L’incontro mi è propizio per riflettere sulla natura e sulla responsabilità che comporta la missione a cui, nella sua amorosa provvidenza, Dio Vi ha chiamati. La vostra, infatti, può ben essere considerata come una vera e propria vocazione all’azione politica: in pratica, al governo delle nazioni, alla formazione delle leggi e all’amministrazione della cosa pubblica, a vari livelli.
È necessario allora interrogarsi sulla natura, sulle esigenze e sugli scopi della politica, per viverla da cristiani e da uomini consapevoli della sua nobiltà e, insieme, delle difficoltà e dei rischi che essa comporta. La politica è l’uso del potere legittimo per il raggiungimento del bene comune della società: bene comune che, come afferma il Concilio Vaticano II, “si concreta nell’insieme di quelle condizioni sociali che consentono e favoriscono negli esseri umani, nelle famiglie e nelle associazioni il conseguimento più pieno e più spedito della propria perfezione” (Gaudium et spes, 74).
L’attività politica deve perciò svolgersi in spirito di servizio. Giustamente il mio predecessore Paolo VI ha affermato che “la politica è una maniera esigente...di vivere l’impegno cristiano a servizio degli altri” (Octogesima adveniens, 46). Perciò, il cristiano che fa politica - e vuole farla ‘da cristiano’ - deve agire con disinteresse, cercando non l’utilità propria, né del proprio gruppo o partito, ma il bene di tutti e di ciascuno, e quindi, in primo luogo, di coloro che nella società sono i più svantaggiati.
Nella lotta per l’esistenza, che talvolta assume forme spietate e crudeli, non sono pochi i ‘vinti’, che vengono messi inesorabilmente da parte. […] Questa deve essere, appunto, la preoccupazione essenziale dell’uomo politico, la giustizia: una giustizia che non si contenti di dare a ciascuno il suo, ma tenda a creare tra i cittadini condizioni di uguaglianza nelle opportunità, e dunque a favorire quelli che per condizione sociale, per cultura, per salute rischiano di restare indietro o di essere sempre agli ultimi posti nella società, senza possibilità di personale riscatto.
Giovanni Paolo II
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