Il miracolo dei dieci lebbrosi mondati da Gesù (Lc 17,11-19), ubicato nel villaggio Palestinese di Burkin, vicino a Jenin, è ben noto per il suo significato profondo della sacralità e della riconoscenza verso Gesù da parte, addirittura, di un Samaritano guarito. Il fenomeno della lebbra come malattia non soltanto temuta, ma che rendeva automaticamente impuri coloro che ne erano infetti, trova nel libro del Levitico, capitoli 13-14, una legislazione minuziosa quanto crudele, che mirava ad escludere il lebbroso dalla comunità e porlo ai margini dell’esistenza e nel buio della dimenticanza.
Al tempo di San Francesco la lebbra era considerata ancora con lo stesso orrore. La società medievale si guardava bene dal difendersi dal contagio di tale malattia, si limitava a rinchiudere i lebbrosi nei lazzaretti, sorti un po’ ovunque. Secondo lo storico Assisano Arnaldo Fortini, autore della famosa Nuova Vita di San Francesco, all’esterno di Assisi si trovavano numerosi lazzaretti di lebbrosi, tra i quali l’Ospedale di San Salvatore delle Pareti, posto tra la città e la Porziuncola, e quello di San Lazzaro d’Arce, tra Rivotorto e la Porziuncola, con le cappelle di Santa Maria Maddalena e di San Rufino d’Arce, tuttora testimoni silenziosi di questo luogo di sofferenza e solitudine. Fortini, descrive in termini cupi il rito dell’inserimento di una persona infetta nella comunità dei lebbrosi, con elementi presi dagli antichi riti biblici descritti nel Levitico.
Stando al racconto di 1 Celano 17 (FF 348), accadde probabilmente nelle vicinanze del lebbrosario di San Lazzaro d’Arce, che il giovane Francesco incontrò il lebbroso nel 1206. Tale fatto rimase così ben inciso nella sua memoria, che a Francesco parve di riviverlo poco prima della morte, quando dettò il suo Testamento.
La familiarità di Francesco e dei frati con i lebbrosi era tale che essi pernottavano volentieri nei lebbrosari. Questo contatto con i lebbrosi portò Francesco ad esercitare verso di loro, come dice egli stesso, misericordia. Sull’esempio di Cristo che guarì i lebbrosi, anche Francesco riuscì ad operare cose prodigiose per il beneficio di questi infelici. Ne scegliamo uno che ha un tocco di umanità particolarmente commovente e ci viene tramandato dai Fioretti 25 (FF 1857).
Il lebbroso curato e mondato da San Francesco
Il racconto dei Fioretti è assai lungo. Ci soffermeremo, dunque, soltanto su alcuni punti importanti. Prima di tutto si afferma che Francesco imitava Cristo quando, con la sua umanità e misericordia, sanava i corpi in modo miracoloso, ma specialmente sanava l’anima di coloro che erano afflitti da malattie. Il caso del lebbroso è un esempio chiarissimo di questa duplice guarigione.
I frati servivano i lebbrosi per amore di Gesù Cristo “il quale volle per noi essere riputato lebbroso”, andando regolarmente nel lebbrosario (forse uno di quelli vicini ad Assisi).
Si potrebbe dire che, agli inizi dell’Ordine, servire i lebbrosi costituisse una specie di noviziato, in modo di poter giudicare la genuinità della vocazione dei fratelli dalla loro disponibilità di mescolarsi con i lebbrosi, per servirli con umanità e cortesia. Purtroppo, i loro sforzi non erano sempre ripagati con riconoscenza, proprio come capitò nel caso dei dieci lebbrosi mondati da Cristo nel Vangelo.
C’era il caso di “uno lebbroso sì impaziente e sì incomportabile e protervo, ch’ogni uno credeva di certo, e così era, che fusse invasato del dimonio, imperò ch’egli isvillaneggiava di parole e di battiture sì sconciamente chiunque lo serviva, e, ch’è peggio, ch’egli vituperosamente bestemmiava Cristo benedetto e la sua santissima madre Vergine Maria”.
