In preparazione all’ottavo centenario dell’incontro di san Francesco con il Sultano Al-Kamil (1219) che ricorre il prossimo anno, il Centro Francescano Internazionale per il Dialogo di Assisi (CEFID) e la Comunità Religiosa Islamica Italiana (COREIS) organizzano per il prossimo 23 giugno, presso il CEFID, una giornata di dialogo cristiano-islamico dal titolo: “San Francesco e shaykh Abu al-Hassan al-Shadhili. Contemporaneità e attualità di due grandi maestri e rinnovatori spirituali del cristianesimo e dell’islam. Crisi, decadenza ed escatologia. Come restaurare la religione che va in rovina?”.
I lavori saranno introdotti dai saluti di Silvestro Bejan OFMConv, direttore del Centro Francescano Internazionale per il Dialogo, da quelli di Abd al-Sabur Turrini, direttore della Comunità Religiosa Islamica Italiana, e del sindaco di Assisi Stefania Proietti.
Per la parte francescana interverranno fra Guglielmo Spirito, docente di Teologia Spirituale all’Istituto Teologico di Assisi con la relazione “Avere lo Spirito del Signore e la sua santa operazione” (Rb 10): La vita nuova inseguita da san Francesco e fra Domenico Paoletti, docente di Teologia alla Pontificia Facoltà Teologica “San Bonaventura” Seraphicum di Roma con la relazione “L’escatologia prospettiva della vita. Oltre la crisi e la decadenza”.
Per la parte islamica, invece, interverranno l’imam Yahya Pallavicini, presidente COREIS italiana con la relazione “La scuola di ‘restauro” spirituale dello shaykh Abu al-Hassan al-Shadhili, contemporaneo di Francesco” e Abd al-Ghafur Masotti, responsabile del dialogo interreligioso COREIS italiana con la relazione “Crisi e analfabetismo sulla religione. Riflessioni islamiche dal De Vera Religione di Sant’Agostino”.
Non è la prima volta che il CEFID e la COREIS propongono una giornata simile. Nell’anno 2010 fu organizzato un evento dal titolo: “Assisi nuovo incontro”.
In quella occasione fu detto: «Il Sultano scopre nel Poverello un uomo di fede e Francesco scopre nel Sultano un “credente”. Ciascuno afferma la propria identità, la diversità viene rispettata e si vive la reciprocità. E avviene il miracolo dell’incontro.
Francesco supera ogni muro e ostacolo. Si sente inviato da Dio, come egli stesso dirà al Sultano, di fronte al quale non esita a confessare la sua fede nel Dio uno e trino».
A questo riguardo le parole del patriarca di Antiochia Grégoire III Laham (nella foto) sono molto significative per il cristiano di oggi: «Se l’Islam avesse davvero davanti a sé una cristianità reale, accogliente, limpida, forte, capace di testimonianza, se l’Occidente fosse davvero animato dalla forza spirituale cristiana, il rapporto con l’Islam sarebbe un’interazione, un dialogo, una convivenza leale».
Ogni anno, il CEFID svolge diverse attività di accoglienza, riflessione e momenti di condivisione con i credenti musulmani provenienti dall’Italia e dall’estero.
Ne ricordiamo qui solo tre. Il primo momento significativo da ricordare è avvenuto il 23 gennaio 2014. Si tratta del convegno “Tre uomini faccia a faccia con Dio: Isacco il Siro, Francesco d’Assisi e Mevlana Galal al-Din Rumi”, organizzato dal CEFID, in collaborazione con l’Ambasciata di Romania e l’Ambasciata della Turchia presso la Santa Sede. Dopo gli indirizzi di saluto, il tema dell’incontro fu introdotto dall’Ambasciatore di Romania, Bogdan Tătaru-Cazaban (“Contemplazione e misericordia – Radici del dialogo”).
Il programma dell’incontro vide le relazioni presentate da fra Sabino Chialà (“Isacco il Siro e l’ecumenismo della santità”), fra Fabio Scarsato (“De toto corpore fecerat linguam. Le parole e i segni di San Francesco”) e S.E. prof. Kenan Gürsoy, Ambasciatore della Turchia presso la Santa Sede (“I colori e l’armonia nella prospettiva dell’unicità trascendente divina nell’opera di Mevlana Galal al-Din Rumi”). Ciascun intervento fu seguito da un momento musicale della propria tradizione spirituale.
Da sottolineare ancora altri due momenti formativi organizzati dal CEFID in Turchia per i frati dell’Ordine dei Frati Minori Conventuali.
Il primo incontro formativo organizzato ad Iskenderun, nel 2012, intitolato “In mezzo ai musulmani per divina ispirazione” e il secondo ad Istanbul, nel 2013, con il titolo “Vita del credente in Dio: cammino di fedeltà e di sacrificio”. In questi due incontri i frati hanno voluto raccontare le proprie esperienza e riflettere insieme non tanto su ciò che fanno nei Paesi musulmani ma su ciò che sono come frati francescani “in mezzo ai musulmani”.
All’inizio di ogni missione c’è la divina ispirazione. Nella vita di san Francesco, nella vita del cristiano e nella vita del frate minore, c’è la divina ispirazione.
Il fine della vita cristiana, diceva san Francesco, non è pregare, né fare penitenza. Il fine è “avere lo Spirito del Signore e la sua vita in noi” (Rb 10). Una volta che il frate ha dentro di sé lo spirito del Signore, allora nasce l’opera.
D’altra parte l’adagio dice: “agitur sequitur esse”, l’agire segue l’essere. Non vi è prima l’agire e poi l’essere. Se vi fosse prima l’agire e poi l’essere, sarebbe un problema, perché non si vivrebbe come si pensa, ma si finirebbe con il pensare come si vive e ciò sarebbe drammatico. La divina ispirazione è dunque di grandissima importanza.
Il dialogo vero è sempre difficile. Nelle varie parti del mondo ci sono grandi difficoltà a trovare interlocutori disposti a dialogare e modi nuovi per stare insieme, accettando entrambi di cambiare qualcosa per venirsi incontro.
Molti frati che vivono in mezzo ai musulmani, dopo aver pregato, dopo aver riflettuto, dopo aver chiesto consiglio e dopo aver anche sofferto molto, si sono dati un’unica risposta: a volte, l’unica missione possibile, è la missione di presenza. Esserci e basta! Essere una presenza. Una presenza, però, che sappia amare, che sappia rispettare, che sappia anche dialogare con i vicini senza tante parole.
Il dialogo del frate minore conventuale non è fatto solo di parole: il dialogo può essere vissuto anche senza parole. La strategia dialogica secondo lo spirito francescano è delle più semplici: guadagnare la benevolenza di tutti facendosi verso tutti umile e rispettoso servitore, cioè essere minore.
Questo atteggiamento deve caratterizzare il modo di essere dei frati in mezzo agli uomini: «per questo motivo sono detti “frati minori”, perché devono essere i più piccoli di tutti gli uomini del mondo, sia nel nome, sia nell’esempio e nel comportamento» (LegPer 15).
Stare con gli altri, mai contro gli altri. Predicare Dio con la propria vita ed essere testimoni della Parola che si vive.
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