero la scoperta di una cura o la forza dell’investimento finanziario dello Stato a cui abbiamo la fortuna o sfortuna di appartenere?
Un’altra caratteristica di questo paradigma è l’individualismo, che si esprime anche come affermazione degli interessi nazionali ad ogni costo. Ricordiamo che la stessa presidente della Banca Centrale Europea, C. Lagarde, inizialmente ha avuto posizioni dure rispetto alla richiesta d’aiuto da parte dell’Italia, il primo Paese europeo pesantemente colpito dalla crisi sanitaria ed economica.
Il progresso, da solo, non ci salva, o sicuramente non ci salva insieme. Verrebbe da dire con le parole di Papa Francesco che «i progressi scientifici più straordinari, le prodezze tecniche più strabilianti, la crescita economica più prodigiosa, se non sono congiunte ad un autentico progresso sociale e morale, si rivolgono, in definitiva, contro l’uomo» (LS 4).
Nel frattempo, dall’altra parte della terra, la regione dell’India più duramente colpita dal coronavirus sta lottando contro il dramma del contagio e insieme contro l’attacco ai già precari diritti civili. Il leader governativo locale ha decretato la sospensione di quasi tutti i diritti dei lavoratori giustificandolo con la necessità di garantire flessibilità nell’impiego e nella produzione a fronte della crisi in atto. Si alza così il carico orario settimanale, scompaiono le norme di sicurezza sul lavoro, vengono meno le disposizioni che regolano il guadagno minimo mensile e i limiti per gli imprenditori di licenziare senza una valida causa. I milioni di lavoratori sfrattati che si sono ritrovati fuori dalle regioni di origine allo scattare del lockdown, senza soldi, senza cibo, senza assistenza, si sono messi in marcia seguendo i binari ferroviari diretti a piedi verso le loro case. Alcuni di loro sono morti travolti da un treno merci che transitava. Al tempo del Covid-19, qualcuno deve anche scegliere di che morte morire.
E’ la cultura dello scarto, diremmo con le parole dell’enciclica, che «colpisce tanto gli esseri umani esclusi quanto le cose che si trasformano velocemente in spazzatura» (LS 22). Queste voci diverse dal mondo ci ricordano che forse siamo tutti nella stessa tempesta, ma non siamo tutti sulla stessa barca: né nel microcosmo delle nostre realtà locali, né nei raffronti planetari. I balconi da cui abbiamo cantato (almeno per chi ce li aveva) erano profondamente diversi tra loro, così come le necessità delle persone che abitavano quelle case con le bandiere e i cartelloni appesi alle finestre.
La tecnocrazia non può contenere tutte le dimensioni della vita, perché manca della visione d’insieme: «La frammentazione del sapere assolve la propria funzione nel momento di ottenere applicazioni concrete, ma spesso conduce a perdere il senso della totalità, delle relazioni che esistono tra le cose» (LS 110).
Ma c’è un’alternativa?
Papa Bergoglio dice di sì, proponendoci un nuovo paradigma di giustizia che parte dal riconoscimento del «posto specifico che l’essere umano occupa in questo mondo e le sue relazioni con la realtà che lo circonda» (LS 15). Tutto il Creato è connesso e ogni pezzo del puzzle è degno di considerazione e di rispetto perché sostiene gli altri tasselli.
È necessaria però una conversione, una conversione “ecologica” che porti ad un cambiamento del cuore, dello sguardo e del comportamento. L’uomo convertito all’ecologia integrale non può non ascoltare il grido della terra senza prestare la mano al fratello che chiede aiuto, battersi contro l’estinzione della foca monaca senza lottare per il rispetto della vita umana scartata. Se c’è una radice comune tra la crisi dell’ambiente e quella della società, i problemi dell’ambiente vanno analizzati insieme a quelli delle persone che lo abitano considerando le interazioni tra contesti familiari, lavorativi, urbani, istituzionali.
L’ecologia integrale è un invito a sentirsi parte del tutto, solidali e consapevoli «di un’origine comune, di una mutua appartenenza e di un futuro condiviso da tutti» (LS 202). E’ una sfida lanciata a uomini e donne di buona volontà a lavorare per il bene del mondo, con creatività ed eccedenza, anche se i frutti di quello sforzo li trascenderanno nel tempo e nello spazio.
Queste parole possono diventare concretezza ai giorni nostri ad ogni livello di applicazione e gli esempi si sprecano. Dalla messa in campo di strumenti economici audaci a sostegno della crisi a una spesa consegnata a domicilio per chi non può permettersi di uscire. Dal rispetto del distanziamento sociale ad una strategia internazionale per lo sviluppo di un vaccino. Dalla vicinanza espressa tramite una videochiamata al lavoro degli organismi preposti per garantire stabilità finanziaria e protezione dalle speculazioni. Da una consumazione al bar servita nel rispetto delle norme igieniche a uno smaltimento corretto dei rifiuti domestici. Dallo sforzo di una produzione locale che si riconverte per fare mascherine a quello di una piccola radio che nasce per tenere compagnia ai suoi cittadini in quarantena. Dalla limitazione dei consumi in base alle reali necessità agli acquisti che premiano la sostenibilità del lavoro e dei prodotti. Sono esperienze che fanno ben sperare: perché anche nel dramma di questa pandemia, c’è molto di bello e di buono nell’umanità che ha provato a impegnarsi, reinventarsi e farsi vicina per superare la crisi.
In LAUDATO SI'’MI'’SIGNORE, di Marco Asselle
dal n. 2/2020 della Rivista Porziuncola
Photo credits PIRO4D - Pixabay
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