Oltre alla sinopia sul Rapimento di San Francesco a mensa con i frati, tra gli affreschi della chiesa, ce n’è anche altre di sinopie trequattrocentesche a San Damiano, la cui lettura non è facile decifrare, ma che tuttavia è importante segnalare.
Si trovano sulle pareti nord e ovest dell’oratorio di Santa Chiara. E, come nella chiesa a piano terra, sono contestuate con gli affreschi sulle pareti est e sud.
Nel santuario fontale di San Damiano, l’oratorio è luoghicciuolo intimo del monastero di Santa Chiara, allo snodo tra Dormitorio e Infermeria e sopra il Coro attuale della chiesa, e pur affacciato sul Giardinetto. Ed è impreziosito da affreschi. Chiara, inferma com’era per 24 anni, vi conservava l’Eucaristia, vi sostava lungamente in preghiera e, con il segno della santa Croce, vi liberava i malati, che anche Francesco le mandava (Proc 2,15; LsC 32).
Gli archeologi vi appuntano l’interesse con opinioni contrastanti. Chi lo ritiene legato alla prima chiesetta sottostante, dalla volta bassa ancora romanica, ov’è oggi il coro cinquecentesco dei frati con l’abside sullo sfondo, che, dal basso, sale a coinvolgere l’Oratorio.
Chi invece lo considera ultima costruzione, in funzione di raccordo e passaggio dalla chiesa rettangolare del piano terra, che ritengono anteriore: Francesco l’avrebbe coperta con volta archiacuta a ricavarne sopra, con un secondo cantiere di suoi poveri amici, il Dormitorio del monastero ormai in crescita di sorelle. Qui, il mio interesse, invece, si limita a leggere, nell’Oratorio, il senso degli affreschi per potervi trovare, se possibile, la chiave anche delle due sinopie.
Gli studiosi non sanno dire granché sui pittori incaricati: di certo pittori locali che, di lontano e modestamente, ricalcavano l’eredità delle grandi scuole forestiere, già conclusa verso il 1320; mentre gli affreschi dell’oratorio si porrebbero a cavallo fra Tre e Quattrocento.
Fermerei prima l’attenzione sugli affreschi dalla parete est a quella sud dell’Oratorio. Sono di commissione sicura dei frati che v’eran tornati già prima del 1306: una piccola comunità di Spirituali moderati di cui, fra i primi, fu guardiano frate Corrado da Offida; che vi aveva lasciato una tavola mariana votiva, con lui offerente in ginocchio (cfr. E. Lunghi, Il beato Corrado da Offida, in Domini vestigia sequi, Santa Maria degli Angeli: Porziuncola, 2003); tavola ora al museo Porziuncola.
Gli affreschi illustrano episodi ivi vissuti da Chiara e sorelle, privilegiando, in partenza, i fatti drammatici dei Saraceni di Federico II, dell’assalto al monastero nel 1240 e dell’assedio ad Assisi al comando di Vitale d’Aversa nel 1241.
Vistosa e apparentemente centrale la scena delle Sore schierate in ginocchio con Chiara che le conduce, con l’innata fierezza della sua stirpe castellana, al Ciborium, tuttora lì a muro sulla parete sud, al santissimo Corpo del Signore, custodito, com’era effettivamente, nella doppia cassetta (eburnea e d’argento), qual è lì dipinta.
Conosciamo la preghiera invitta, animata da Chiara: “Non abbiate paura… vi farò io da scudo… proteggi, Signore, dalle belve queste tue serve che io non valgo a difendere”.
Come poi l’anno dopo, in digiuno e la testa cosparsa di cenere, per la città assediata: “Salva, Signore, questa tua città che per tuo amore ci sostenta” (cfr. soprattutto Proc 9,2-3; 3,18-19; LsC 21-23).
Ma per quanto preminente ne sia la scena pittorica, non è lì il tema unitario degli affreschi. Gli sguardi delle Sore e di Chiara sono rivolti all’interno del Ciborium: in piedi, sulla cassetta eucaristica, tra angeli e santi adoranti, con le manine tese a dar sicurezza, sta dipinto il santo Bambino.
Sentirono una voce dolcissima come di bambino: “Io vi custodirò sempre”. Come anche l’anno appresso: “La città avrà tribolazioni, ma la mia protezione la salverà”.
Ecco il punto tematico, l’attore protagonista e difensore contro la forza bruta dei nemici: il santo Bambino nella sua inerme debolezza.
(continua …)
in VECCHIE COSE NUOVE, di Giulio Mancini dal n. 4/2017 della Rivista Porziuncola
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