Mai come in questo momento, quando un vile attentato ha portato la morte in un mercatino natalizio di Strasburgo, bisogna ricordare la santità della vita nascente che celebriamo nel Natale. Questa festa cristiana è infatti un inno gioioso alla sacralità della vita. Una vita donata e accolta. Una vita povera e umile. Una vita che, per nessuna ragione, deve essere cancellata da mano d’uomo o, all’opposto, ridotta a un carrozzone consumistico.
L’attesa di Gesù, il salvatore, viene a dare un senso, oggi, a questo mondo ferito dalla follia perversa di un terrorismo che colpisce all’improvviso senza alcuna pietà verso il prossimo e dalla diffusione di un mercato della vita che pervade la nostra quotidianità mascherando con la pietà un’industria del desiderio. Si tratta di due fenomeni della società contemporanea molto diversi tra loro ma che sono accomunati da una stessa radice: la perdita del significato profondo della vita umana. Da un lato, infatti, la vita viene uccisa per vendetta; dall’altro lato, invece, viene fabbricata per profitto.
Il Natale è invece un inno alla vita da cantare su uno spartito in cui sono scritte tre parole: gioia, dono, umiltà. La gioia di un Dio che viene in mezzo agli uomini e nasce ultimo tra gli ultimi. «Egli viene — scrive don Mazzolari — e con Lui viene la gioia». Una gioia che viene donata al mondo, scrive il parroco di Bozzolo, «attraverso un bambino che non ha niente». Un bambino che non ha regali da elargire agli altri perché lui stesso è il vero dono di Dio all’umanità intera. Solo accogliendo veramente Gesù nella propria vita ogni persona può essere «un dono per gli altri». Un dono gratuito che non lascia spazio al mercanteggiamento dei sentimenti e alle mode effimere più costose.
Un dono che si può comprendere appieno solo con l’umiltà della fede. L’umiltà di quegli uomini e di quelle donne che sanno riconoscere il Signore della storia senza fare di se stessi degli idoli in carne e ossa.
Il Papa ha esortato a prepararsi al Natale con il coraggio della fede e a celebrarlo non mondanamente. Con un’esortazione alla semplicità e all’essenzialità della festa. Festa che è da vivere in famiglia e nella comunità cristiana; per esempio, attorno a un simbolo di rara ricchezza culturale e spirituale: il presepe. Un simbolo antico che in Italia ha una storia speciale grazie alla felice intuizione del Poverello di Assisi. Tommaso da Celano, descrivendo la rappresentazione del presepio voluta da san Francesco a Greccio, restituisce il significato profondo di questo simbolo natalizio: «In quella scena commovente risplende la semplicità evangelica, si loda la povertà, si raccomanda l’umiltà». Il presepe ancora oggi ha questo significato: semplicità evangelica, povertà, umiltà.
E null’altro. Le odierne dispute sul presepe, perciò, stridono alle orecchie di chi è puro di cuore e risultano enormemente distanti dalla commozione e dal giubilo raccontati da Tommaso da Celano. Il giorno della rappresentazione di Greccio, scrive questo autore medievale, è «il giorno della letizia» e «il tempo dell’esultanza»: ogni volta che san Francesco «diceva “Bambino di Betlemme” o “Gesù”, passava la lingua sulle labbra, quasi a gustare e trattenere tutta la dolcezza di quelle parole» scrive Tommaso. Bisogna allora avvicinarsi al Natale cercando di gustare questa dolcezza, e dunque lasciando da parte asprezze, maldicenze, divisioni. Ed è questa la dolcezza della vita, che è nata in una stalla di Betlemme e che ogni anno rinasce nei nostri cuori.
Fonte Osservatore Romano
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