Al fine di conoscere una comunità cristiana dal di dentro vi sono alcuni luoghi che, con tutta evidenza, sono più parlanti di altri. Uno di questi o, piuttosto, il più rivelativo, è la liturgia. Dando per assunto che si celebri per la gloria di Dio Padre e per la santificazione dell’umanità, fare un breve viaggio per vedere quando si celebra, come avvengono le celebrazioni e chi sono gli attori (coloro cioè che partecipano all’azione sacra) in terra francese, potrebbe aiutare chi dall’Italia (il più bel Paese del mondo), volesse conoscere una qualsiasi comunità di cristiani cattolici d’Oltralpe.
So bene che: ogni comunità è unica; che tra l’una e l’altra ci sono differenze anche rilevanti; che questo testo viene pubblicato con intento divulgativo. Confido pertanto che mi sarà perdonata ogni mia eventuale generalizzazione. Prima di tentare una risposta alle suggestioni poste in premessa preciso un altro elemento che, forse banale, mi sembra invece marcante. Conversavo alcuni giorni fa con una signora, che mi ha detto: «Sebbene tanto vicini… siamo molto diversi».
E si riferiva ai nostri due popoli di appartenenza: francesi e italiani. Siamo geograficamente confinanti; parliamo e scriviamo due lingue figlie entrambe del latino; abbiamo fatto parte dell’impero romano; in proporzione diseguale uno dei nostri confini affaccia sul Mar Mediterraneo; non da ultimo, condividiamo (per non meno di un millennio, almeno) la medesima fede cristiana.
Eppure siamo anche molto differenti: per storia (particolarmente quella degli ultimi 250 anni) e per geografia (l’Esagono è una terra grande, compatta con numerosi satelliti in molte parti del mondo a fronte dello Stivale, una penisola fragile, con mille eccellenze e diversità). Per lingua (una sola lingua francese si parla da diversi secoli in numerosi paesi francofoni, mentre da meno di 100 anni si insegna l’italiano laddove restano ancora molto influenti i numerosissimi dialetti del Belpaese). Per carattere (di noi italiani dicono che siamo degli eccellenti mediatori, dei francesi è nota la grandeur, la fierezza). Insomma, sebbene le rispettive bandiere nazionali differiscano per il colore di uno solo dei tre rettangoli uniformi che la compongono, le differenze sono più numerose delle somiglianze.
Provando a corrispondere ai fatti così come li ho visti finora e nella necessità di semplificare, abbreviare e riassumere, faccio uso di un avverbio e di due sostantivi. Quando si celebra? Di meno. Come si celebra? Con raccoglimento. Chi celebra? I laici.
Meno sono i numeri in generale; meno i luoghi fisici delle celebrazioni; meno è la frequenza; meno sono le celebrazioni stesse. E questo fatto dei numeri piccoli è immediatamente riscontrabile entrando in una qualsiasi celebrazione eucaristica domenicale. Mi è capitato di celebrare le esequie alla presenza di una manciata di persone; di celebrare la santa Messa festiva che eravamo in otto. Venendo dal’Umbria dove ho vissuto per quasi trent’anni, questa cosa dei piccoli numeri - se raffrontato alle presenze nei santuari di Assisi e dintorni o dei luoghi francescani (penso a Spoleto, Perugia, Narni…) “periferici” ma ugualmente molto frequentati - impatta davvero molto, fa parecchio rumore. La faccenda dei numeri invece non è periferica e non domanda chiarimenti alla sociologia della religione ma alla fede, alla speranza, alla carità.
Ai numeri meno clamorosi fa riscontro una partecipazione con raccoglimento. Ovvero? Il cattolico francese quando celebra (anche qui chiedo venia per le “colpevoli” generalizzazioni!) normalmente non è né rumoroso né teatrale. Si approccia al sacro, personalmente, e partecipa alla liturgia, comunitariamente, con raccoglimento che, a volte, rasenta il silenzio attivo. La tradizione monastica francese è millenaria ed ha impregnato il pensare, il raccontare e il celebrare la fede. Alle illustri abbazie della Grande Charteuse, di Cluny e Solesmes se ne affiancano moltissime in tutto il territorio transalpino. E, volendo ulteriormente semplificare, se poniamo come ipotesi che il cattolicesimo italiano abbia una forte colorazione popolare-francescana, quello francese trova nelle nuances benedettine-monastiche una declinazione ben leggibile e altrettanto visibile. La regione in cui vivo (Provence-Alpes-Côte d’Azur) oltre all’isola monastica cistercense di Lerins (nel mare antistante Cannes) e ad altre decine di siti monastici, ha tre splendide abbazie cistercensi chiamate le “trois soeurs provençales” (Sénanque, Thoronet e Silvacane) che hanno tessuto e tuttora tessono la trama del sacro di un vasto territorio.
Dunque raccoglimento nel corpo (volentieri fermo), nelle espressioni del canto (polifonico o gregoriano), della voce (spesso sussurrata). Una partecipazione orante, concentrata, che si mostra rigorosa e non molto incline a manifestazioni clamorose.
Un terzo dato rilevante è che i laici (intendo qui i laici cristiani, battezzati, cattolici, uomini e donne), hanno una parte rilevante nella catechesi, nell’amministrazione e anche, evidentemente, nella liturgia. Porto tre esempi. Il Cappellano dell’ospedale di Nice-Cimiez è un battezzato laico come anche quello dell’ospedale pediatrico di Nice-Lanval (che, in questo caso è una donna); gli economi e i contabili delle parrocchie sono tutti laici; non pochi sono i laici che presiedono ordinariamente le esequie. Ovvio (nessuno si allarmi), svolgono ciò che è specifico dei laici mentre per tutto ciò che è la parte sacramentale sono strettamente in contatto con i presbiteri o i diaconi. Ma tutto ciò, mi si creda, cambia, e di molto, la prospettiva dell’annuncio e della presenza della comunità credente in un territorio
Concludendo questa prima pagina del Journçal nicois direi che tutto questo è una bella avventura. Un’avventura che interpella, sfida, educa e chiede di essere umili, pronti all’adattamento e capaci di continuo discernimento. A bientôt mes amis!
In DIARIO NIZZARDO, di Adriano Bertero
dal n. 1/2022 della Rivista Porziuncola
Adriano Bertero Nizza Rivista Porziuncola Testimonianza
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