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L’ipotesi che il sommo poeta fosse terziario francescano 14 Set 2021

Dante Alighieri sui passi di San Francesco d’Assisi?

Come a tutti noto, ricorre questo anno l’ottavo centenario della morte di Dante Alighieri (+1321), i cui rapporti con il mondo francescano furono particolarmente forti. Infatti diverse biografie hanno sostenuto che l’Alighieri avesse abbracciato la vita religiosa francescana, altri che sarebbe stato terziario francescano. Sebbene il primo filone oggi è sostanzialmente giudicato storicamente falso, l’altro è ritenuto invece molto probabile, pertanto l’obiettivo di questo articolo è di soffermarci in particolar modo sulla veridicità di Dante terziario francescano.

Dante terziario francescano
A sostegno del filone storiografico che sosteneva la sua appartenenza all’Ordine francescano secolare, potremmo partire da ciò che Dante, oltre alla “corda intorno cinta”, dichiarò: Io fui uomo d’arme e poi fui cordigliero Credendomi, si cinto, fare ammenda E certo il credere mio venia intero (Inferno, XXVII, v. 66) In realtà i diversi autori, pur avendo chiaro lo stato religioso che configura chi emette la professione della Regola, utilizzarono come sinonimi i termini di oblato, cordigero e di terziario francescano. Ebbene se l’oblato e il cordigero indicavano uno status specifico di chi viveva in convento senza aver emesso alcuna professione religiosa, altro era il terziario francescano che emetteva una vera e propria professione della Regola pur rimanendo nello stato laicale.

Tuttavia l’ipotesi che fosse un terziario è stata esclusa con certezza per il periodo fiorentino ma non per quello dell’esilio, perché il suo nome non compare negli elenchi giunti fino a noi dei terziari che avessero professato la Regola a quel tempo a Firenze. La non conoscenza dei termini, in passato ha indotto una buona parte degli studiosi a confondere l’appartenenza all’Ordine francescano secolare con l’Ordine dei Minori. Infatti diversi studiosi dichiararono che Dante fosse stato frate minore che avesse abbandonato l’Ordine minoritico, forse durante il noviziato.

Ebbene questa corrente di pensiero sostanzialmente si sviluppò ad opera di uno dei primi studiosi dell’Alighieri, il Francesco di Bartolo da Buti (+1406). Questi, da docente dell’università di Pisa, tenne la cattedra di studi danteschi, fu autore di un commento terminato verso il 1380, il primo redatto in volgare ed esteso all’intera Commedia. Ebbene, commentando nel canto dell’Inferno la corda che Dante si slacciò dai lombi, sostenne che fosse stato novizio francescano senza professare i voti per aver lasciato l’Ordine minoritico: Io, cioè Dante, avea una corda intorno cincta, e con essa pensai alcuna volta prendere la lonza e la pelle dipinta (Inferno, XVI, vv. 105-108)

In realtà l’ipotesi che fosse stato addirittura un novizio dell’Ordine, sembra frutto delle congetture del commentatore, che collegò la “corda” del testo dantesco con il cingolo indossato dai francescani. Mi sembrerebbe di interpretare il verso “prender la lonza e la pelle dipinta”, nel tentativo di frenare la lussuria, senza dimenticare che Dante adulto non era un frate pertanto non aveva professato il voto di castità. In realtà le affermazioni del Buti non furono mai contestate dai suoi contemporanei e dalla storiografia dantesca successiva, forse più che frate minore non avendo professato la Regola, probabilmente fu seminarista, a quel tempo chiamato “oblato”, che seguiva gli studi del trivio e del quadrivio nel convento di Santa Croce a Firenze.

Un’altra testimonianza è offerta da fra Mariano da Firenze che in due cronache diverse, da collocarsi tra il 1480 e il 1525 una in latino e l’altra in volgare, asserì che “Dante poeta fermatosi nella città di Ravenna et alla vita spirituale vacando, prese l’habito del Tertio Ordine, et in fine morendo prese l’habito de’ Frati Minori: et fu nel convento di Sancto Francesco sepolto”. In realtà le posizioni assunte fino a quel momento furono giudicate credibili fino al XIX secolo, quando gli studiosi iniziarono a vagliarne l’effettiva autenticità. Il Giovanni Maria Cornoldi, autore de La Divina Commedia di Dante Alighieri, confermò la linea del Buti e dell’uscita dell’Alighieri prima della professione religiosa.

Giovanni Andrea Scartezzini interpretò la corda di cui parla Dante, più che altro a livello simbolico. Lo studioso dichiarò che l’Alighieri cercasse di vincere le tentazioni della carne imponendo a se stesso una vita di castità, ma escludendo che fosse stato un religioso professo della famiglia francescana. Per il XX secolo, ha preso piede l’interpretazione della dimensione allegorica della corda, senza giungere ad una soluzione definitiva. Bruno Nardi l’ha interpretata nella dimensione aristotelica della frode e della lussuria, sostenendo che la corda vada intesa come un riferimento alla figura biblica del cordone ai fianchi in contrapposizione ai lombi compresi nei significati principali di giustizia, di temperanza e di castità, come la tradizione e la liturgia cattolica normalmente la presentano.

