Nel primo istante della vita siamo solo futuro, nell’ultimo saremo solo passato. In ogni momento viviamo fra passato e futuro: portiamo il peso di un passato sempre più lungo e ci proiettiamo verso un futuro sempre più breve.
«C’è un tempo per nascere e un tempo per morire» dice il libro del Qoèlet (3, 2): la vita di ognuno è racchiusa tra questi due momenti. Il secondo, quello di morire, è sempre in agguato, mentre il corso normale della vita si snoda nella primavera della giovinezza, l’estate dell’età matura, l’autunno dell’anzianità, l’inverno della vecchiaia. Così ha disposto il Creatore. E noi, nello scorrere del tempo, di tutto il tempo a nostra disposizione, con i doni di natura e di grazia, abbiamo il compito e l’opportunità di costruire la nostra vita eterna, il nostro giorno senza tramonto. Tempo prezioso, inarrestabile e irripetibile. Con un minimo di saggezza dovremmo utilizzarlo tutto, senza sciuparne neppure un frammento. Il primo biografo di Francesco di Assisi, Tommaso da Celano, dice che il Santo era «preoccupato di non perdere un attimo di quel dono preziosissimo che è il tempo» (II, 161).
Tempo, di grazia e di prova
Come tutte le realtà terrene, nelle quali il bene creato da Dio è inquinato dal peccato dell’uomo, anche il tempo è diventato ambiguo, conserva cioè il valore costruttivo ma può diventare fattore distruttivo. uesta rensioneqCertamente, secondo il desiderio del Padre, il nostro dovrebbe essere sempre tempo di grazia, tempo in cui dovrebbe realizzarsi il suo disegno d’amore in ognuno dei suoi figli adottivi.
La vita terrena però è anche tempo di prova, perciò il compimento del disegno di Dio deve trovarci disponibili nella libertà della fede e può quindi accadere, forse spesso accade, che opponiamo «resistenza allo Spirito Santo» (At 7, 51), vanificando così l’opera della grazia. Chi di noi, guardando al passato, lontano o recente, non è cosciente di non aver sempre corrisposto agli inviti dello Spirito, di aver esitato nel seguire le orme di Cristo, impedendo che il Padre portasse a compimento l’opera di santificazione?
Che fare allora? Restare indifferenti di fronte al fallimento di un disegno eterno d’amore che Dio aveva su di noi? Sedersi sconsolati e desolati a contemplare le nostre rovine? Avvilirsi nell’inerzia senza speranza di risollevarci da una situazione che giudichiamo irrimediabile? Tutte risoluzioni negative che non servono certo a riparare le nostre lacerazioni e non rispondono alla volontà di Dio che non rinuncia mai a condurre i suoi figli alla pienezza di grazia e di gloria.
Un poema magnifico
Indubbiamente ciò che abbiamo perduto resta perduto, non è ricuperabile. Tuttavia siamo autorizzati a credere, anzi dobbiamo credere, che Dio non si stanca di riproporci la salvezza e la sua piena realizzazione che è la santità, riprendendo e adattando il suo disegno con inesauribile pazienza e imperscrutabile sapienza.
Quante volte, già nell’Antico Testamento, il Signore riallaccia il dialogo d’amore con Israele, sposa infedele: «Perciò, ecco la sedurrò, la condurrò nel deserto e parlerò al suo cuore … Ti farò mia sposa per sempre, ti farò mia sposa nella giustizia e nel diritto, nell’amore e nella benevolenza» (Os 2, 14.21). Qualcosa di simile dice ai cristiani intiepiditi: «Ho però da rimproverarti che hai abbandonato il tuo primo amore. Ricorda dunque da dove sei caduto, convertiti e compi le opere di prima» (Ap 2, 4-5).
Un sacerdote filosofo, Auguste-Alphonse Gratry, descrive in maniera molto bella il modo con cui Dio sa ispirarci proposte rinnovate di vita, scrivendo su di noi un poema che spesso gli guastiamo, ma che lui è pronto a sostituire con un altro: «Dio vive in se stesso, anticipatamente ed eternamente, quello che vuol farci vivere nel tempo. L’idea che ha di noi, la sua eterna volontà su di noi, costituiscono la nostra storia ideale, il grande poema possibile della nostra vita. Questo bel poema il Padre nostro pieno di amore non cessa d’ispirarcelo nella coscienza … Ogni vibrazione impercettibile è un dono, un talento che devo ricevere, un impulso che devo seguire, un’iniziativa che devo compiere, che devo far valere. E tu sai, o Padre, la resistenza, le incomprensioni dell’intelligenza, le perversioni. A ogni resistenza o mancanza d’intelligenza, la tua idea sostituisce un altro poema, poema diminuito ma sempre magnifico, a quelli, a tutti quelli dei quali ho trascurato l’ispirazione» (Commento sul Vangelo secondo Matteo).
Lasciarsi plasmare da Dio
Più di una volta nella Bibbia Dio è paragonato al vasaio che plasma l’argilla: «Ma tu, Signore, tu sei nostro Padre; noi siamo argilla e tu colui che ci plasma, tutti noi siamo opera delle tue mani» (Is 64, 8; cfr. Sir 33 13-14). Noi siamo dunque argilla, ma, finché dura la vita terrena, argilla non essiccata, argilla sempre plasmabile. Come scrive Joseph Ratzinger: «Il cammino di Dio è spesso un immane percorso di rimodellamento e riplasmazione della nostra esistenza da cui usciamo trasformati e pronti a incamminarci nella giusta direzione» (Dio e il mondo). Quante volte le dita del Signore avranno provato a fare di noi vasi di misericordia «da lui predisposti alla gloria» (Rm 9,23)! E quante volte hanno trovato un’argilla indurita, caparbia, resistente! Lui solo lo sa.
Qual è la nostra condizione attuale? Forse ci manca solo di essere rifiniti o decorati; forse abbiamo deformità da eliminare; forse non ci resta altro da raccogliere che avanzi sparsi qua e là. Non giova molto interrogarsi troppo. In ogni caso non abbiamo altra soluzione costruttiva, se non quella di offrire una rinnovata disponibilità ad essere formati. Ricordando quanto scriveva Raïssa Maritain: «L’essenza della perfezione consiste nella capacità di ricevere molto da Dio» (Diario).
La possibilità di essere rimodellati non ha limiti, anche se appare senz’altro più realistica negli anni in cui si è più plasmabili edqq è lecito supporre e sperare che il futuro ci riservi ancora molto spazio. Che dire invece quando «il tempo si è fatto breve» (1Cor 7, 29), l’argilla si è “sclerotizzata” e le speranze di vita nuova appaiono molto ridotte?
In una delle sue poesie, santa Teresa di Lisieux immagina che nella casa di Betania si svolga un colloquio tra Gesù e Maria Maddalena (identificata a quel tempo con la sorella di Lazzaro e con la peccatrice perdonata). Alle parole della Maddalena: «Io non ti offro che la fine di una triste vita. Ahimè! Io l’ho fatta avvizzire fin dal suo mattino!», Gesù risponde: «Se amo le pure e splendenti luci dell’aurora, Maria, io amo pure una bella sera radiosa».
In GUIDATI DALLO SPIRITO, di Umberto Occhialini
dal n. 2/2022 della Rivista Porziuncola
Preghiera Rivista Porziuncola Spirito Umberto Occhialini
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