L’incontro con Cristo ha stravolto la vita di Paolo e ha ridotto a spazzatura tutto ciò che formava la sua esistenza. L’unica cosa che resta è “la sublimità della conoscenza di Cristo, mio Signore” (Fil 3,8). La conoscenza qui non indica un interesse intellettuale come sapere chi è Cristo e cosa pensa. La conoscenza nella Bibbia è sempre unione intima e profonda, benevolenza, affetto, e condivisione. È un’esperienza che, pur senza escludere l’intelletto, riguarda la persona in tutte le sue dimensioni. È un’esperienza che crea, salva, protegge, elegge, e riempie di consolazione. È la creazione di una relazione stretta di amicizia e di amore. Per Paolo, questa relazione con Cristo è assolutizzata al di sopra e al di là di ogni altra cosa.
La dimensione intima e personale della conoscenza di Cristo sperimentata da Paolo è rivelata dal modo delicato in cui si riferisce a Gesù: “Mio Signore”. Sembra un dettaglio insignificante, ma Paolo usa sempre la formula più generica “Signore nostro”. L’espressione è notevole perché normalmente il termine “Signore” (in greco, kyrios) esprime una certa distanza. È il termine che un subalterno, specialmente uno schiavo, rivolge a una persona di rango elevato per sottolineare la distanza sociale che li separa. Al tempo stesso, chiamandolo “mio Signore” Paolo rivendica una dimensione personale nella signoria di Gesù, e quindi accorcia le distanze. La signoria di Gesù sulla vita di Paolo è assolutamente suprema e intimamente affettuosa. L’infinita distanza è riconosciuta e insieme superata dallo slancio d’amore.
Paolo non si sofferma sulla dimensione emotiva della sua esperienza e preferisce descrivere le sue azioni: “Per lui ho lasciato perdere tutte queste cose e le considero spazzatura, per guadagnare Cristo” (Fil 3,8). Tuttavia, la nota affettuosa contenuta in quell’appellativo “mio Signore” suggerisce un profondo coinvolgimento delle emozioni nella risposta di Paolo all’incontro con Cristo. In fondo, questo incontro è per lui un’esperienza profondamente e autenticamente umana, che chiama in causa tutti gli aspetti della sua persona: mente, cuore, e azioni. Conformazione alla morte e risurrezione di Gesù Il passo dalla Lettera ai Filippesi continua spiegando più nel dettaglio in che cosa consista la conoscenza di Cristo: “Perché io possa conoscere lui, la potenza della sua risurrezione, la comunione alle sue sofferenze, facendomi conforme alla sua morte, nella speranza di giungere alla risurrezione dei morti” (Fil 3,10–11). Come in molti altri brani delle sue lettere, appare chiaro che Paolo pensa a Gesù sempre nei termini della sua passione, morte, e risurrezione. Per Paolo, Gesù è sempre e anzitutto il crocifisso risorto. Di conseguenza, la conoscenza di Cristo si realizza attraverso una progressiva e continua conformazione a lui, in particolare al suo mistero di morte e risurrezione. Conoscenza di Cristo significa morire e risorgere con Cristo, o come dice altrove: “Siamo stati sepolti insieme a lui nella morte affinché, come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova” (Rom 6,4). Il passaggio trasformativo da ciò che è una perdita all’unico guadagno che è Cristo è un passaggio da morte a vita, una risurrezione. Si tratta, dunque, di un’esperienza conoscitiva che è mi stico-spirituale. Viene mediata dal battesimo e dagli altri sacramenti, dall’unione intima nella preghiera, dalla vita spirituale in tutte le sue forme. Ma è anche un’esperienza storica, in cui le tribolazioni, le persecuzioni, e le fatiche apostoliche di Paolo divengono occasione per portare la morte di Cristo nel nostro corpo, cosicché anche la vita di Cristo si manifesti in noi (2Cor 4,10). Interiorità ed esteriorità si corrispondono appieno. L’incontro con Cristo che Paolo ha sperimentato per la prima volta sulla via di Damasco non è un’esperienza generica di contatto con il divino, ma esperienza marcatamente cristiana, cioè incontro con la croce che diventa vita nuova ed eterna. Colui che perseguitava ferocemente la Chiesa è divenuto parte viva del corpo di Cristo sofferente, lo stesso Cristo che gli gridava: “Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?”. L’incontro con Cristo è stato per Paolo il momento decisivo della sua vita, quello che ha dato senso e scopo a tutto ciò che è venuto dopo. E questo scopo, in effetti, non è più un ideale, ma una persona: Cristo Gesù, mio Signore. Dopo quell’incontro, per Paolo vivere significa identificarsi e conformarsi progressivamente alla morte del suo Signore, nella serena speranza di divenire partecipe della sua vita immortale. Contemplando Cristo, il perseguitato e il crocifisso, Paolo scopre il suo volto e la sua identità e inizia a trasformarsi in colui che ha contemplato. “Non vivo più io, ma Cristo vive in me” (Gal 2,20).
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