Come ogni credente, spesso mi trovo disarmato e senza parole quando qualcuno mi sbatte in faccia le contraddizioni della vita. Da un lato, nella mia esperienza di fede ho conosciuto un Dio che è buono e che provvede all’uomo. Dio ha messo cose, persone, ed eventi nella mia vita che mi guidano all’incontro con lui e mi aprono orizzonti di speranza e di gioia. Dall’altro lato, come ogni uomo lotto, soffro, sperimento il male, in me e attorno a me. A volte sono preso da una profonda solitudine, non mi sento compreso appieno o amato come vorrei. Altre volte sono atterrito dalla sofferenza di cui altri sono caricati. Ma come posso rendere pienamente ragione della bontà di Dio e, al tempo stesso, dell’esistenza della sofferenza e del male? Se Dio è buono, perché soffro? E, forse in maniera ancor più sconvolgente, perché soffrono i piccoli e gli innocenti, e perché i malvagi non vengono fermati? La complessità di questa mia esperienza, che è in molti modi quella di tutti, è proprio uno dei temi centrali del “secondo” racconto della creazione (Gen 2,4–3,24).
Potrebbe stupire il mio parlare di un “secondo” racconto della creazione, ma il libro della Genesi sembra riportare due interi racconti, uno in Gen 1,1–2,3 e un secondo che comincia da Gen 2,4. Il primo parla della creazione in sei giorni e del riposo di Dio il settimo giorno. L’essere umano viene descritto come immagine di Dio. Il secondo parla invece del giardino di Eden, della creazione di Eva dalla costola di Adamo e, soprattutto, della fatidica mela (o, meglio, frutto) del peccato. Ci sono alcune differenze superficiali tra i due racconti. Anzitutto, il tono della narrazione è molto diverso. Solenne, ieratico e teologico il primo, ma familiare, semplice, e più antropomorfo il secondo. Poi, l’ordine della creazione è diverso. Mentre in Gen 1 l’essere umano è l’ultima creazione di Dio prima del suo riposo il settimo giorno, in Gen 2 Dio inizia creando l’uomo e specificando che non c’erano cespugli ed erba, ma solo una polla d’acqua (Gen 2,5–6). Gli animali vengono creati dopo l’uomo come aiuto (Gen 2,19), e anche la donna sembra essere un ripensamento tardivo (Gen 2,22). Ci sono però differenze molto più profonde e importanti. Su queste mi concentrerò in queste righe.
“Non è bene…”
Entrambi i racconti della creazione, Genesi 1 e Genesi 2, sono essenzialmente narrazioni della creazione dell’essere umano e del suo ambiente. Il creato, l’ambiente naturale e il cosmo esistono come “casa” dell’uomo. Tuttavia, mentre in Genesi 1 Dio prepara il cosmo per l’uomo in anticipo, e tutto è pronto al suo arrivo, in Genesi 2 il creato è decisamente un work in progress quando l’uomo appare sulla scena. Anzi, il racconto inizia sottolineando quello che ancora non esisteva: “Nessun cespuglio campestre era sulla terra, nessuna erba campestre era spuntata, perché il Signore non aveva fatto piovere sulla terra e non c’era uomo che lavorasse il suolo”. (Gen 2,5) Il mondo è spoglio e disadorno, decisamente inospitale. Tutto il racconto che segue la creazione dell’uomo è l’opera di Dio per rendere il mondo più vivibile. Forse la cosa più sconvolgente è l’ammissione franca di Dio: “Non è bene che l’uomo sia solo” (Gen 2,18). Torneremo più sotto sul significato di questa frase. Per ora basta osservare che la situazione iniziale in cui si trova l’uomo non è buona, è negativa e deve essere migliorata. Questa espressione risalta in particolare se la si confronta con il ritornello del racconto di Genesi 1: “Dio vide che era cosa buona”. In quel caso, tutto era perfetto, buono, e completo, ma in questo secondo racconto la realtà è scomoda, imperfetta, bisognosa di miglioramento. La vita dell’uomo non è immediatamente così bella come lui vorrebbe. Ci sono un bel po’ di cose da aggiustare. Anche la rappresentazione di Dio è singolare. Sembra improvvisare la sua creazione con tentativi che a volte si dimostrano persino fallimentari.
