Discernere significa scegliere separando. Ci viene in aiuto l’immagine del setaccio: passare al setaccio significa vagliare attentamente. In campo spirituale si setacciano i pensieri e i sentimenti che abitano nella persona; lo strumento per vagliare è la Parola di Dio, la tradizione e il magistero della Chiesa; le mani che scuotono sono quelle della guida spirituale e della persona accompagnata.
L’atto dello “scegliere separando” è prima di tutto un dato antropologico originale: l’uomo è tale perché sceglie, perché esercita il dono divino della libertà. L’uomo resta e diventa sempre più uomo nella misura in cui sceglie separando. Quale setaccio e con quali mani? Il punto fondamentale è in questa domanda, perché se è vero che l’uomo ha in sé la libertà, essa è sempre guidata da un fine che ne determina anche il criterio, il setaccio appunto.
Se il fine della vita è il piacere, il setaccio saranno i sensi esteriori; se è la soddisfazione dei bisogni, il setaccio saranno le spinte istintive; se è un progetto autodeterminato, il setaccio saranno la propria intelligenza e i propri calcoli.
In questi casi il discernimento non è libero perché la persona è ridotta ora all’uno ora all’altro aspetto. Le mani che scuotono, il setaccio e il fine sono chiusi nell’individuo: non c’è relazione, ma solo un’affannosa ed inconcludente corsa che non raggiunge alcun fine perché ogni presunta soddisfazione apre in realtà ad un bisogno più intenso. Così si legge nel documento preparatorio al Sinodo dei giovani: «Offrire ad altri il dono che noi stessi abbiamo ricevuto significa accompagnarli lungo questo percorso, affiancandoli nell’affrontare le proprie fragilità e le difficoltà della vita, ma soprattutto sostenendo le libertà che si stanno ancora costituendo».
In modo paradossale accompagnare in un cammino di discernimento vocazionale significa “accompagnare alla morte”: passare dallo scegliere al lasciarsi scegliere, dal calcolo al dono, dalle competenze personali alla fedeltà di Dio alla sua promessa, dalla realizzazione personale al desiderio del Regno, dall’eros all’Agape, ecc…
Significa aiutare a scoprire che non è essenziale il “che cosa fare” ma il “Chi seguire”. Il rischio infatti è quello di trasformare la vocazione in un idolo, finendo per essere più interessati alla chiamata che a Colui che chiama. Ecco perché inscindibile dal percorso di discernimento è quello della purificazione: dalla falsa immagine di Dio, dalla propria concezione di vocazione, dalla concezione di se stessi, dalla propria idea di Chiesa.
L’accompagnamento vocazionale ha come primo scopo condurre ad un cammino di integrazione tra vita e fede, in cui la persona matura una libertà da sé, nella logica del dono.
Ciò chiede di “prendere carne” nel quotidiano attraverso una vita vissuta al modo filiale e fraterno, come ricordano i vescovi: «la fede, in quanto partecipazione al modo di vedere di Gesù, è la fonte del discernimento vocazionale […] Accogliere con gioia e disponibilità questo dono della grazia richiede di renderlo fecondo attraverso scelte di vita concrete e coerenti» .
Si tratta di un percorso per aiutare il giovane a scoprire che Dio è vivo e continuamente si rivela nella relazione personale, dentro le pieghe della vita. Poiché «scopo del discernimento vocazionale è scoprire come trasformare alcune scelte alla luce della fede», la persona viene iniziata a vivere il lavoro, lo studio, gli incontri, al modo di Cristo.
Solo il Signore, con la sua Parola e il suo Spirito, è in grado di accompagnare il cammino della persona! L’incontro con Cristo trasforma, cambia radicalmente la vita e vi mette ordine: a partire da un Centro vitale e sorgivo, pensieri, sentimenti, volontà, sensi, atteggiamenti… prendono luce e trovano una forma. È un cammino di integrazione, dove la persona impara a trattare con il proprio corpo, pensieri, sentimenti...verso la purezza del cuore.
La guida spirituale media questo incontro, nello sguardo di amore e di misericordia di Dio. All’interno di un rapporto sano, libero e liberante, la persona impara progressivamente a riconoscere Dio nella sua alterità, a decentrarsi e ad affidarsi. Si tratta di un percorso che la guarisce e sana dal proprio egoismo, dalla propria volontà, per condurla ad abitare questa storia con tutte le sue bellezze ed incoerenze.
«Tutta la comunità cristiana deve sentirsi responsabile del compito di educare le nuove generazioni»; urge perciò ridisegnare una pastorale che sappia «offrire ai giovani esperienze di crescita e di discernimento davvero significative». Non si tratta di organizzare strutture, progetti, ma permettere alla Parola di entrare in essi, per darne una rinnovata forma (spirituale), un rinnovato fine (il Regno) e una rinnovata consistenza storica (la Chiesa/comunità di figli che vivono da fratelli).
di Renata Vincenzi OFMI, docente di Teologia spirituale presso lo Studio teologico “San Zeno” di Verona
per “San Bonaventura informa“ (Giugno 2018)
Discernimento SBi Vocazione
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