Prima parte di un articolo di p. Simone Ceccobao pubblicato sulla Rivista Porziuncola
Papa Francesco apre la sua ultima lettera enciclica con queste parole: «Fratelli tutti, scriveva San Francesco d’Assisi per rivolgersi a tutti i fratelli e le sorelle e proporre loro una forma di vita dal sapore di Vangelo. Tra i suoi consigli voglio evidenziarne uno, nel quale invita a un amore che va al di là delle barriere della geografia e dello spazio. Qui egli dichiara beato colui che ama l’altro “quando fosse lontano da lui, quanto se fosse accanto a lui”. Con queste poche e semplici parole ha spiegato l’essenziale di una fraternità aperta, che permette di riconoscere, apprezzare e amare ogni persona al di là della vicinanza fisica, al di là del luogo del mondo dove è nata o dove abita» (Francesco, Fratelli tutti, n. 1). La fraternità – sembra indicarci il Pontefice – così come la pensava il Poverello di Assisi rappresenta il progetto di un’umanità riuscita e il modello di un amore concreto. Dopo otto secoli le parole del nostro Papa si accordano perfettamente a quelle di san Francesco che nella sua Regola non bollata ci presenta la fisionomia di quella fraternità evangelica nata dal suo incontro con il Vangelo.
Fraternità in cui la vita è il Vangelo
«Questa è la vita del Vangelo di Gesù Cristo, che frate Francesco chiese che dal signor papa Innocenzo gli fosse concessa e confermata» (Rnb, Prologo). La Regola attualizza la vita del Vangelo di Gesù Cristo, si prefigge lo scopo di disegnare sul volto del frate i lineamenti del Signore, di rivestire la sua umanità con quella di Gesù, servo e minore. Il frate è colui che «in obbedienza, castità e senza nulla di proprio segue la dottrina e l’esempio di Gesù Cristo» (Rnb I,1); è un uomo che per essere libero sceglie di obbedire, che per amare meglio sceglie di essere casto, che per non perdere il Tesoro lascia le cose, come ha fatto Gesù. I consigli evangelici non vanno perciò intesi come un “di meno”, ma quel “di più” che ci fa assomigliare al Signore povero, casto, obbediente e crocifisso.
Fraternità accogliente
La fraternità che nasce da questo rivestirsi di Cristo (cf. Rm 3,14; Col 3,12) è improntata all’accoglienza: «Se qualcuno, per divina ispirazione, volendo scegliere questa vita, verrà dai nostri frati, sia da essi benignamente accolto» (Rnb II,1). Un’accoglienza che deve essere “benigna”, cioè fatta con un cuore abitato da un’abituale disposizione al bene, scevra di precomprensioni, pregiudizi, sospetti. Accogliersi a vicenda, generando quello spazio virtuoso nel quale le esistenze dei frati non si giustappongono semplicemente, ma si legano l’una alle altre: «E ovunque sono i frati e in qualunque luogo si incontreranno, debbano rivedersi volentieri e con gioia di spirito e onorarsi scambievolmente senza mormorazione» (Rnb VII,15). Ri-vedersi, vedersi con occhi sempre nuovi, con lo sguardo di chi vede nell’altro una sorpresa, un dono, un inedito. Onorarsi, riconoscendo nell’altro la presenza di Gesù, uno spazio colmato da Lui, terra consacrata, abitata dall’Eterno. Un’accoglienza che veramente sappia riconoscere in tutti dei fratelli: «E chiunque verrà da essi, amico o nemico, ladro o brigante, sia ricevuto con bontà» (Rnb VII,14). La fraternità, così come la concepisce Francesco, è lo spazio buono in cui nessuno è nemico, in cui tutti possono sentirsi a casa.
Fraternità di servi e di minori
Vivere la vita del Signore Gesù significa assumere la vita dei servi, secondo l’icona evangelica della lavanda dei piedi (cf. Gv 13). La fraternità è lo spazio nel quale si fanno propri gli atteggiamenti del piegarsi, del chinarsi. È il luogo in cui per vivere da fratelli si deve vivere da minori. La minorità, imparentata strettamente col servizio, è per Francesco il vero correttivo della logica del potere e del dominio: «Tutti i frati non abbiano in questo alcun potere o dominio, soprattutto fra di loro. Come dice infatti il Signore nel Vangelo: “I principi delle nazioni le signoreggiano, e i grandi esercitano il potere su di esse”; non così sarà tra i frati; “e chi tra loro vorrà essere maggiore”, sia il loro ministro e servo; “e chi tra di essi è maggiore, si faccia come il minore”» (Rnb V,9-12).
Minorità e servizio sono lo stile con cui i frati si relazionano tra loro e con il mondo, il modo con cui diventano fratelli di tutti: «E tutti i frati si guardino dal calunniare alcuno, ed evitino le dispute di parole, anzi cerchino di conservare il silenzio, se Dio darà loro questa grazia. E non litighino tra loro, né con gli altri, ma procurino di rispondere con umiltà, dicendo: Sono servo inutile» (Rnb XI,1-3). Il frate minore è colui che non si impone, ma si propone, che cerca non lo scontro, ma l’incontro; è servo inutile perché umile. Solo nella tessitura evangelica dell’umiltà si costruiscono trame di fraternità.
Lo spazio vitale in cui si innesca questo circolo virtuoso è delimitato dai poveri: «E devono essere lieti quando vivono tra persone di poco conto e disprezzate, tra poveri e deboli, tra infermi e lebbrosi e tra i mendicanti lungo la strada» (Rnb IX,2). I poveri, gli infermi, i lebbrosi, i mendicanti sono coloro che insegnano non solo l’umiltà e il servizio, ma fanno sì che questi avvengano con lo stile della gratuità. Con loro non vale la logica del mercato, del baratto, ma solo quella del dono, della misericordia; chiedono solo amore, cura, premura; impongono la misura della condivisione. Tutti i poveri vanno saputi raggiungere con mani capaci di condividere, altrimenti vengono violati, umiliati. E la condivisione non riguarda prima di tutto cose, ma riguarda tempo, cuore, vita. La preposizione impiegata nel testo latino è inter, cioè “in mezzo”, che sta a indicare una reale, profonda, abituale comunione di vita con i poveri.
La minorità e il servizio vissuti in fraternità trovano nel capitolo IX della Regola non bollata una delle immagini più belle e commoventi: «E con fiducia l’uno manifesti all’altro la propria necessità, perché l’altro gli trovi le cose necessarie e gliele dia. E ciascuno ami e nutra il suo fratello, come la madre ama e nutre il proprio figlio» (Rnb IX,10-11). La madre che ama e nutre è l’emblema del servizio, ella tutta si dona al suo piccolo, e della minorità, si mette più in basso della sua creatura. Ama da serva, nutre da minore. Entro questa circolarità d’amore, la fraternità diventa lo spazio in cui con fiducia ognuno può manifestare agli altri le proprie necessità, i propri bisogni, i propri desideri, perché sa che ad ascoltare ci sarà sempre un cuore di madre. (continua)
In REGOLA E VITA, a cura di Simone Ceccobao
dal n. 4/2021 della Rivista Porziuncola
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