La minorità abbracciata da Francesco d’Assisi come stile di vita non è altro che la testimonianza - e la proposta di senso - della novità del Vangelo. Quindi della rivelazione che il Dio di Gesù di Nazareth fa di se stesso. Senza la rivelazione cristiana la minorità di Francesco e dei “frati minori” resta non solo incomprensibile, ma inconcepibile; tanto più oggi nella nostra cultura occidentale, nella religione del “monoteismo del sé” e dell’autorealizzazione autosufficiente. La minorità entra nel nostro linguaggio con il Poverello d’Assisi. Egli però non adopera mai l’astratto “minorità”, ma solo il concreto e personale “frate minore”. In realtà, pur non comparendo nella Scrittura, la minorità è la logica e la dinamica della Rivelazione del Dio di Gesù di Nazareth, il quale si è fatto “minore” svuotando se stesso da ogni prerogativa divina, come dice la Lettera ai Filippesi: «… svuotò se stesso assumendo la condizione di servo [= di uno che, per definizione, è ‘minore’ rispetto a chi conta, a chi ha la pienezza dei diritti], umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce» (Fil 2,7-8). La minorità va dunque letta e interpretata alla luce della kénosis del Figlio nella prospettiva della Risurrezione. È l’evento di Gesù Cristo a dischiudere questo evento, di cui mai si finisce di stupirsi: la logica nuova del Regno di Dio, al centro dell’annuncio di Gesù, esprime un capovolgimento della mentalità mondana: «Voi sapete che i governanti delle nazioni dòminano su di esse e i capi le opprimono. Tra voi non sarà così; ma chi vuole diventare grande tra voi, sarà vostro servitore e chi vuole essere il primo tra voi, sarà vostro schiavo. Come il Figlio dell’uomo, che non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti» (Mt 20,25-28). «… Chiunque si farà piccolo come questo bambino, costui è il più grande nel regno dei cieli» (Mt 18,4). Farsi piccolo, farsi servo costituisce lo stile e il codice relazionale della comunità dei discepoli del Vangelo, dove la grandezza è data non dalla nascita illustre, da particolari abilità o performance, ma dal sapersi mettere al servizio gli uni degli altri.
Francesco contempla l’umiltà-minorità dell’Incarnazione di Gesù con tale intensità da esserne totalmente coinvolto e da abbracciarla a sua volta, come stile di vita e come specifico della sua fraternitas: «… et sint minores et subditi omnibus» (Regola non bollata 7,2: FF 24); «… E nessuno sia chiamato priore, ma tutti siano chiamati semplicemente frati minori. E l’uno lavi i piedi all’altro» (ivi 6, 3-4 : FF 23). Qui va colta la dinamica della minorità che è a servizio della reciprocità e, quindi, della comunione: l’uno lavi i piedi all’altro. E in seguito forse l’altro li laverà a quell’uno che lo ha servito prima. Non sempre, non subito, non necessariamente: nella vita redenta la reciprocità non è condizione, ma segno. La logica del “farsi minori” accetta anche la relazione asimmetrica quando occorre, ma è sempre dinamica: tende alla crescita reciproca, quindi alla vera comunione. L’essere minori e l’essere sottomessi tendono all’edificazione di un mondo diverso, di un ethos diverso in cui il ruolo di chi serve e di chi è servito, di chi dà e di chi riceve, siano continuamente e agilmente intercambiabili. Va tenuto presente che in Francesco la minorità si configura innanzitutto come stupore pieno di gratitudine di fronte alla minorità di Dio, alla bellezza dell’amore umile di Dio rivelato in Gesù Cristo. Dalla gratitudine impara ad essere “frate minore”, cioè fratello e servo di ogni persona, eliminando dal suo cuore e dal suo linguaggio la contrapposizione amico-nemico. Qui si trovano non solo il fascino e l’attualità di Francesco, ma anche la sua inedita capacità di dialogo con tutti. La minorità, come codice di relazione, è profezia di fraternità universale. In quanto stile che proviene dalla rivelazione cristiana, la minorità va accolta e vissuta con fede. Una verità che non solo ha incontrato e incontra resistenza ad essere compresa e vissuta (nella stessa famiglia francescana), ma ugualmente provoca la ragione stessa a riconoscere l’intrinseca corrispondenza del dato cristologico-teologico con il dato antropologico, specialmente se si pone un legame inscindibile tra amore verso Dio e amore verso il prossimo, com’è proprio della visione cristiana evidenziata dalla parabola del Samaritano (cf Lc 10, 29-37) e dall’immagine del giudizio finale (cf Mt 25, 31-46).