Gli sforzi dei frati per essere gentili con questo rozzo lebbroso non davano frutti, al punto di rivolgersi a Francesco, che decise di andare personalmente a servire quel pover’uomo.
“Santo Francesco se ne viene a questo lebbroso perverso; e giugnendo a lui, sìlo saluta dicendo: «Iddio ti dia pace, fratello mio carissimo». Risponde il lebbroso: «Che pace posso io avere da Dio; che m’ha tolto pace e ogni bene, e hammi fatto tutto fracido e putente?». E santo Francesco disse: «Figliuolo, abbi pazienza, imperòche le infermitàde’ corpi ci sono date da Dio in questo mondo per salute dell’anima, peròch’elle sono di grande merito, quand’ elle sono portate pazientemente». Risponde lo infermo: «E come poss’io portare pazientemente la pena continova che m’affligge il dìe la notte? E non solamente io sono afflitto dalla infermitàmia, ma peggio mi fanno i frati che tu mi desti perchèmi servissono, e non mi servono come debbono». Allora santo Francesco, conoscendo per rivelazione che questo lebbroso era posseduto da maligno spirito, andòe posesi in orazione e pregòIddio divotamente per lui.
E fatta l’orazione, ritorna a lui e dice così: «Figliuolo, io ti voglio servire io, da poi che tu non ti contenti degli altri». «Piacemi, dice l’infermo; ma che mi potrai tu fare piùche gli altri?». Risponde santo Francesco: «Ciòche tu vorrai, io farò». Dice il lebbroso: «Io voglio che tu mi lavi tutto quanto, imperòch’io puto sìfortemente, ch’io medesimo non mi posso patire». Allora santo Francesco di subito fece iscaldare dell’acqua con molte erbe odorifere, poi sìspoglia costui e comincia a lavarlo colle sue mani, e un altro frate metteva su l’acqua. E per divino miracolo, dove santo Francesco toccava con le sue sante mani, si partiva la lebbra e rimaneva la carne perfettamente sanata. E come s’incominciòla carne a sanicare, cosìs’incominciòa sanicare l’anima; onde veggendosi il lebbroso cominciare a guarire, cominciòad avere grande compunzione e pentimento de’ suoi peccati, e cominciòa piagnere amarissimamente; sicchèmentre che ’l corpo si mondava di fuori della lebbra per lo lavamento dell’acqua, l’anima si mondava dentro del peccato per contrizione e per le lagrime”.
Toccare per purificare e risanare
Il racconto dei Fioretti è unico per vari motivi, certamente non solo per lo stile vivace e drammatico con cui viene presentato. Prima di tutto è un racconto che palesa un senso di umanità profonda che va a toccare le viscere di misericordia di Francesco. Come Gesù, quando vide i lebbrosi presentarsi davanti a lui, fu toccato dalla loro preghiera e richiesta di pietà; anche Francesco prova misericordia verso quest’uomo, nonostante si presentasse, addirittura, come un “posseduto” dal demonio per i suoi modi rozzi e disumani di trattare i poveri frati che lo servivano. Francesco dà ascolto alla situazione drammatica di quell’uomo e gli lascia sfogare la rabbia, ben sapendo che la sua grossolanità era solo frutto di una sofferenza fisica e psichica di smisurate proporzioni. Sente compassione per una persona, schifata dal suo proprio corpo, per la condizione orrenda delle piaghe purulente e maleodoranti. Francesco non sentì nausea di fronte a tale miseria, ma cercò di capirla come se l’avesse sperimentata sulla propria pelle, proprio come Gesù, che viene presentato tamquam leprosus sulla croce.
