Una sintesi delle ipotesi archeologiche
Com’è noto, gli scavi del 1966-1969 e 1982 tra la Porziuncola e la Cappella del Transito e sotto il presbiterio nella Basilica di Santa Maria degli Angeli sono stati seguiti, studiati e pubblicati da prestigiose archeologhe: Angiola Maria Romanini (1989), Maria Righetti Tosti Croce (1989), Letizia Pani Ermini (2008) e Donatella Scortecci (2011). Le loro conclusioni – a parte le consonanze e differenze in taluni particolari – ci sembrano le seguenti.
La prima: il mattonato dello stanzone trapezoidale ritrovato sotto il presbiterio, nella cripta attuale, sarebbe “pertinente ad un edificio che a buon diritto può dirsi Casa del Comune populus Assisii, di tipologia laica, cittadina, atta a ospizio per lebbrosi o per riunioni assembleari” (Romanini, 56-9).
La seconda: i muri (A, B etc) emersi presso l’attuale Cappella del Transito sarebbero, su precedenti romani, di insidenze benedettine, a servizio della Cappella campestre della Porziuncola. Mentre i muri elevati (A) di ovest-nord-est sarebbero, in parte, reliquia (difesa e conservata tenacemente dai frati, a fronte delle distruzioni alessiane) dove Francesco abitò i suoi ultimi giorni e ivi morì.
E ne deducono la terza conclusione: “Francesco, morto non già all’interno della stanza in cui aveva chiesto lo trasferissero già agonizzante, ma fuori di essa, là dove negli ultimi istanti volle essere portato all’aperto per morirvi sulla nuda terra” (ivi, 85).
Queste in sintesi le conclusioni archeologiche. Non ci convinsero, né ci convincono: ad esse si oppongono le ragioni delle fonti letterarie francescane e porziuncolane, che qui vogliamo brevemente esporre, riproponendo – come da promessa – quanto l’indimenticabile p. Marino Bigaroni desiderava, negli ultimi tempi, ardentemente ribadire (cfr. Marino Bigaroni, La “Domus Comunis Assisii”, Chiesa Nuova, 2001).
Una proposta alternativa
Alla prima conclusione archeologica: le fonti dimostrano ad abundantiam che la Domus Comunis Assisii (1221) è servita ai frati compagni di Francesco come Infermeria (casa non dei frati ma del Comune) per accogliere Francesco che, dalla casa dell’episcopio di Assisi, voleva, in condizioni gravissime, finire e morire presso la tanto amata Porziuncola dove aveva iniziato.
Del resto, anche le ipotesi archeologiche di spostare sotto il presbiterio la Casa del Comune, sono del tutto generiche. Stanzone per lebbrosario? Ma nelle fonti mai un accenno a lebbrosario alla Porziuncola, nello spazio dei frati: è impossibile! Stanzone per riunioni capitolari al coperto? Si trattava di migliaia di frati! Niente vieta – ipotesi per ipotesi – pensare (con quei pochi resti di canalizzazione) ad un ambiente domestico nell’espansione del conventino più tardo tra metà Duecento e Trecento.
Alla seconda conclusione archeologica: le fonti non parlano mai, in nessun modo, di altre costruzioni murarie esistenti in loco: mai. Solo della Cappella Porziuncola e della magna Domus Comunis del 1221. E se parlano di domuncula dell’inizio (ancor prima di Rivotorto) o di domunculae (come quella di Francesco, poi Cappella delle Rose sulla via di Foligno), o di domus o casina o casellae, erano capanne di vimini e fango, “ex luto et vigminibus constructae”, e non case murate (come sembrano dire gli archeologi). Certo, se con sicurezza assoluta (e sbrigativa) si pone la Casa del Comune sotto il presbiterio, allora si è costretti a qualificare quei resti come… benedettini! Ma non è così: nelle fonti la Domus Comunis e l’infermeria dove morì Francesco sono la stessa cosa.