La minorità, termine relativo-relazionale (“meno di”), è inseparabile dalla dimensione fraterna: si traduce nel “farsi prossimo”, e trova il suo perché proprio nel diventare spazio di accoglienza per l’altro, nell’approssimarsi. La minorità in questo orizzonte è la prospettiva per leggere il cammino dei frati minori nei loro otto secoli di vita e comprenderne le tensioni, talvolta conflittuali, tra utopia (irrealizzabile in pienezza) e topia (realizzabile e sempre in fieri).
La storia del francescanesimo è segnata infatti da un processo di continue riforme, conseguenti alle diverse accentuazioni della minorità-povertà-fraternità di Francesco: la tensione che accompagna il suo cammino è tra la minorità di frate Francesco e il minoritismo dei frati minori. Oggi sorgono spontanee domande che chiedono di approfondire il discernimento e di renderlo comunicabile e comunicativo, come per esempio: è praticabile la minorità? È possibile in verità - e, ammesso che sia possibile, è giusto - scegliere di diventare minori, “soggetti a tutti e servi di tutti”, rinunciando ai propri diritti e alla stessa giustizia? Domande che rimandano a quella fondamentale: è possibile stare, come lo è stato Francesco, sui passi di Gesù, del Maestro che ha accettato di apparire come un Messia sconfitto? Possiamo dire che lo stile della minorità si apprende e si esprime nella fraternità, in particolare nei luoghi quotidiani del conflitto, del peccato tra i fratelli, dell’esercizio dell’autorità: nel contrastare la tentazione del potere. Ma è possibile solo se tale stile “minore” della relazione è radicato in Gesù Cristo e nel Vangelo. È la radice teologale a donare la grazia e la capacità di essere minore. Francesco è profondamente, totalmente stupito di fronte al mistero di un Dio minore («tu sei umiltà»), al Dio che si rivela povero e capace di amare “fino alla fine”. La minorità va letta e interpretata all’interno della logica e della dinamica della verità dell’amore che Gesù ci ha rivelato e donato donandosi in umile carità. La minorità è la verità di Dio perché Dio è amore! L’amore fornisce dunque la chiave di lettura per capire l’umiltà di Dio e la minorità di Francesco, dischiudendo cammini di minorità sempre nuovi e inediti. Tutto il mondo è affascinato dalla figura di Francesco, spesso anche il mondo diversamente credente o non credente, perché vede realizzati in lui quei valori ai quali tutti gli uomini aspirano: la libertà, la pace con se stessi e con il creato, la gioia, la fratellanza universale. In realtà la radice da cui sono sbocciati in lui questi valori tanto apprezzati è la minorità, ossia la sua umiltà davanti a Dio. Secondo Dante Alighieri, tutta la gloria di Francesco dipende dal suo “farsi pusillo”( Paradiso XI, 111), cioè dalla sua umiltà, piccolezza, minorità. «Guardate, fratelli, l’umiltà di Dio, ed aprite davanti a lui i vostri cuori» (Lettera a tutto l’Ordine: FF 221): solo contemplando l’umiltà di Dio si impara a farsi minori e prossimi per amore.
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Francescanesimo Fraternità Minorità Relazione
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