È la primavera dell’anno del Signore 1226, Francesco d’Assisi si trova a Siena «per la cura degli occhi» (Vita prima di Tommaso da Celano, 105), ma in quel luogo si aggravano a tal punto le sue condizioni di salute tanto da far presagire come imminente la morte. I compagni presenti, allora, lo supplicano: «Padre, che faremo? Benedici noi e gli altri tuoi frati. E lascia inoltre ai tuoi frati un qualche ricordo della tua volontà» (Compilatio Assisiensis, 59). Dopo aver benedetto tutti i frati che sono e che entreranno nell’Ordine, Francesco lascia tre parole come testamento: «Sempre si amino reciprocamente e osservino la nostra signora santa povertà, e sempre siano fedeli e soggetti ai prelati e a tutti i chierici della santa madre Chiesa» (Ibidem).
«Che si amino reciprocamente»: la prima preoccupazione di Francesco è alla qualità della vita fraterna. Eco manifesta del testamento spirituale di Gesù ai discepoli (Gv 15,12), l’esortazione dell’Assisiate mette a fuoco la centralità dell’amore fraterno quale tratto connotativo della fraternità minoritica. Tutte le volte in cui Francesco impiega nei suoi scritti il termine fraternitas lo fa per designare l’insieme dei frati concreti e specifici, per indicare cioè, prima di tutto, lo spazio in cui si vive e ci si ama da fratelli, e solo in secondo luogo, un ambito gerarchizzato e strutturato in cui c’è qualcuno che “comanda” e qualcuno che “obbedisce”. Un testo emblematico, che riassume mirabilmente i lineamenti della fraternità minoritica è quello contenuto in Regola bollata (Rb) VI: «E ovunque sono e si incontreranno i frati, si mostrino tra loro familiari l’uno con l’altro. E ciascuno manifesti all’altro con sicurezza le sue necessità, poiché se la madre nutre e ama il suo figlio carnale, quanto più premurosamente uno deve amare e nutrire il suo fratello spirituale? E se qualcuno di essi cadrà malato, gli altri lo devono servire così come vorrebbero essere serviti essi stessi».
È la figura della famiglia a ispirare Francesco per esporre le sue idee sulla fraternità. L’espressione «fa- miliari» (domesticos) evoca il tema paolino della Chiesa come famiglia spirituale e casa di Dio (Ef 2,19-22), ma in questo caso il linguaggio della Regola sembra insistere più su un tipo di relazioni interpersonali guidate dal principio dell’uguaglianza e della reciprocità, tema peraltro suffragato dal ripetersi delle espressioni «tra loro» e «l’uno con l’altro». Questa familiarità nelle relazioni primarie tra i frati, lungi dal ridursi alla semplice sfera psicologica o emotiva, si manifesta in alcuni atteggiamenti concreti che Francesco aveva già nel 1221 espresso in Regola non bollata (Rnb) VII: «E dovunque sono i frati e in qualunque luogo si incontreranno, debbano rivedersi con occhio spirituale e con amore e onorarsi a vicenda senza mormorazione». Una fraternità, quindi, che si esplicita nel guardarsi con amorevolezza, nell’onorarsi a vicenda, nel fuggire il male della mormorazione. «E ciascuno manifesti all’altro con sicurezza le sue necessità», prosegue Francesco, cioè ciascuno apra il cuore al fratello senza timore di disprezzo, con la sicurezza di non essere tradito. Quando si apre il cuore per manifestare la propria necessità, la fiducia tocca le fibre più sensibili della propria intimità, perché si ricorre al fratello nella condizione di povero e si mettono allo scoperto i propri limiti e le proprie debolezze. Questa familiarità nelle relazioni fraterne viene, quindi, espressa dall’Assisiate, attraverso l’impiego dell’immagine della madre che ha cura del figlio. La carica affettiva presente nel termine «madre» è arricchita da due verbi: «nutrire» e «amare». Il primo si riferisce alla cura del corpo derivante dall’atto di alimentare; il secondo (espresso nella forma latina dal verbo diligo, che letteralmente significa “amare selettivamente”, con predilezione), fa riferimento a quella cura spirituale del fratello che discende dalla carità. Ecco che allora, la fraternità intesa come familiarità si concretizza in quella cura materna capace di coniugare in maniera armonica e integrale la dimensione corporale e quella spirituale del fratello, anche quando questi si trova a vivere l’esperienza della malattia. Attraverso l’impiego della «regola d’oro» evangelica, Francesco invita la fraternità a disporsi in atteggiamento di servizio nei confronti del malato, secondo un principio in base al quale il più povero è colui che sta più in alto all’interno della fraternità.
