Il Padre Nostro
Da inizio ai riti di comunione ed è una preparazione alla ricezione dell’eucaristia. In esso si chiede, ancora una volta, il perdono del Signore per giungere allo stato di purezza necessario per accostarsi alla sua mensa. E’ la preghiera comunitaria dei discepoli di Gesù, che viene rivolta al Padre per chiedere l’avvento del suo regno. In quanto figli, ci possiamo rivolgere a Dio chiamandolo Padre, seppur con il dovuto riguardo (“osiamo dire”). Dio è Padre di tutti, ma solo i battezzati si possono rivolgere a lui con la preghiera che Gesù ci ha insegnato. La preghiera è introdotta da un invito a mettere in pratica il comando del Signore («Obbedienti alla parola del Salvatore…»), ed è seguita dalle parole del sacerdote che spiegano ed esplicitano meglio le ultime parole della preghiera stessa («non ci indurre in tentazione…»).
Acclamazione dossologica ( «Tuo è il Regno… » )
È un’acclamazione presente già nella Didachè, un testo risalente al I secolo d.C., ed esprime la convinzione forte di tutti i presenti che Dio è Signore dell’Universo. Essa si collega molto bene all’invocazione “venga il tuo regno”.
Il rito della pace
Il segno della pace rende esplicito che l’assemblea sta celebrando una comunione, resa ora possibile fino in fondo: siamo in pace con tutti, siamo riconciliati come fratelli, possiamo ricevere il corpo di Gesù. “La pace sia con voi” è il saluto iniziale del celebrante ed è presente nel saluto finale “Andate in pace”. La pace che ci scambiamo reciprocamente è quella che il Signore ci dona “Vi lascio la pace, vi do la mia pace”. La pace ricevuta in dono deve poi essere donata ai fratelli per questo il sacerdote invita allo scambio di pace che viene dato al vicino, ma attraverso di esso, al mondo intero.
Frazione del pane
Il significato primario della frazione del pane è quello di “richiamare” il gesto dell’ultima Cena: Gesù spezzò il pane per distribuirlo ai discepoli. Come dice san Paolo (1Cor 10,17), dalla comunione di tutti con parti dell’unico e medesimo pane, scaturisce l’unità nella molteplicità. Il pane spezzato rimane lo stesso Corpo di Cristo, e tutti coloro che ne mangiano formano un unico corpo con Lui. Nella frazione del pane è presente un altro simbolismo: quel pane spezzato rappresenta il corpo di Cristo sacrificato sulla croce.
L’agnello di Dio
Il sacerdote spezza il pane divenuto ormai corpo di Gesù, di quel Gesù risorto che toglie i peccati del mondo. L’immagine dell’agnello sacrificale è comunione nell’Antico Testamento; qui il riferimento è al libro di Isaia, nel quale si parla del servo sofferente, che come un agnello si lascia condurre al macello (Is 53,7). Nel libro dell’Apocalisse l’agnello immolato vive nella potenza e nella gloria di Dio (Ap 5,9; 19,7-8; 21,9). Riconoscere Gesù Cristo quale agnello di Dio significa proclamare lui quale nostro liberatore del peccato. Ecco perché sono davvero beati quelli che partecipano alla mensa del Signore.
Unione delle specie consacrate
Questo rito che consiste nel depositare nel calice una particella dell’ostia consacrata, si trova in tutte le liturgie primitive, sebbene in forme differenti. Esso ha diverse origini: a Roma, per qualche tempo non venne compiuto durante la messa celebrata dal Papa, ma solo in quella celebrata dai presbiteri, ai quali veniva inviato, per mezzo di un accolito, una particella dell’Eucaristia celebrata dal Papa, come espressione dell’unità della Chiesa e come segno della comunione con lui. In altre parti, vi era poi l’uso di immettere nel calice una particella della messa del giorno precedente, per rappresentare così la continuità nel tempo dell’unico sacrificio di Cristo. Attualmente, l’unione delle specie è simbolo dell’unità della persona di Cristo glorioso.
Ostensione e preghiera
A questo punto, il sacerdote mostra ai fedeli il pane eucaristico per un duplice scopo: mostrare che Cristo è la vittima immolata per i nostri peccati, e invitare i fedeli ad assumere il corpo di Cristo come cibo, difesa e liberazione dai mali. Mentre compie questo gesto, infatti, il sacerdote pronuncia le parole «beati gli invitati». Si tratta di una formula che ha un marcato carattere sacrificale e conviviale. La risposta dei fedeli a queste parole del sacerdote è una professione di fede nella divinità e nella potenza del Cristo, ed una espressione di umiltà. Con esse manifestiamo la convinzione che Gesù nell’Eucaristia può guarire la nostra anima da tutte le sue malattie.
L’atto della Comunione
Attualmente l’assemblea si predispone processionalmente alla ricezione della specie consacrate. E’ prescritto che i fedeli compiano una riverenza prima di assumere il corpo di Cristo. Dal 1989 è consentito ricevere l’ostia nella mano. Chi sceglie questa modalità porta la mano destra sotto la sinistra così da poter portare l’ostia alla bocca. Prima di ricevere l’ostia si fa un inchino e si risponde “Amen” alle parole del sacerdote. Ricevuta l’ostia sulla mano, ci si deve spostare di lato e comunicarsi stando ancora davanti al sacerdote. E’ obbligatorio che sia il sacerdote a distribuire e mai i fedeli ad attingere direttamente dalla pisside o dal calice. Mentre l’assemblea riceve la Comunione, si esegue un canto che serve a creare un clima gioioso di affiatamento spirituale fra i partecipanti, per meglio disporli al convito eucaristico.
Terminata la distribuzione, si può sostare in silenzio – ance stando seduti – per contemplare e meditare il mistero che si è celebrato. Ricevere il Corpo di Cristo è la forma più alta possibile della nostra comunione con il Signore risorto. Tutto avviene ancora nel segno sacramentale, in attesa che ciò si realizzi in pienezza nel Regno di Dio, quando la comunione sarà piena. Perciò, in quel momento, ma anche durante tutta la celebrazione, il credente vive, a modo suo, un “pezzetto” di vita eterna, un “pezzetto” di Paradiso.
Comunione Eucaristia Liturgia Padre Stefano Orsi
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