“Se lotti hai già vinto!” (p. Bernardino De Vita)
Siamo arrivati alla terza ed ultima tappa di questo itinerario sul lessico cristiano. Dopo aver meditato sulla necessità del silenzio e della preghiera, in questa ultima tappa presentiamo un'aspetto fondamentale dell'esperienza di fede: la lotta.
Quando possiamo dire che un’esperienza religiosa è autentica? Le scienze umane ci ricordano che non esiste vero incontro con l’altro senza confronto con la diversità, il limite, la differenza. Incontrare un altro – nondimeno il “totalmente Altro” (R. Otto) che è Dio – comporta sempre un intervallo, un salto, una lotta. Una certa religione del benessere vorrebbe farci credere, oggi, che esista davvero la possibilità che questo incontro sia solo gratificante, consolante, con il rischio di ridurre l’esperienza di Dio ad un surrogato, ad una semplice esperienza di se stessi e del proprio desiderio.
La Bibbia, fin dalle prime pagine, ci presenta il cammino verso la comunione con Dio come una lotta tra l’uomo e la sua naturale inclinazione al male, tra il desiderio di infinito e i limiti che sempre caratterizzano la natura umana, tra l’amore per Dio e gli istinti egoistici che ne impediscono i frutti. Giacobbe, che vuole tornare in possesso della terra che Dio gli aveva promesso e riconciliarsi con il fratello Esaù, deve lottare tutta la notte al torrente Iabbok con un angelo misterioso, prima di ottenere la benedizione di Dio (Gen 32,23- 32). Non c’è benedizione, non c’è terra promessa, non c’è comunione con i fratelli se il credente non accetta la lotta, il combattimento spirituale.
Questa dimensione così essenziale ha segnato la spiritualità cristiana fin dal suo sorgere. Gesù, agli inizi della sua missione, si è sottomesso alla lotta contro le tentazioni del Nemico nel deserto, e per vincere la morte ha accettato di entrare nell’agonia (combattimento) del Getsemani. S. Paolo nelle sue lettere più volte presenta ai cristiani la necessità di lottare contro il maligno, lo spirito della carne e la mentalità del mondo, ed invita a vigilare e pregare, rivestendo “l’armatura di Dio”, e tenendo sempre in mano “lo scudo della fede” e “la spada dello Spirito, che è la Parola di Dio” (Ef 6,10-17). Quando guarda retrospettivamente la sua vita, lo stesso apostolo afferma: “Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa” (2Tm 4,7). Scrivendo ai Romani, precisa che questa lotta si combatte dentro il cuore dell’uomo (Rm 7), e che senza l’aiuto dello Spirito il cristiano non potrebbe giungere a salvezza.
Non esiste, quindi, una vita cristiana senza combattimento e dobbiamo guardarci da una certa presentazione dell’ideale cristiano come assenza di conflitti, buoni sentimenti, ingenuo evitamento della prova e della tentazione. L’esito vincente di questo combattimento è ciò che S. Paolo chiama “il frutto dello Spirito”, che è “amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé” (Gal 5,22). Nella fede sappiamo che a lottare non siamo soli, ma animati dallo Spirito di Colui che ha vinto la morte. Come diceva un nostro saggio confratello: “Se lotti hai già vinto!” (p. Bernardino De Vita).
In ABCEDARIO DELLO SPIRITO, di Massimo Reschiglian
dal n. 2/2016 della Rivista Porziuncola
Abecedario dello Spirito Bernardino De Vita Lotta Massimo Reschiglian Rivista Porziuncola
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