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La bussola dell’ecologia integrale di Papa Francesco 30 Mar 2021

Come intendere l’economia e il progresso

In quanto componente del Comitato Scientifico ed Organizzatore delle Settimane Sociali dei Cattolici Italiani, in cammino verso la 49esima Settimana Sociale, che si terrà a Taranto dal 21 al 24 ottobre 2021, intitolata “Il Pianeta che speriamo. Ambiente, lavoro, futuro #tuttoèconnesso”, credo che il nostro impegno debba incontrare l’invito rivoltoci da papa Francesco nella Laudato si’, lì dove, presentando gli “assi portanti” dell’enciclica, ci invita “a cercare altri modi di intendere l’economia e il progresso”; tali altri modi possono essere sintetizzati con l’espressione ecologia integrale: ambientale, politica e morale.

Sul fronte ambientale e morale, tale concetto riguarda il rapporto uomo-ambiente-economia, il quale evidenzia aspetti complessi, come tra l’altro documentano le diverse prospettive presenti nel dibattito contemporaneo, di fronte alle quali la coscienza cristiana è chiamata a provocare anzitutto un chiarimento di principio e, quindi, anche un’assunzione di responsabilità. Ridotta nei suoi termini essenziali, ci riferiamo alla questione dell’alterazione, ad opera dell’uomo, di quegli equilibri dinamici che garantiscono la sopravvivenza della biosfera e, dunque, anche delle risorse indispensabili alla vita umana. Tuttavia, al di là di questa determinazione minima, si può parlare - e di fatto ne parla già la Caritas in veritate - anche di una questione che affonda a livello dei significati e dei valori immateriali o spirituali connessi a tutto ciò che vede implicato l’uomo.

In un tempo in cui ci si è abituati a vedere nella realtà delle cose solo il materiale del lavoro umano, si è come offuscata la trasparenza della realtà verso lo spirituale e l’eterno. Accade di fatto che la considerazione materiale della natura assuma una tendenziale egemonia teorica e pratica nella concreta vicenda sociale. Ora, si potrebbe dire che l’equivoco fondamentale che minaccia i rapporti dell’uomo con i beni della terra, con il loro impiego produttivo e con la loro allocazione sul mercato, sia ben evidenziato da Gesù nel Discorso della montagna, là dove è proposto all’attenzione dei discepoli il modello di vita offerto dagli uccelli del cielo e dai gigli del campo. La cura per la vita, dice Gesù, non può essere scambiata con la semplice cura per il cibo, e la cura per il corpo non può essere ridotta alla cura per il vestito. La vita, infatti non vale più del cibo e il corpo più del vestito? Come a dire: la cura per la vita umana non può ridursi alla cura per i bisogni, la cui soddisfazione pure si raccomanda come urgente in ordine alla sopravvivenza.

La semplice soddisfazione dei bisogni non basta a realizzare la vita dell’uomo; di pane soltanto l’uomo non vive; per vivere egli ha bisogno di una parola cioè di un senso e di una speranza. Il di più della vita, rispetto al cibo (noi qui potremmo dire: rispetto al mero sfruttamento delle risorse naturali a disposizione dell’uomo) ha nel testo del discorso della montagna quest’altra designazione precisa: il Regno e la sua giustizia. A chi cerchi prima di tutto questo Regno e la sua giustizia sono promesse tutte le altre cose in aggiunta: «Il Padre vostro celeste infatti sa che ne avete bisogno». Detto altrimenti, colui che cerca il Regno di Dio e la sua giustizia troverà insieme l’autorizzazione a curarsi delle realtà materiali, ma secondo modi e misure capaci di accogliere e custodire la trascendenza della vita rispetto a tutte queste cose.