Quando Dio decide di risolvere la solitudine dell’uomo creando per lui un aiuto, il primo esperimento sono gli animali. Ma per quanto Dio crei animali di ogni sorta, colore, o dimensione, nessuno è adatto allo scopo, e Dio è costretto a riconoscere di non esser stato capace di creare una compagnia appropriata per l’uomo: “L’uomo impose nomi a tutto il bestiame, a tutti gli uccelli del cielo e a tutti gli animali selvatici, ma per l’uomo [Dio] non trovò un aiuto che gli corrispondesse”. (Gen 2,20) Un dettaglio che può sfuggire riguarda il giardino di Eden. Il giardino è bellissimo e pieno di buoni frutti, ma l’uomo non viene creato nel giardino. Dio crea il giardino e vi colloca l’uomo in un secondo momento. Il giardino di Eden non è la condizione prima dell’uomo, ma la prima opera di Dio per migliorare la condizione umana. Con il cibo che contiene, Eden è il primo segno della provvidenza divina per l’uomo. Questo è un punto chiave. L’esperienza dell’uomo è di per sé dura e faticosa, ma Dio fa tutto il possibile per renderla più piacevole. La dimensione del piacere è un dettaglio significativo, perché sembra che l’immagine del giardino di Eden sia stata ispirata dai giardini pensili di Babilonia (o altri giardini babilonesi), il cui nome accadico pardesu è diventato il nostro “paradiso”. I giardini erano un luogo dedicato alla bellezza e al piacere degli occhi e del gusto, così come dice la Genesi: “Il Signore Dio fece germogliare dal suolo ogni sorta di alberi graditi alla vista e buoni da mangiare”. (Gen 2,9) Una delle note più drammatiche di questo racconto è senza dubbio la solitudine dell’uomo (Gen 2,18).
La sua condizione originaria è una profonda infelicità creata dall’isolamento esistenziale. L’uomo è un individuo, ma non può davvero esistere come tale. La condizione umana è in se stessa problematica e causa di infelicità, e la vita è, in parte, uno sforzo di rispondere all’isolamento, una fuga dalla tristezza della solitudine. Questa osservazione è una riflessione molto profonda. L’uomo esiste da solo, ma la solitudine lo fa infelice. La via verso la felicità è cambiare questo dato di fatto. Il racconto di Genesi 2 sembra voler rimarcare questo punto in particolare quando riprende per la seconda volta questo tema dopo la creazione degli animali (Gen 2,20).
Esiste il male
Nell’universo dell’uomo c’è anche il male vero e proprio, ed esiste in varie forme. Al centro del giardino c’è l’albero della vita, un segno sicuramente positivo, ma insieme ad esso si trova anche l’albero della conoscenza del bene e del male (Gen 2,9). All’uomo è proibito mangiare di questo secondo albero, pena la morte (Gen 2,17). È difficile dire cosa rappresenti esattamente questo albero. Forse si tratta di un tentativo umano di conoscere i segreti di Dio, dell’universo, e della vita umana, la cui conoscenza non può essere un possesso autonomo dell’uomo ma soltanto dono di Dio. Ad ogni modo, la presenza di questo albero al centro del giardino inietta nel paradiso terrestre la possibilità di un allontanamento da Dio e della conseguente morte. A motivo dell’albero, nemmeno il giardino di Eden è un luogo sicuro e privo di pericolo. Per quanto bellissimo, contiene la possibilità della perdita di tutto, della vita stessa. Il racconto biblico chiarisce che l’uomo ha accesso libero a tutti gli alberi del giardino, ma non all’albero della conoscenza del bene e del male. L’esistenza di questo albero pone, dunque, un limite alle possibilità dell’uomo e ne restringe e costringe l’esistenza. L’esperienza naturale dell’essere umano è imperfetta; bella, certamente, ma imperfetta, perché questo albero è al di là del suo orizzonte e ricorda continuamente all’essere umano quello che non è, un essere autonomo e indipendente da Dio
. L’uomo ha tante possibilità, ma anche limiti invalicabili. L’albero è un limite particolarmente fastidioso perché si trova proprio al centro del giardino, ben visibile all’uomo. E ogni limite è sempre una fonte di dolore. Il male, nel giardino di Eden, non è soltanto presente nella struttura limitata dell’esperienza umana. C’è anche una presenza personale del male: il serpente (Gen 3,1). Il serpente è chiaramente malvagio: si oppone a Dio e mente. La sua comparsa improvvisa fa nascere la domanda sulla sua origine e una lettura semplice del testo suggerisce che il serpente sia uno degli animali creati da Dio per aiutare l’uomo. Questa specifica creatura di Dio non solo si rivela inadatta come compagna di vita dell’uomo, ma finirà addirittura per causarne la caduta. Anche se non si volesse attribuire l’esistenza di questo personaggio malefico a Dio, certamente si deve spiegare come e perché Dio abbia permesso che entrasse nel giardino e interagisse con gli uomini.