 Anna Maria Chiavacci Leonardi confermò questa posizione, secondo lei la corda di cui parla Dante è da interpretare nel significato allegorico della battaglia tra la carne e lo spirito, tra la lussuria e la purezza. Per la studiosa Dante avrebbe voluto indicare l’esistenza di una tensione fra le due dimensioni, che si sarebbero potute domare con la corda intesa nella sua dimensione spirituale. Questa linea di interpretazione è la più verosimile, in sostanza si tratta dell’antico esercizio del dominio dell’uomo su se stesso e soprattutto sui propri vizi. Pertanto più che un riferimento ad un periodo vissuto nella vita religiosa, sarebbe da interpretare come un cammino ascetico e spirituale di Dante alla sequela del carisma di Francesco d’Assisi.

Stabilito che non fu un frate, per ciò che riguarda l’appartenenza all’Ordine francescano secolare, sarebbe attestata da fra Mariano da Firenze che dichiarò di aver trovato il nome dell’Alighieri in una lista di persone risalente alla seconda metà del XV secolo. Il testo dichiarerebbe che “visse et morte nello sacro Ordine delli frati e delli sore della penitenza altramente dicto Tertio Ordine”, confermato a sua volta dal frate minore osservante toscano fra Antonio Tognocchi. Il problema è che entrambi gli studiosi non riportano la fonte archivistica dell’informazione.

A sostegno del Dante terziario ci viene in aiuto l’arte, innanzitutto per la presunta presenza di Dante nella vela della castità di scuola giottesca nella basilica inferiore di Assisi (nella foto), in cui è dipinto con l’abito da cordigero. Lo storico assisano Antonio Cristofani in Delle Storie di Assisi, dichiarò che i tre personaggi dipinti da Giotto in basilica erano il Ministro generale fra Giovanni da Morrovalle, proseguendo che fossero i “cordigeri o terziari personificati nel sovrano poeta”, infine la clarissa “nella terza figura che indubitamente è di femina, ed appare coperta da un velo monastico”.

Infine la rappresentazione di Dante di Benozzo Gozzoli, nell’ex convento di S. Francesco di Montefalco (Perugia). Il committente fu il guardiano del convento un certo frate Giacomo, lì il Gozzoli dipinse la zona della chiesa del coro con 23 medaglioni. Questi rappresentano le figure di francescani appartenenti al primo e al terzo Ordine vissuti tra il XIII e il XIV secolo, con nome e relativa dedica. Tra i diversi effigiati nei medaglioni ubicati sopra la trave di ingresso della porta che introduce dalla chiesa al convento, troviamo tre laici: Dante, Giotto e Petrarca definiti rispettivamente “teologus”, “pictor” e “litteratus”. In realtà se Dante e Giotto in modalità diversa avevano esaltato san Francesco nelle loro opere, è noto che il Petrarca fosse un terziario francescano, così potremmo supporre che anche Dante e Giotto fossero stati inclusi tra i personaggi illustri in quanto terziari.

L’opinione di Dante terziario francescano, trovò consensi nella realtà culturale romantica del XIX secolo che riscoprì la poesia dantesca, dapprima sottovalutata rispetto a quella del Petrarca poi trascurata e talvolta disprezzata nell’età barocca e illuminista. Il clima romantico fu colpito dal Dante tormentato dalla morte della sua amata Beatrice, dall’altro fu affascinato dalla scelta ascetica del convento negli ultimi anni della sua vita. Tra Ottocento e Novecento, all’epoca del gran fermento di interessi francescani suscitati dagli studi di Paul Sabatier e dal rinvenimento dei codici di biografie francescane, la storiografia dantesca confermò l’appartenenza di Dante all’Ordine francescano secolare.

Isidoro Del Lungo sostenne che il filone dell’Alighieri terziario fosse tramandato dalla tradizione orale, non avvalorata dalle fonti. Tuttavia dichiarò che bisognasse dare credito a questa tradizione e alle parole dell’autore quando dichiarò della “corda intorno cincta”, in mancanza di fonti d’archivio. Il Giuseppe Lando Passerini non escluse la possibilità che il poeta avesse professato la Regola dell’Ordine francescano secolare, ma ritenne più verosimile che questo accadesse negli ultimi anni della sua vita, tale da giustificare la sepoltura nella chiesa dei frati minori Conventuali di Ravenna. Il filone del terziariato di Dante, trovò ampio sviluppo e risalto durante le celebrazioni per il VII centenario dell’Ordine francescano secolare del 1921. Ora l’idea di un Dante terziario conobbe una vera e propria esplosione entusiastica, pertanto in linea teorica l’Alighieri terziario potrebbe essere stato più che probabile tanto da giungere fino ad oggi come notizia quasi certa.

Conclusione
Se è un fatto la conoscenza della spiritualità e della cultura francescana da parte dell’Alighieri, purtroppo non abbiamo documenti che ne attestino la professione nell’Ordine francescano secolare. In realtà le testimonianze e l’incrocio delle interpretazioni degli studiosi, ci spingono a ritenere che possa essere più verosimile che Dante sia stato un terziario. Anche se tali posizioni appaiono in realtà tardive per poter essere realmente considerate probanti, nulla vieta il pensare che il filone consolidato possa essere espressione di una verità tramandata oralmente. Non ci resta che sperare che un giorno, un documento scoperto in qualche archivio impolverato e nascosto, ci dia la prova inconfutabile che Dante abbia professato la regola dell’Ordine francescano secolare. Resta indiscutibile la formazione teologica e francescana dell’Alighieri, ancora più evidente nella Divina Commedia che è passata alla storia non solo come un testo di spessore letterario ma anche religioso e francescano nella fattispecie.

di Felice Autieri
dal n. 101 di San Bonaventura informa



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