In tale prospettiva, espressioni come integralità dello sviluppo e sviluppo solidale acquistano tutta la loro rilevanza. I beni cosiddetti materiali hanno bisogno di essere intrecciati e interpretati dai bisogni immateriali, per essere così riconosciuti quali veri beni dalla coscienza dell’uomo, che li conosce come segno e pegno dei beni sperati. Quali prospettive si spalancano, allora? Quali beni? Ne accenno soltanto alcuni. La vita umana, le attività dell’uomo e il dramma nel quale ogni giorno si gioca e si decide l’umana libertà, avviene su quel palcoscenico che è il mondo.

Esso, in quanto uscito dalle mani di Dio, è buono e bello. L’azione dell’uomo nel mondo non può essere quindi che rispetto ed incremento di tutto ciò che è buono/bello. L’entusiasmo con cui la bellezza e la bontà delle cose create viene affermata ne implica il rispetto, mentre l’insistenza sull’ordine che regna nel creato ne esige la conservazione. È questo il senso ultimo del cosiddetto “quinto asse portante” della Laudato si’: «il valore proprio di ogni creatura e il senso umano dell’ecologia». Questo punto ci conduce all’origine della Dottrina sociale della Chiesa e al suo principio fondamentale: la centralità della persona umana.

Ci riferiamo al cosiddetto principio del personalismo metodologico. Al centro del personalismo metodologico c’è la profonda convinzione circa il primato della persona sulla società, la quale è sempre mezzo e mai fine, poiché il fine è l’uomo. In questa prospettiva, inoltre, come ricordava nella sua domanda, la società appare come una «proiezione multipla, simultanea e continuativa di individui considerati nella loro attività». L’uso del termine proiezione ci appare particolarmente interessante poiché indica un elemento di continuità e di relazione tra i due soggetti, al punto che riteniamo di poter affermare che la società, in quanto proiezione della libera, responsabile e creativa azione umana, possa presentare le stesse caratteristiche dei soggetti che con le loro azioni contribuiscono alla sua costituzione.

Per di più, il fatto che la proiezione sia multipla ci dice che è incompatibile con qualsiasi riduzione monistica. Il bene comune, ovvero il bene di tutti e di ciascuno, non si risolve nel monopolio di alcuna singola istituzione, ma è il risultato del concerto di una pluralità di istituzioni che contribuiscono (quota parte) a rendere accessibili le condizioni che consentono a ciascuna persona di perseguire il bene proprio e di tutti; il fatto che sia simultanea ci dice che nessuno - persona o istituzione - è nelle condizioni di agire in forza di una conoscenza perfetta e, per questa ragione, nessuna persona o istituzione può vantare un’autorità che non le derivi dalle strette competenze che ne delimitano il mandato; il fatto che sia continuativa ci dice che non esiste uno stadio perfetto, raggiunto il quale le istituzioni possano riposare sonni tranquilli e perpetuare in maniera definitiva e arbitraria la propria autorità: la spinta riformatrice è insita nel principio antiperfettista che delinea la nozione di persona umana.

Per queste ragioni, il paradigma dell’ecologia integrale, perché sia tale, non può non comprendere anche la dimensione politica. Su questo fronte, un tale paradigma non si rifugia in ipotetici mondi paralleli e distingue tra regimi democratici e regimi servili, di stampo neo-feudale, individuando una serie di condizioni le quali assumono il carattere di elementi di un modello utile a misurare il grado di democraticità e, dunque, di inclusività di un determinato ordine civile. Seguendo la lezione sturziana, potremmo dire che:
1) mentre le democrazie consentono alle persone di svolgere il loro compito, di associarsi e di esprimere liberamente le loro opinioni, i regimi servili ammettono solo l’”applauso” e l’”adulazione”;
2) mentre nei primi è possibile “organizzare nuclei di resistenza”, nei secondi tutto ciò è impossibile;
3) mentre nelle democrazie, attraverso il pluralismo, è possibile contendere il potere e consentire la circolazione delle élite, nei regimi neo-feudali il suddito non potrà che offrire il proprio sacrificio, citando Sturzo, «per un avvenire che non vede».

di Flavio Felice
dal n. 97 di San Bonaventura informa

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Ecologia Economia Laudato si’ Papa Francesco San Bonaventura informa

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