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p. Antonino Fantosati ucciso a Hengzhou 01 Feb 2022

La palma del martirio

Negli ultimi anni dell’Ottocento furono numerose in Cina le sollevazioni popolari; tra queste, quella più violenta, che si distinse per portata e conseguenze, fu la cosiddetta “rivolta dei Boxer”. Il termine “Boxer” deriva da una traduzione strampalata di “Yihetuan” che letteralmente significa “pugno per la giustizia e la concordia” che scoppiò nel Zhili e nello Shandong, in un’area con un’altissima densità di popolazione, colpita da fortissima carestia nel 1876 e nel 1898 dalle inondazioni del Fiume Giallo, seguite da una siccità prolungata per due anni. Due anni prima nello Shandong Nord ̶ Occidentale si era formato un gruppo che professava principi etici molto semplici – pietà filiale, armonia con il prossimo – e praticava boxe rituale come attività associata alla guarigione. L’evoluzione distorta di tale pratica in una sorta di “invulnerabilità contro i cristiani” si trasformò in un movimento antistraniero e anticristiano che si diffuse e cominciò a organizzarsi in maniera più coordinata a Pechino e Tianjin nei primi mesi del 1900, fino a portare avanti un assedio diffuso che si concluse con l’intervento degli alleati occidentali il 14 agosto a Pechino.

L’attitudine ultraconservatrice dell’imperatrice Cixi si manifestò attraverso un particolare supporto della rivolta antistraniera incarnata dal movimento dei Boxer. I primi obiettivi da colpire furono i missionari cristiani, in secondo luogo i cristiani cinesi – beneficiari dei privilegi estesi ai missionari – e, infine, i “Tertiary Hairy Men”, coloro cioè che avevano beneficiato dell’uso dei beni stranieri. Nel gennaio del 1900 l’imperatrice Cixi, sapendo che apparire ostili al movimento popolare sarebbe stato pericoloso, emise un editto in cui invitava i funzionari e i goverantori locali delle Province a distinguere tra banditi e cittadini rispettosi della legge che praticavano arti marziali per difendersi. Fu a giugno che i gruppi si organizzarono in maniera compatta contro la presenza straniera a Pechino, tanto che la Gran Bretagna inviò duemila uomini per proteggere le legazioni straniere di Pechino e, di lì a poco, i Boxer tagliarono la linea ferroviaria Pechino–Tianjin costringendo la truppa dei duemila a ritirarsi.

Il 21 giugno 1900 l’imperatrice Cixi, che fino ad allora aveva mantenuto un atteggiamento ambiguo verso le potenze straniere, decise di schierarsi a favore del movimento mediante un editto che coincise con una vera e propria “dichiarazione di guerra” basata sull’affermazione che la colpa dei disordini avvenuti tra Pechino e Tianjin era imputabile agli stranieri. Il massacro dei cristiani, presi ad emblema della presenza straniera, complice l’appoggio dei funzionari locali forti dell’editto imperiale, partì dallo Shandong e si diffuse poi in altre province. Quelle settentrionali furono maggiormente interessate dalle ondate rivoltose mentre al sud, grazie agli accordi tra autorità cinesi e consoli stranieri, si riuscì a contenere la ribellione e mantenere più ordine.

I missionari costituiscono la percentuale più alta tra i 250 stranieri uccisi, e circa 18.000 cristiani cinesi morirono per mano dei rivoltosi. Nell’ottobre 1899 i venti di protesta erano ormai giunti anche in Hunan. In una lettera del 12 ottobre, infatti, Fantosati avvertiva Propaganda Fide che, malgrado la soddisfazione per il miglioramento dell’amministrazione spirituale nell’anno 1898–1899, si erano verificati episodi di persecuzione a danno di una comunità locale che avevano portato alla distruzione della chiesa con la residenza dei missionari “in poche ore”.

Fantosati morì durante la rivolta xenofoba associata ai disordini della rivolta dei Boxer che interessò anche l’Hunan nel mese di luglio. Il giorno 7 luglio, di rientro da una visita presso la comunità di Leyang, approdò sulle sponde del fiume Xiang, presso Hengzhou, insieme al compagno di missione p. Giuseppe Maria Gambaro. Entrambi, riconosciuti dai rivoltosi che si trovavano nel luogo e che avevano già incendiato le chiese e le residenze della comunità cristiana del luogo, colpirono a morte il Vescovo e il missionario, che morirono impalati. Come lui, altri missionari morirono nelle stesse circostanze nello Shanxi; tra questi, sr. Maria della Pace, in modo speciale legata a Fantosati poiché appartenente alla diocesi umbra di Orvieto.

Una foto scattata 7 mesi dopo l’uccisione dei missionari e conservata presso l’Archivio storico del Convento S. Antonio di Marghera, ritrae la cerimonia di commemorazione della morte del Vescovo Fantosati e del compagno di missione Gambaro nel luogo dell’uccisione e riporta la seguente dicitura:  “Hic in litore fluminis Ill.mus D.D. Ant. Fantosati Ep. Vic. Ap. Hunanensis martyrio coronatus est una cum P. Joseph Gambarus, ofm die 7 Julii 1900. Eodem in loco, aere publico, consurget monumentum ad honorem martyrum. Mense Feb. 1901, magnus efferatu, ac ingenti mandarinorum, militum, christianumque comitatus caterva, rev.mus P. Quirinus Henfling Administri Ap. locum recognovit, duasque cruces erexit“.

L’unica reliquia del corpo di Fantosati, portata in Italia dal francescano Gabriele Allegra (beatificato da papa Benedetto XVI nel 2012) negli anni ‘50 e conservata gelosamente tra Trevi e Assisi, esposta in diverse occasioni per la venerazione popolare, è uno scrigno argentato che racchiude un ossicino del frate incastonato tra il corallo e la palma argentata della sua vittoria, il martirio. La comunità trevana, specialmente fervente nella devozione a sant’Antonino Fantosati, non smette di celebrarne la festa nella ricorrenza del martirio, il 7 luglio, ogni anno, grazie anche ai bambini della parrocchia che amorosamente guidati dai compaesani propongono nella recita le gesta del grande Vescovo umbro in terra cinese: sono segno vivo di una fede che non muore, con una gratitudine speciale a questo martire contemporaneo. Grazie Antonino!

In MISSIONE CINA, di Erica Cecchetti
dal n. 4/2020 della Rivista Porziuncola



Antonino Fantosati Cina Martiri Rivista Porziuncola

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