Dalla compassione, Francesco passa alla preghiera, per fortificarsi e discernere il miglior modo di agire in quella situazione tanto difficile. Poi, passa al dunque chiedendo al malato che tipo di servizio volesse. La risposta era esigente. Francesco non si tira indietro. Tratta quell’uomo con rara umanità. Fa preparare l’acqua calda con molte erbe profumate per disinfettare e pulire perfettamente quel corpo malato. Poi si mette a lavare l’uomo spogliato, vulnerabile, scoperto nella sua più profonda fragilità. Francesco lava quell’uomo toccandolo nelle ferite aperte e sanguinanti. Era il tocco dell’amore, il tocco puro e casto di una mano che risanava e ridava a quel lebbroso la dignità perduta, non soltanto nel corpo, ma soprattutto nello spirito.
Ecco il miracolo! Non si trattava soltanto di una guarigione fisica, ben evidente nel racconto. Era più importante la guarigione interiore, la purificazione dell’anima, le lacrime di compunzione, la conversione del lebbroso, il quale vede riabilitata la bellezza e la dignità della propria esistenza corporea e spirituale donatagli da Dio. Da questo atto di misericordia scaturisce poi la riconoscenza di quell’uomo, che viene indirizzata a Dio, autore di ogni bene, che si serve del poverello Francesco come uno strumento semplice e fragile per operare meraviglie.
Non si trattava certamente di un miracolo strepitoso che attirava le folle. Probabilmente era una guarigione avvenuta nel rispetto della “privacy” e della dignità di quel pover’uomo.
Il gesto di Francesco sembra sconvolgente e trasformante nello stesso tempo. Proprio come fece in un altro momento quando frate Giovanni il Semplice aveva condotto un lebbroso alla Porziuncola e Francesco lo rimproverò. Il fatto è citato nello Specchio di Perfezione 58 (FF 1748), ma lasciamo alla penna esperta dell’Arcivescovo di Benevento, Felice Accrocca, il compito di raccontarlo e commentarlo:
“Frate Giacomo il Semplice aveva condotto alla Porziuncola un lebbroso sfigurato dalle ulceri. Francesco stesso gli aveva raccomandato quei malati. Giacomo, infatti, assisteva i più colpiti e ne curava le piaghe. A quei tempi «i frati restavano nei lebbrosari». Francesco allora gli si rivolse in tono di rimprovero, dicendogli che non avrebbe dovuto condurre là «i fratelli cristiani» (così egli chiamava i lebbrosi), poiché non era conveniente né per lui né per loro. Non voleva, infatti, per ovvi motivi di sicurezza, che frate Giacomo facesse uscire dall’ospedale i più piagati. Ma non aveva ancora finito di parlare, che subito si pentì di quello che aveva detto e andò a confessare la colpa a Pietro Cattani, soprattutto perché aveva timore che, rimproverando fra Giacomo, avesse fatto vergognare il lebbroso. Chiese quindi a frate Pietro di non contraddirlo, assegnandogli la penitenza che egli stesso avrebbe indicato, che fu quella di «mangiare nello stesso piatto con il fratello cristiano». Non si usavano posate allora, e persone diverse affondavano le mani nello stesso piatto: fu posta, perciò, una scodella tra loro due. Il lebbroso, narrano i testimoni, «era tutto una piaga; le dita, soprattutto, con le quali prendeva il cibo, erano contratte e sanguinolente, così che ogni volta che le immergeva nella scodella vi colava dentro il sangue». Al veder ciò, frate Pietro e gli altri frati «furono molto rattristati, ma non osavano dir nulla per timore del padre santo». Ha ragione Raoul Manselli, quando osserva che ciò di cui Francesco si vergogna, non è di aver rimproverato frate Giacomo il Semplice, ma di «aver dato al lebbroso il senso di essere meno che uomo». Ciò poteva essere superato soltanto con il rendergli di nuovo la sua umana dignità, vale a dire «collocandosi su di un identico piano, nell’unico modo possibile in quella circostanza: mangiando insieme». Paradossale finché si vuole, ma evangelico!”.
Fonte: Rivista Frati della Corda (Notiziario della Custodia di Terra Santa), Luglio 2018
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