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Riflessione di fra Georges Massinelli su Gv 10 03 Mag 2020

Il Buon Pastore

Nella IV domenica di Pasqua leggiamo una parte del capitolo 10 di Giovanni, che è dedicato alla figura del “Buon Pastore”. Il pastore è una delle metafore politiche più antiche. Le liste dei re di Sumer elencano le varie dinastie delle città sumeriche e il quinto di questi re è sempre Dumuzi il Pastore. Infatti, il titolo di pastore si adatta particolarmente bene a descrivere le funzioni di un re, dato che il pastore protegge, guida, e nutre le pecore. Allo stesso modo, il re nelle antiche città-stato aveva il compito di guidare l’esercito (proteggere), amministrare la giustizia (guidare), e regolare l’economia e l’approvvigionamento di grano (nutrire).

La Bibbia usa spesso la metafora pastorale per parlare dei re d’Israele. Basta pensare al re Davide, che probabilmente emerse all’interno della burocrazia o forse dell’esercito di Saul, ma il Primo libro di Samuele lo presenta come un giovanetto al pascolo quando viene consacrato da Samuele (anche Saul stava cercando le asine di suo padre quando fu consacrato). Forse la pagina più sorprendente è il discorso sui pastori in Ezechiele 34. Questa pagina è una lunga metafora che denuncia i re di Israele che si sono arricchiti a scapito dei loro sudditi (“Vi nutrite di latte, vi rivestite di lana, ammazzate le pecore grasse”; Ez 34,3) e hanno causato l’esilio babilonese (“Per colpa del pastore si sono disperse e sono preda di tutte le bestie selvatiche: sono sbandate”; Ez 34,5). Di fronte alla tragedia nazionale dell’esilio, Dio promette di assumere su di sé la responsabilità del popolo e di inviare un re fedele: “Susciterò per loro un pastore che le pascerà, il mio servo Davide. Egli le condurrà al pascolo, sarà il loro pastore” (Ez 34,23).

È molto probabile che il discorso del Buon Pastore in Giovanni faccia riferimento alla promessa di Ezechiele. Gesù è il pastore promesso da Dio, quello che riporterà il popolo d’Israele all’alleanza. La parte che la liturgia ci propone (Gv 10,1–10) si concentra sulla seconda funzione del pastore, quella di guidare il gregge. Come aveva già fatto Ezechiele, anche Gesù mette in guardia da coloro che vogliono approfittarsi del gregge. Ora non sono più i cattivi pastori che si ingrassano pur trascurando le pecore, ma ladri e briganti. Anche questi vengono “per rubare, uccidere e distruggere” (Gv 10,10). Il loro strumento non è la violenza (quello sarà il lupo; Gv 10,12), ma la voce. Le pecore non seguono questi estranei “perché non conoscono la voce degli estranei” (Gv 10,5). Questo accento sulla dimensione del parlare ci suggerisce che i cristiani a cui si rivolge Giovanni erano in pericolo perché ricevevano messaggi diversi da quelli di Giovanni o di Gesù. Il tema della regalità e il successivo riferimento alla violenza e al “lupo” potrebbero far pensare alla propaganda del culto imperiale (i Romani erano “figli della lupa”), ma non è chiaro dal testo. Ad ogni modo, i cristiani si trovavano a ricevere vari messaggi in contrasto tra loro e a dover discernere fra questi quale seguire, quale credere. La situazione è molto pericolosa, perché c’è il rischio di essere derubati e uccisi, cioè perdere la vera vita.

Qui sta il messaggio del discorso del Buon Pastore: le pecore seguono il Buon Pastore “perché conoscono la sua voce” (Gv 10,4). È fondamentale per i cristiani conoscere la “voce” di Gesù, il suo messaggio, le sue parole, i suoi pensieri. Solo così potranno fare un discernimento tra le tante parole che giungono ai loro orecchi e discernere quelle di chi le guida ai pascoli della vita, quelle di chi le conosce, le ama, e dà la vita per loro. Giovanni invita i suoi lettori a crescere nella familiarità con il messaggio cristiano che hanno già ricevuto, così da potersi orientare nella vita e fuggire dagli estranei che vogliono approfittarsi di loro.

Riflessione di fra Georges Massinelli da Le lettere di Onesimo



Buon pastore Georges Massinelli IV Domenica di Pasqua Riflessione

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