Dio in un creato imperfetto
La creazione è un processo incerto, pieno di tentativi solo parzialmente riusciti. L’uomo sperimenta la solitudine, il limite, e il male. Tutto questo insieme di elementi è davvero straordinario, soprattutto se paragonato con il racconto di Genesi 1, dove tutto era perfetto: perfettamente predisposto e perfettamente ordinato. L’uomo si trovava in un creato regolato nei minimi dettagli per il suo benessere dove non mancava nulla. Il racconto di Genesi 2 ha una prospettiva profondamente diversa sulla realtà. Il creato è un’opera che si sviluppa progressivamente e per tentativi imperfetti, a volte proprio fallimentari. L’esperienza umana, almeno inizialmente, non è buona. Il male è presente e insidia l’uomo in varie forme fin dall’inizio. In fondo, Dio deve intervenire da subito per salvare la creatura che ha posto in un mondo ostile. La bontà e la provvidenza di Dio verso l’uomo restano affermate. Dio fa di tutto per rendere la vita umana bella, desiderabile, e gioiosa. Tuttavia, questo racconto rivela anche la complessità dell’esperienza umana. Questa, infatti, comprende il dolore della solitudine e la difficoltà della ricerca di qualcuno con cui condividere la vita, una ricerca che a volte fallisce dolorosamente. Include la consapevolezza della creaturalità umana. L’uomo non è onnipotente, e questo limite è rappresentato bene dall’albero inaccessibile al centro del giardino di Eden. Infine, l’uomo è insidiato dal male nelle sue varie forme.
Questa rappresentazione dell’esistenza umana fa nascere tante domande, soprattutto riguardo al senso del male nel progetto di Dio. Perché Dio crea il serpente? Dio è davvero fallimentare nella sua opera creatrice? Esiste un piano ulteriore e ignoto all’uomo che possa spiegare questi apparenti passi falsi? Tutti questi problemi riflettono a pieno le domande molto reali degli uomini che, come me, si interrogano nel profondo sul senso della loro vita. Chi ha fatto un’esperienza di fede ha nel cuore la certezza della bontà provvidente di Dio, è sicuro che Dio fa tutto bene e che tutto concorre al bene dell’uomo. Chi ha fede ha visto la bontà di Dio. Eppure, anche chi ha fede si scontra con la dura realtà della sofferenza, soprattutto quella innocente, della possibilità del male, della violenza e dell’odio, e anche della sofferenza con cause naturali (malattie, catastrofi naturali, o alcune forme di disabilità). Le cause naturali sono particolarmente problematiche perché non hanno nessun agente morale che ne sia responsabile, nessuno a cui dare la colpa, e dunque la responsabilità è in ultima istanza di Dio. La nostra generazione, segnata a livello planetario dall’epidemia di COVID-19, sperimenta a pieno la complessità dell’esperienza umana su questa terra, con tutte le sue ramificazioni sanitarie, economiche, sociali e, su un piano più personale, psicologiche e spirituali. Come posso, da uomo credente, navigare questo tempo tempestoso? Il racconto di Genesi 1, bello e poetico, aiuta ad alzare gli occhi e contemplare la bontà che è sovrabbondante attorno a noi. È un racconto che riempie il cuore di gioia e fiducia in Dio e nella vita. Tuttavia, non offre strumenti che aiutino a ponderare appieno le dimensioni più complicate e problematiche dell’esperienza umana. Il racconto di Genesi 2 è, da questo punto di vista, forse più realistico.
Anzitutto, riconosce la complessità dell’esistenza umana e le ombre che la abitano. Poi, riafferma la luce dell’esperienza di fede: Dio è buono e fa tutto il possibile per migliorare la vita dell’uomo e renderlo felice. Certamente, rimangono degli angoli incerti e risposte incomplete. Io, dal canto mio, apprezzo una risposta come questa: parziale ma sincera e ricca di una fede sofferta ma autentica. Accetto di lottare per continuare a credere, senza chiudere gli occhi sui problemi di chi soffre. La fede è una lotta, non una vittoria, almeno su questa terra. La Bibbia continuerà a riflettere su questi temi, e una risposta più piena si svilupperà progressivamente come speranza in una definitiva restaurazione della vita umana alla fine dei tempi. L’evento decisivo di questo cammino sarà, per la fede cristiana, la Risurrezione di Gesù, che aprirà l’inquietudine umana all’attesa di un’esistenza risorta, risanata, e guarita, un’esistenza liberata da ogni male, trasfigurata come quella di Cristo. Forse le parole che meglio esprimono questa speranza sono quelle di Paolo: “La creazione è stata sottoposta alla caducità — non per sua volontà, ma per volontà di colui che l’ha sottoposta — nella speranza che anche la stessa creazione sarà liberata dalla schiavitù della corruzione per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio”. (Rm 8,20–21)
di Georges Massinelli
dal n. 4/2020 della Rivista Porziuncola
Photo credit:
Giovanni di Paolo (Giovanni di Paolo di Grazia),
La creazione del mondo e l’espulsione dal Paradiso,
tempera e oro su legno, 1445.
Metropolitan Museum of Art, New York (NY), USA
Bibbia Genesi Georges Massinelli Risurrezione Rivista Porziuncola Sacra Scrittura
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