Il 2017 è stato l’anno del cinquecentenario della morte di frate Luca Pacioli, uno dei più grandi matematici del Rinascimento. Pacioli si accostò alla matematica, rimanendone affascinato, a Borgo S. Sepolcro, sua terra d’origine, frequentando probabilmente la bottega del pittore Piero della Francesca.
Trasferitosi ancora giovanissimo a Venezia presso la casa di un ricco mercante come precettore dei suoi figli, accumulò in quella sede conoscenze di computisteria e tenuta dei libri contabili, prendendo così coscienza della straordinaria utilità pratica della matematica. Nella città di Venezia ebbe inoltre modo di frequentare la celebre scuola del Rialto, dove perfezionò ulteriormente le sue conoscenze matematiche.
Nel 1471, al tempo del pontificato di Paolo II, si trasferì a Roma e, dopo qualche anno, tra il 1471 ed il 1478, decise di indossare l’abito francescano, conseguendo in seguito il titolo di magister theologiae, di cui poi sempre amò fregiarsi. Il maestro d’abaco divenne così anche dotto maestro di teologia, aggiungendo alla cultura tecnica e matematica alla quale era stato educato da giovane, quella ‘latina’ acquisita negli anni di studio necessari a diventare magister.
Conoscendo il latino poteva ora leggere direttamente i classici della matematica; divenne dunque un ottimo insegnante di tale materia, richiesto, come di uso a quel tempo, da varie corti ed università. Dimorò dunque a Perugia, Firenze, Roma, Sansepolcro, Napoli, Assisi, Urbino, Venezia e Milano; nel corso della sua vita ebbe modo di conoscere i migliori pittori, scultori, architetti, ingegneri e artigiani del tempo, tra cui, tanto per far qualche nome, Piero della Francesca, Leonardo da Vinci, Leon Battista Alberti.
Molte furono le opere realizzate dal Pacioli, di cui alcune purtroppo non conobbero la stampa.
Tra le opere stampate è bene ricordare l’edizione latina degli Elementi di Euclide nella versione di Campano da Novara che uscì dal torchio nel 1509; la Summa de arithmetica, geometria, proportioni et proportionalità, già stampata nel 1494 a Venezia e dedicata a Guidobaldo da Montefeltro; il De divina proportione, l’opera sua forse più celebre, stampata a Venezia nel 1509 e dedicata a Ludovico il Moro.
La preziosa esperienza maturata nell’ambiente mercantesco, unita all’ideale francescano di una totale ed amorosa apertura al mondo, probabilmente lo persuase ad usare il volgare – già messo a profitto nei diffusi e pratici libri d’abaco – nella stesura dei suoi volumi.
I principi teorici della matematica e le molte possibilità pratiche di applicazione venivano così proposti, secondo un’idea di divulgazione del sapere scientifico per molti aspetti moderna, a coloro i quali, privi di una solida formazione accademica, ignoravano il latino: «in materna et vernacula lingua – egli dice – mi so messo a disponerla in modo che litterati et vulgari oltra utile ne haranno grandissimo piacere in essa exercitandose».
Alcuni studiosi ritengono che la Summa del Pacioli divenne fonte di ispirazione per molti celebri matematici del Cinquecento come Gerolamo Cardano, Niccolò Tartaglia, Raffaele Bombelli e Federico Commandino, ed in essa in particolare gli storici della ragioneria vedono la prima codificazione della ‘partita doppia’. L’opera anzi assume per molti quasi le vesti di una vera e propria enciclopedia delle matematiche, pratiche e teoriche, dal Medioevo al Rinascimento.
La straordinaria figura di Luca Pacioli non ha mai cessato nel corso dei secoli di suscitare una certa curiosità e non solo tra gli studiosi esperti di storia della matematica.
Alcuni certamente ancora ricorderanno come la Zecca italiana coniò nel 1994, proprio in occasione del quinto centenario della Summa, una serie di monete bimetalliche da 500 lire in cui campeggiava un ritratto a mezzo busto del Pacioli col saio francescano, su disegno di Ugo Pernazza.
In SCIENZA COL SAIO, a cura di Paolo Capitanucci
dal n. 1/2017 della Rivista Porziuncola
Economia Luca Pacioli Matematica Paolo Capitanucci Rivista Porziuncola Scienza e saio
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