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Lettera di Albino Luciani al dottissimo santo 11 Nov 2017

Giovanni Paolo I a san Bonaventura

Papa Francesco ha riconosciuto le virtù eroiche di Giovanni Paolo I dichiarandolo venerabile, primo passo verso una non lontana beatificazione. Tra gli scritti di quest’ultimo figura anche una lettera a san Bonaventura da Bagnoregio, di cui si celebra l’ottavo Centenario della nascita (1217-2017).

In occasione sia del riconoscimento delle virtù eroiche di Giovanni Paolo I sia del centenario bonaventuriano è bene rileggere quando il cardinale Albino Luciano gli scrisse pochi anni prima di essere eletto papa:

Dottissimo Santo,

I vostri frati stanno preparando una grande celebrazione per il settimo Centenario dalla vostra morte (1274-1974).

A quali aspetti della vostra personalità daranno rilievo?

Siete stato prima studente poi professore all’Università di Parigi, generale dell’Ordine francescano, vescovo e cardinale, oratore ascoltatissimo al Concilio ecumenico di Lione, scrittore di cose teologiche e mistiche con grande risonanza anche nei secoli successivi al vostro.

Dove metteranno i frati il dito e l’accento? Non lo so. Se dipendesse da me, tra tutti i vostri libri, sceglierei la Vita di san Francesco e la farei conoscere a largo raggio. Si tratta d’un capolavoro anche letterario. L’avete scritta con animo commosso, con stile insieme elevato e pittorescamente immaginoso.

Mentre la componevate, il vostro amico san Tommaso ne presagiva già la bellezza, dicendo: “Lasciamo che un Santo scriva di un altro Santo!”. Presagiva, amo pensarlo, anche i grandi frutti spirituali.

Scommetto, però, che né Voi né lui presagivate minimamente l’interpretazione, che ne ha fatto l’altro giorno uno studente universitario, parlando con me. “Noi, giovani d’oggi – disse – siamo con San Francesco”.

“Benissimo”, risposi io. “Sì – riprese – come San Francesco ha contestato suo padre, buttandogli in faccia i vestiti, così noi buttiamo in faccia a questa società di sporchi consumi tutto quello che ci ha dato o, meglio, imposto!”.

Nei tempi in cui studiavate, semplice laico, c’erano a Parigi diecimila studenti universitari: discutevano, chiassavano, tumultuavano e spesso contestavano anch’essi, ma con stile diverso.

Lo stile e i problemi dei giovani contestatori nostri sono diversi. Permettete che ve ne dica qualcosa.

Anche ai vostri tempi i giovani volevano, innovando, staccarsi dal passato. Ma oggi essi – meglio, parecchi di essi – predicano la rottura completa col passato, rigettando in blocco società, famiglia, matrimonio, scuola, morale e religione.

“Voi volete buttar giù tutto – ho detto all’interlocutore di cui sopra – ma dopo? Cosa metterete al posto delle istituzioni fatte crollare?”.

M’ha risposto: “Questa è una domanda borghese!”.

Dunque, i nostri giovani fanno la protesta, ma non fanno la proposta.

Direte: “Forse, si tratta di giovani poveri, diseredati; per questo ce l’hanno coi borghesi! “. Oh no, si tratta proprio dei figli della borghesia, di giovani, cui spesso non manca proprio nulla. Hanno i mezzi di vivere, ma non hanno ideali, per cui vivere.

Direte ancora: “Ci saranno almeno delle ragioni, delle scuse per spiegare questa situazione?”. Certo, e tento di indicarvene alcune.

Oggi le porte delle Scuole Superiori e delle Università sono spalancate: i giovani vi entrano, in Italia, a centinaia di migliaia ogni anno. Non vi si trova, però, tutto quel che vi si dovrebbe trovare e, in più, non c’è proporzione tra porte d’entrata agli studi e porte d’entrata agli impieghi.

Giovani forniti di laurea o diploma non trovano posti adeguati di lavoro e il numero degli intellettuali disoccupati sta per aumentare di molto nei prossimi anni. La società non ha saputo prevedere questo gravissimo disagio e i giovani se la prendono con la società.

Non basta. In questa stessa società c’è un tremendo vuoto morale e religioso. Tutti sembrano oggi spasmodicamente protesi verso conquiste materiali: guadagnare, investire, circondarsi di nuove comodità, star bene. Pochi pensano anche a “far bene”.