Tale principio sarà riproposto da Francesco anche quando la fraternità conoscerà l’esperienza dolorosa del peccato grave di uno dei suoi frati. In tal caso, afferma Rb VII, proprio il colpevole dovrà presentarsi senza indugio, con fiducia, al suo ministro provinciale, e questi, qualora sia sacerdote, dovrà unicamente imporre una penitenza con misericordia. Viene declinato alla materia penale quanto è contenuto in Rb X, in quel passaggio in cui Francesco delinea l’atteggiamento che i ministri sono chiamati a tenere nei confronti di quei frati che si rivolgono loro per manifestare le proprie difficoltà: «I ministri li accolgano con carità e benevolenza e usino nei loro confronti tanta familiarità, che quelli possano parlare con loro e fare come i padroni con i loro servi; infatti, così deve essere, che i ministri siano i servi di tutti i frati». In questa famiglia in cui “comandano” i più bisognosi, l’atteggiamento di tutti i frati nei confronti di chi ha peccato, deve ugualmente uniformarsi al principio della misericordia, evitando quell’ira e quel turbamento per il peccato altrui che sono un reale e mortale impedimento alla carità fraterna. La fraternità concepita da Francesco diviene allora quello spazio concreto in cui le relazioni tra i frati, sia quelle paritarie che quelle tra superiore e subordinato, sono permeate dalla misericordia. Ce ne viene dato da Francesco uno spaccato tenerissimo nella Epistola a un ministro, in quei passaggi in cui, riferendosi al ministro, afferma: «Che non ci sia mai alcun frate al mondo, che abbia peccato quanto poteva peccare, il quale, dopo aver visto i tuoi occhi, non torni via senza il tuo perdono misericordioso […] E se, in seguito, mille volte peccasse davanti ai tuoi occhi, amalo più di me per questo: che tu possa attirarlo al Signore; e abbi sempre misericordia di tali fratelli»; e riferendosi a tutti i frati, prosegue: «E tutti i frati, che fossero a conoscenza del suo peccato, non gli facciano vergogna né dicano male di lui, ma abbiano grande misericordia verso di lui e tengano assai segreto il peccato del loro fratello, perché non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati».
Così come in una famiglia è il più debole e bisognoso a ricevere maggiore cura, allo stesso modo all’interno della fraternità minoritica sono le necessità dei più bisognosi a ricevere più attenzione. Il premuroso servizio che va reso ai fratelli ammalati prevede persino vere e proprie deroghe anche in materia di povertà, uno dei tratti costitutivi della fraternità minoritica. Solo per loro il criterio rigido del sine proprio lascia spazio al criterio più morbido della necessità: «Tuttavia, per le necessità degli infermi e per vestire gli altri frati, i ministri, ed essi soltanto, per mezzo di amici spirituali, si prendano sollecita cura» (Rb IV).
Alla stregua di ogni famiglia, anche nella fraternitas dei Minori la via ordinaria per il sostentamento dei frati è il lavoro a fronte del quale, però, non esiste proprietà privata perché il salario viene messo in comune, per le necessità proprie e dei fratelli. La fraternità, quindi, è una famiglia nella quale il lavo- ro va compiuto in spirito fraterno, facendo attenzione che chi lavora lo faccia in nome degli Che si amino reciprocamente altri e avendo cura delle altrui necessità, non prioritariamente delle proprie, «come conviene a servi di Dio e seguaci della santissima povertà».
Ecco allora delinearsi i tratti di quella fraternità francescana caratterizzata dallo stile dell’amore fraterno, dalla fiduciosa familiarità nelle relazioni, dalla cura materna e misericordiosa, specialmente nei confronti dei fratelli malati nel corpo e nello spirito, da una laboriosità che ha sempre per fine il bene e le necessità dell’altro. Uno spazio concreto costituito da uomini concreti dove la misura per tutti è data dalla debolezza del fratello più povero.
In FRANCESCANE COSE, a cura di Simone Ceccobao
dal n. 1/2018 della Rivista Porziuncola
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