«Quando si ama si può anche esagerare!», esclamò il frate che faceva da guida ad alcune persone che stavano leggendo questa scritta sul portone di accesso alla Verna. Non sono molti a vederla, dato che attualmente quasi tutti arrivano in macchina dall’altro lato del convento, ma un tempo, anche se era esagerato il suo contenuto, doveva suonare bella e consolante a chi, frate o pellegrino, arrivava in cima al “crudo sasso intra Tevere et Arno”, dopo aver morso la fatica dell’ultima rampa dalla Cappella degli Uccelli.
Il rustico sedile sotto l’androne era ben meritato riposo, mentre lo sguardo intravedeva il Piazzale (Quadrante) e la chiesina di Santa Maria degli Angeli attraverso il portone incorniciato da quella scritta. Si stava per entrare in uno degli «alti luoghi dello Spirito» (Paolo VI).
Montagna a sé
Il monte della Verna appare, dalle valli del Tevere e dell’Arno, come qualcosa di separato. L’Appennino lo circonda delle sue vallate, ma non riesce a motivarlo nelle sue forme e nelle sue componenti. È lì, resto di una emersione preistorica … esposto al vento come una nave incagliata.
I millenni lo hanno coperto di una splendida foresta, più di sette secoli di storia hanno incastonato fra le sue rocce grigie e il verde vivo una ruvida architettura che fa da robusto scrigno a tesori spirituali e opere d’arte.
Il tesoro del settembre 1224
Mancavano due anni alla morte di Francesco d’Assisi. La sua avventura decisiva era iniziata venti anni prima, quando egli aveva ventitré-ventiquattro anni. Una sorpresa di Dio, che egli ricorderà nel Testamento, come una serie ininterrotta di doni. Tutti belli, tutti difficili e costosi come il tesoro evangelico. E Francesco, passo dopo passo, luce dopo luce, si era fatto condurre da questi doni: i lebbrosi, i frati, la Chiesa …
Non si era tenuto nulla per sé.
Il 29 novembre 1223 Papa Onorio, nel suo Palazzo del Laterano, aveva posto la bolla di approvazione alla Regola che gli era davvero costata l’anima. Così anche i suoi frati non erano più suoi. Gli restava solo la sua eredità, il suo Signore che aveva ricominciato a fargli percorrere la via povera dell’Incarnazione.
Greccio, col suo Natale, è passato da nove mesi: «Andiamo alla Verna, per fare la Quaresima che va dall’Assunta (15 agosto) a San Michele (29 settembre)!». Con lui è frate Leone e qualche altro di quei frati che volevano vivere negli eremi.
Ma non è l’eremo il suo obiettivo, vuole andare oltre e, superato l’orrido anfratto del Sasso Spicco, si ferma là verso occidente, dove nessuno deve recarsi da lui, nemmeno per pregare. Come aquila ferita, cerca il punto più alto per farsi curare dai raggi puri del suo Sole. Si sa poco di quelle notti e di quei giorni. La curiosità “spirituale” di frate Leone riuscì, una volta, a vedere qualcosa … ma non capì.
Francesco “sentì” il suo sguardo e il rumore dei rami secchi che si spezzavano sotto i suoi passi furtivi e il caritatevole rimprovero divenne rivelazione. Tra lui e il suo Signore si parlava di tesori, delle realtà preziose dell’amore. Francesco le aveva in sé e non ci credeva. Continuava, povero, a chiedere, specchiandosi nella luce: «Chi sei tu, o Altissimo Iddio mio? Chi sono io, verme e disutile servo tuo?».
Verso la festa dell’Esaltazione della Croce (14 settembre), la meditazione del Crocifisso aveva fatto alzare il tono delle sue domande: «due grazie ti prego che tu mi faccia … Entrare nel dolore col quale tu, mio Signore, mi hai amato … Avere un po’ del tuo amore per essere in grado di sostenere quel dolore!».
E l’Amico venne, una notte, da Oriente, splendente, gioioso e ferito e lo abbracciò, segnandolo con le sue stesse ferite, Le Stimmate furono il “sigillo” che le sue membra portarono per due anni. È il dono-tesoro del settembre 1224, l’amore che conferma l’amato all’amante. Francesco, custode trepido di questo dono, è il Gonfaloniere di Cristo povero e crocifisso.
L’avventura umana di 20 anni di sequela aveva toccato il culmine; l’amore ferito che gli si era stampato nel cuore davanti ai Crocifissi bizantini delle chiesette attorno ad Assisi, fioriva lassù, sulle rocce a strapiombo, nell’immensa cattedrale del mondo … Cinque splendide ferite d’amore che gli consumeranno pian piano quel poco di salute che gli era rimasta.
Nella storia del Cristianesimo era la prima volta che accadeva un evento del genere. Egli fece di tutto per tenerlo nascosto. Solo pochi intimi poterono rendersene conto prima della sua morte. E anche dopo non fu facile a tutti credere a questo fatto inaudito.
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