Dio – che dovrebbe invadere la nostra vita – è invece diventato una stella lontanissima, cui si guarda solo in certi momenti. Si crede di essere religiosi, perché si va in chiesa, pretendendo poi di condurre fuori chiesa una vita eguale a quella di tanti altri, intessuta di piccole o grandi astuzie, di ingiustizie, di colpe contro la carità, mancando assolutamente di coerenza.

I giovani, che invece vogliono la coerenza, non ci stanno. Trovano poi incoerenze, vere o apparenti, nella stessa Chiesa, e rigettano anche questa. E, poiché bisogna pur professare qualcosa, aderiscono a pessime ideologie di moda e al culto spasmodico del sesso, che è una religione a rovescio sotto il nome di “liberazione sessuale od erotica”.

Non basta ancora. C’è il culto della libertà. Ma non è la libertà classica di poter fare ciò che si deve fare senz’essere disturbati o di poter scegliere tra una cosa o l’altra. No, è l’indipendenza assoluta. “Sono io solo a decidere ciò che è bene e ciò che è male. Voglio realizzare me stesso senza dipendere da alcuna legge che venga dal di fuori. Chi resiste ai miei desideri, attenta alla mia personalità. Ogni autorità è repressione. Ogni struttura è prigione. Ogni superiore è gendarme”.

Voi, dolcissimo e dottissimo santo, avete insegnato parecchi anni e il magistero vi parve servizio alla verità, agli studenti, alle famiglie. Se veniste oggi! Proprio perché maestro, vi guarderebbero come “mandarino” o “barone”, che pretende imporre una sua cultura per incatenare gli alunni al “sistema”.

Sentireste parlare di “descolarizzazione”. Se scuola ha da essere, gli alunni non imparino materie, ma vengano abituati a discutere problemi politici attuali”. Dovreste accettare una “gestione sociale” della scuola: avreste a che fare non solo con gli alunni e coi loro genitori, ma anche coi partiti politici e coi sindacati; il tempo di preparare le lezioni vi sarebbe in parte mangiato da lunghe assemblee e discussioni.

Mica che questo sia tutto male: il dialogo coi giovani è doveroso, è giusto che le varie componenti sociali si interessino della scuola, e che questa sia una cosa viva, rifuggente da esagerato e barboso nozionismo e astrattismo. E’ solo il troppo, che storpia.

***

Impietosi, dunque, questi ragazzi verso i maestri? Direi di sì. Altrettanto, però, essi si mostrano pietosi, ed è un bene, verso i poveri, gli emarginati, gli esclusi. Essi si dichiarano contro tutte le barriere sociali, contro ogni discriminazione di classe o di razza. Questa è bella generosità: purtroppo, anche qui, essi si trovano di fronte a gravissime ingiustizie, cui si ribellano.

Sentono parlare di Nazioni che si dicono cristiane e che tollerano ancora casi di tortura per colpire le idee. Vedono famiglie di operai costrette a vivere con centomila lire al mese, mentre alcuni pochi si arricchiscono straordinariamente non si sa in che modo.

Una cantante guadagna in una sola serata due milioni di lire e diventa miliardaria, vendendo i dischi delle sue canzoni. Leggono di aiuti concessi al Terzo Mondo; poi si accorgono che si tratta di poche gocce: i soldi sprecati per armamenti sono straordinariamente superiori e intanto nel Terzo Mondo si continua a soffrire e a morire.

C’è davvero di che indignarsi; ma ecco, si esaspera a bella posta questo giusto sdegno giovanile, dipingendo con tinte ancora più scure e sinistre certe nostre società e tacendo le enormità mostruose di altre società presentate, invece, come modello e addirittura come “ideali paesi paradisiaci”.

***

Ma non vorrei aver io stesso caricato un po’ le tinte. Non sono tutti così i nostri giovani. Molti badano a lavorare sodo, sono rispettosi, si preparano alla vita con serietà: purtroppo, mentre gli altri parlano e scrivono, questi tacciono. Quegli stessi che contestano, spesso si aspettano molto dagli adulti contestati e restano delusi quando si risponde loro vagamente e dicendo che “si sta ricercando”.

Bisognerebbe far loro delle proposte concrete. Libertà? Certo, ma, senza Dio, quale libertà? Il progresso, le scienze vi fanno conoscere sempre più come è fatto questo mondo; soltanto la dottrina di Cristo vi dice perché siete al mondo.

