Suor Rafaela Rapacz OCPA, autrice della voce, divide il suo contributo in tre punti: 1. Contesto storico nel quale è nata la Regola delle Povere Dame; 2. Contenuto e struttura della Regola; 3. Vicende posteriori della Regola di santa Chiara.
Prima di passare al contesto storico, si sottolinea che fino alla Santa le regole di vita religiosa femminile erano scritte dagli uomini, come quella prima di san Cesario d’Arles (Regola delle Vergini) del 512, oppure di san Donato del VII sec. (Regola per le Monache), nonché adattamenti per le donne della Regola di san Benedetto.
La prima regola per le donne scritta da una donna è proprio quella di santa Chiara d’Assisi, confermata dal papa Innocenzo IV il 9 agosto 1253 con la bolla Solet annuere. Francesco, sentendosi responsabile per Chiara e la comunità che nasceva a San Damiano, scrisse intorno al 1212/1213 una prima regola, chiamata Forma vivendi. Il breve testo, ispirato al Vangelo, nacque probabilmente dalla richiesta di Chiara di avere un esplicito regolamento e indirizzo. Non possediamo l’originale del testo, ma la sua parte più importante fu riportata da Chiara nel capitolo VI della sua Regola (RsC 6,3-4), che comunque non contiene nessuna normativa giuridica, ma le basi teologico-spirituali della nascente comunità francescana femminile.
L’oggetto delle discussioni e ricerche contemporanee è la questione, se si tratti qui del documento intero o di un suo breve brano.
Secondo il canone XIII del Concilio Lateranense IV del 1215, i nuovi ordini dovevano assumere una delle regole già esistenti, nel caso delle Povere Dame quelle di sant’Agostino o di san Benedetto, che comunque non garantivano loro l’osservanza della povertà secondo la proposta di Francesco.
Chiara per non essere infedele all’ideale dell’Assisiate chiese e ottenne dal papa Innocenzo III, nel 1216, il Privilegio della povertà, per conservare la vita nella povertà assoluta, individuale e comunitaria. Ancora oggi proseguono le discussioni sull’autenticità del documento papale, ma non si può negare l’approvazione di tale stile di vita per San Damiano.
Nel 1218 le Povere Dame accettarono la Regola di san Benedetto, dopo la visitazione del cardinale Ugolino, ma Chiara si oppose alla sua visione e ai suoi tentativi espressi nelle Costituzioni Ugoliniane del 1219, perché imponevano lo stile monacale benedettino, senza nessun riferimento a Francesco e al suo ideale. Nel 1228 Chiara costrinse Ugolino a confermare il Privilegio della Povertà, testimoniando in tal modo la fedeltà al carisma di Francesco.
Papa Innocenzo IV, con la bolla Cum omnis vera religio del 6 agosto 1247, offrì le norme per le Damianite. In esse permise l’osservanza della Regola di san Francesco, sulla quale emettevano i loro voti religiosi. Per le normative particolari il papa propose un documento simile alle Costituzioni Ugoliniane, chiamato la Regola di Innocenzo IV, ma è più corretto parlare delle Costituzioni Innocenziane. Da una parte la bolla sancì il ritorno al carisma francescano e la dipendenza giuridica dal Primo Ordine, realizzando il sogno di Chiara, dall’altra però al n. 11 si distanziava dall’ideale della povertà assoluta, perciò il testo pontificio trovò un’opposizione delle sorelle e dei frati.
Infine, nel 1250, Innocenzo IV (nella foto) cedette, e questo aprì la strada per la redazione della nuova regola. Chiara scrisse la forma di vita delle Damianite usufruendo probabilmente dell’aiuto di persone competenti (cardinale protettore) e dei frati minori. Secondo le ricerche alcuni brani provengono già dal 1247, mentre la redazione finale nacque tra la fine del 1251 e gli inizi del 1252, quando presentò il documento al cardinale protettore Rainaldo di Segni, futuro Alessandro IV, che poi la canonizzò. Egli confermò il testo, a nome della Santa Sede, il 6 settembre 1252, però Chiara volle una garanzia più forte e duratura della bolla papale, che ottenne il 9 agosto 1253, due giorni prima della sua morte. Anche se si chiama Regola di santa Chiara, la Santa non volle una nuova regola, in quanto aveva quella di san Francesco, ma compose le norme per la sua comunità di San Damiano, come lo fecero prima Ugolino e Innocenzo IV. Infatti nell’incipit della Regola affermò: «La forma di vita dell’Ordine delle “Sorelle Povere”, istituito dal beato Francesco, è questa: osservare il santo Vangelo del Signore nostro Gesù Cristo, vivendo in obbedienza, senza proprietà e in castità» (RsC 1,1-2).
Le fonti usate dalla Santa furono la Regola minoritica, la Regola di vita negli eremi, frammenti delle Costituzioni Ugoliniane e della Regola benedettina, però circa la metà del testo è riconducibile a lei stessa. Nella Regola il capitolo VI è il più importante e personale. In esso Chiara indica le basi del carisma clariano: la spiritualità trinitaria fondata sullo stile evangelico di vita, il legame particolare con i frati minori, il valore principale della povertà evangelica.
La divisione in dodici capitoli non è riconducibile a lei, in quanto il testo era in un blocco unico senza distinzione delle questioni, proviene quindi dal modello della Regola minoritica, secondo le esigenze liturgico-monastiche della lectio nel refettorio e durante i raduni capitolari.
La forma di vita fu confermata solo per la comunità di San Damiano, altri conventi delle Damianite dovevano ricevere il permesso dalla Santa Sede per osservarla.
Alla morte della Santa esistevano già 111 conventi delle Povere Dame, ma solo alcuni (Monticelli, Monteluce, Praga), poterono vivere secondo le norme di Chiara.
Urbano IV, il 18 ottobre 1263, confermò con la bolla Beata Clara la Regola dell’Ordine di Santa Chiara, che viene chiamata la “seconda regola” o la “regola urbaniana”. Essa fu accolta dalla maggioranza dei monasteri clariani, perfino dal Protomonastero d’Assisi che solo nel 1932 ritornò alla Regola di santa Chiara, formando per secoli la vita delle Clarisse.
Comunque la prima Regola fu sempre alla base delle riforme clariane tra il XV e XVI sec. Dalla metà del XX secolo, in occasione del settimo anniversario della morte di santa Chiara e dopo il Concilio Vaticano II, crebbe tra le Clarisse la volontà di ritornare al testo della Santa, cosicché molte comunità lo accolsero come il fondamento giuridico.
di Emil Kumka OFMConv, docente di Francescanesimo
per “San Bonaventura informa“ (Dicembre 2017)
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