Frate Francesco, come narra il suo primo biografo, Tommaso da Celano, circa quindici giorni prima del Natale del 1223, fece chiamare un uomo molto pio e gli disse: «Se vuoi che celebriamo a Greccio l’imminente festa del Signore, precedimi e prepara quanto ti dico: vorrei fare memoria di quel Bambino che è nato a Betlemme, e in qualche modo intravedere con gli occhi del corpo i disagi in cui si è trovato per mancanza delle cose necessarie a un neonato; come fu adagiato in una mangiatoia e come giaceva sul fieno tra il bue e l’asinello».
Perché voleva vedere con gli occhi del corpo? Non gli bastava ascoltare ciò che la parola di Dio narrava della nascita di Gesù a Betlemme? Non gli bastava contemplare con gli occhi della fede, con lo sguardo interiore, il grande mistero della venuta del Redentore nell’umiltà della natura umana? No! Frate Francesco voleva vedere con gli occhi del corpo.
Prima di lui, circa 1220 anni prima, alcuni pastori, poveri rozzi e sudici uomini che vegliavano di notte il loro gregge, avevano udito da un angelo del Signore l’annunzio di una grande gioia per tutto il popolo: «Oggi, nella città di Davide, è nato per noi un salvatore, che è Cristo Signore». Neppure loro si accontentarono di ascoltare, e neppure di udire una schiera di angeli che lodava Dio e diceva: «Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini, che egli ama».
Infatti dissero: «Andiamo fino a Betlemme, vediamo questo avvenimento che il Signore ci ha fatto conoscere». Allora «andarono senza indugio e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino adagiato nella mangiatoia (in latino praesepe)» (Lc 2, 8-16) Francesco non era tra quei fortunati pastori che trovarono e videro Maria, Giuseppe e il Bambino. Ed è probabile che sentisse una santa invidia per loro. Ma pensò di rimediare al mancato incontro a Betlemme, facendo riprodurre a Greccio la scena della natività di Gesù, con animali e persone del luogo.
Del resto il suo desiderio era giustificato, perché Dio, nell’incarnazione del Figlio, si era reso visibile agli occhi degli uomini. L’Antico Testamento aveva proibito di rappresentare Dio con immagini, perché nessuna creatura è simile a lui. Egli trascende tutte le cose, le quali portano di lui solo una traccia. Dio però ha voluto presentarsi con un volto umano agli uomini chiamati ad essere suoi figli nel suo Figlio diletto. Gesù è diventato per noi «immagine del Dio invisibile» (Col 1, 15).
Dirà a Filippo: «Chi ha visto me, ha visto il Padre» (Gv 14, 9). Non perché Dio abbia le fattezze di un uomo, ma sul volto del Figlio fatto uomo ha voluto manifestare la sua benignità e bontà e misericordia, il suo amore inconcepibile per noi. Con la natività allora, il Figlio eterno del Padre si è mostrato ai nostri occhi. Nascendo nel mondo, si è reso visibile rischiarando la più santa delle notti, si è reso visibile nel paesaggio di Betlemme, si è reso visibile a Maria, a Giuseppe, ai pastori, alla gente del luogo. Tutto questo voleva rivedere frate Francesco.
Perché, proprio come dice la liturgia natalizia, «Gesù, Verbo invisibile, apparve visibilmente nella nostra carne». E noi, «conoscendo Dio visibilmente, per mezzo suo siamo rapiti all’amore delle cose invisibili». Francesco era innamorato dell’umiltà e della povertà di Cristo. Per questo volle vedere il Re del cielo che si fa bambino umile e povero e viene adagiato in una mangiatoia.
Che cosa c’è di più inerme, indifeso, più dipendente di un bambino? Quale culla è più povera di una mangiatoia? Il fraticello di Assisi aveva compreso che l’amore più vero è quello che non cerca nulla per sé, e sa farsi umile e povero per la persona amata. Ha nel cuore le parole di san Paolo: «Conoscete infatti la grazia del Signore nostro Gesù Cristo: da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà» (2Cor 8, 9).
L’esempio di Francesco è stato tra i più contagiosi per il mondo cristiano. Dopo di lui nelle chiese, nelle case, in tanti altri luoghi, si è rappresentata la natività di Gesù. Grandi pittori l’hanno raffigurata in celebri tele ed affreschi. Parroci, frati, suore, uomini e donne, a volte con sorprendente ingegno, si sono dati e si danno da fare per riprodurre nei presepi l’evento di Betlemme rievocato a Greccio. Bambini ricostruiscono con ingenua fantasia la nascita di Gesù, più vicino a loro per età.
Insieme ai personaggi essenziali, Gesù, Maria e Giuseppe, la fantasia colloca persone di ogni condizione, dagli immancabili pastori con le loro pecore, ai contadini, alle donne di casa, agli artigiani di ogni mestiere. I vari paesaggi si rivestono di fonti e ruscelli, di paesi, di case, di piazze. Il cielo si popola di angeli e si riveste della luce delle stelle, della luna e del sole. Alle imitazioni della vita del passato si uniscono scene del presente. Insomma tutto sembra rivivere, animarsi, in un clima di letizia e di pace.
Ogni popolo, di tutti i continenti, rappresenta la natività di Gesù come fosse nato nel loro paese, con le fattezze della loro gente e i costumi della loro terra. Hanno ragione di farlo, perché egli è venuto per incarnarsi in ogni uomo, per salvare tutto il mondo. Ed è venuto oggi, come canta la liturgia nell’introito della messa della notte di Natale: «Rallegriamoci tutti nel Signore, perché è nato nel mondo il Salvatore. Oggi la vera pace è scesa a noi dal cielo».
Figlio di Dio Greccio Incarnazione Presepe
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