Un modello? Cristo è una scelta valida, per sempre, per tutti. Egli ha battuto una certa strada e ha detto: seguitemi! Strada un po’ stretta, ma strada di lealtà, di amore verso tutti con piccoli e poveri privilegiati e che sbocca nella “gloria del Padre”. Sulla croce, Egli s’è offerto al Padre; facendolo risorgere, il Padre ha dichiarato di accettare l’offerta, ha glorificato l’umanità di Lui e di tutti quelli che sono Suoi, annunciando festosamente che il mondo intero sarà un giorno trasformato in “cieli nuovi e terra nuova”.

Un mondo da migliorare, battendosi per la giustizia, per togliere le cause dei mali? Certo, ma ciascuno cominci a migliorare se stesso. E vediamo di non cadere in ingenue utopie; imperfezioni ce ne saranno sempre, in qualunque sistema; non giudichiamo gli uomini senza appello; non dividiamo radicalmente: di qua tutti buoni, di là tutti cattivi; di qua solo lealtà, di là solo sopruso; questo è progressista, quello è conservatore. La vita è molto e sempre complessa: anche i buoni hanno mancanze, anche i cattivi hanno virtù.

Chiesa infedele? Così l’hanno già chiamata anche i Santi Padri, che, però, specificavano: la santa Chiesa infedele. Fatta di peccatori, infatti, per forza anche la Chiesa è peccatrice, ma essa continua a somministrare validi aiuti ed esempi di santità a tutti quelli che hanno fiducia in lei. Bisogna poi vedere se sono tutte vere le infedeltà che le si rimproverano. Altro è la Chiesa che ha in testa il tal scrittore (magari in buona fede), e altro la Chiesa reale, quale veramente è, fuori della testa di quello stesso scrittore.

***

Dolcissimo San Bonaventura! I contemporanei, che ebbero la fortuna di ascoltarvi, rimasero inebriati dalla vostra parola. Scrissero: “parlava con lingua angelica”. Desidererei che parlaste come un angelo ancora: soprattutto ai genitori, agli educatori, ai politici, a tutti coloro che hanno, oggi, la responsabilità dei giovani. E vorrei che diceste: “Non temete alcuna fatica, alcuna giusta riforma, alcuna spesa, alcun dialogo, pur di aiutare questi figlioli. Ciò, per il loro bene, ma anche per il vostro bene. Chi infatti teme fatiche e spese oggi, può pagar caro domani”.

Tolstoi sarebbe disposto a sottolineare queste ultime vostre parole con una sua parabola.

Nel piccolo Principato di Monaco i giudici avevano tanti anni fa condannato alla ghigliottina un furfante, ma poi si accorsero di non avere, per la bisogna, né ghigliottina né boia. Era così piccolo il Principato di Monaco! Chiesero in prestito ambedue le cose alla vicina Francia, ma, sentito il prezzo d’affitto, si spaventarono: “Costa troppo!”. Fecero un passo analogo presso il Re di Sardegna. Anche là “costava troppo”.

Lasciarono dunque il furfante in prigione: ma il carceriere, il cuoco, il cibo del prigioniero venivano pure a costare. “Lasciamo aperta la prigione e che se ne vada per i fatti suoi! “, decisero i giudici.

Vista la porta aperta, il prigioniero uscì per una passeggiata lungo il mare. Ma a mezzogiorno andò alla cucina del principe a reclamare il suo pasto. Così un giorno, due, tre, tanti giorni… la cosa minacciava di pesare forte sul bilancio del Principato. I magnati decisero di chiamare l’uomo: “Non hai ancora capito che te ne devi andare?”. E lui: “Me ne vado, me ne vado, però pagatemi!”. Dovettero pagarlo. E così, col pretesto che “costava troppo” e col rimandare sempre, un brigante di più fu in giro per il mondo a combinare malefatte.

Non si dica dunque “costa troppo”!, se non vogliamo che il brigante della contestazione selvaggia e rivoluzionaria continui a viaggiare per il mondo. Non si rimandino soluzione di problemi, spese e dialoghi. Si parli con questi giovani e cerchiamo di aiutarli con aiuti e metodi nuovi, adatti ai tempi, ma con lo stesso amore appassionato con cui, caro santo, li aiutaste voi, ai tempi vostri.

Dicembre 1973



Giovanni Paolo I Lettera San Bonaventura

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