Quanto alla terza conclusione archeologica, il discorso si fa più complesso. Accogliamo anche i risultati in oggetto della campagna di scavi sotto il piano pavimentale realizzata da M.G. Fichera e M.G. Mancinelli e, per il profilo topografico e documentario, dalla prof. ssa A.M. Romanini che con sicurezza afferma: “la presenza di tracce del muro obliquo (muro A) sul filo perimetrale e complanare ai residui di un arco a mattoni inglobato nell’attuale muro occidentale della Cappella Transitus, costituiscono effettivamente e sorprendentemente la “Francisci reliquia”, venerata “ab origine” quale tangibile memoria del Transito di S. Francesco, “segnale indicatore, sempre più ritagliato, magari, per costruirvi un’apposita cappella per il culto”.
Ma poi la sicurezza si fa più cauta: “non già che si possa sin d’ora affermare con matematica certezza che il muro A è di fatto una reliquia come resto della porta attraverso la quale Francesco fu trasportato all’aperto…”. Ed ecco, con tono squillante, la sorpresa: “Ciò che si può sin d’ora affermare per certo – e le indagini archeologiche a tutt’oggi compiute non lasciano in questo senso possibile margine di dubbio – è che già la generazione dei “suoi” minori, testimone e subito successiva a tale evento, venerò come “Francisci reliquia” – e dunque come luogo “ubi Franciscus de hac vita migravit ad Christum” (e qui la cautela cede alla presunzione) – venerò esattamente il tratto di “nuda terra” che si estendeva, allora di fatto ancora “nuda” e vergine di costruzioni, subito ad est della porta conservata nel muro A”. Dunque si ritorna qui all’avverbio di luogo all’aperto, il cui senso, se prima, nel testo di sopra, c’era rimasto oscuro e anodino – ora è detto con rafforzata accentuazione: all’aperto; non nella stanza era morto Francesco, ma fuori, in quel tratto di terra nuda, ancor libera e vergine di costruzioni, di là dalla porta del muro A, a est! E si afferma che, di questo, le prime generazioni francescane n’eran consapevoli: lo sapevano!
Sorprendente. Ma non è vero. Questa non è una conclusione archeologica. E’ una forzata interpretazione in senso letterale inconsueta, estranea al nostro modo ordinario di parlare di ieri e di oggi. Come se “terra nuda” non fossa anche la “terra battuta” della stanza! Nessuna fonte francescana o porziuncolana la accenna o vi allude. Se fosse stata vera, se fosse morto fuori, lì, in quel terreno, i Compagni e i successivi avrebbero fatto la cappella cultuale. E invece l’han fatta dentro i perimetri della Casa del Comune.
Le antiche fonti letterarie sulla Cappella del Transito
Già Angelo Clareno da Fossombrone raccomandava in una sua lettera del 1334 a fr. Filippo da Castel d’Emilio e fr. Accomandolo da Foligno: “Ricordatevi di portare con voi i nomi dei dodici compagni del beato Francesco nell’ordine in cui sono scritti in quella cappella ricavata là dove Francesco passò da questa vita a Cristo”. Ed era già la cappella memoriale che poi lo Spagna decorò di affeschi, lì ancora esistenti, tra 1512 e 1514.
E fr. Bartolomeo da Pisa riportava nel suo De conformitate nel 1385 la voce comune: “Videns se ad mortem appropinquare, ad sanctam Mariam de Portiuncola se tranferri po poscit […] et ibi perveniens, in Infirmaria fuit locatus”. Come già negli anni Trenta del Trecento, dicevano gli Actus.
Concludendo allora diciamo ancora che le fonti francescane e quelle porziuncolane sono per noi decisive. Francesco è morto dentro la stanza della Domus Comunis divenuta infermeria, chiamata poi Cappella Sancti Francisci o Cappella Transitus.
In VECCHIE COSE NUOVE, a cura di Giulio Mancini
dal n. 3/2017 della Rivista Porziuncola
Cappella del Transito Giulio Mancini Marino Bigaroni Porziuncola Rivista Porziuncola Transito di San Francesco
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