Il Cantico delle creature di Francesco di Assisi è conosciuto non solo per la sua bellezza letteraria ma anche per l’opportunità che offre di conoscere l’animo ecologico del Santo, il quale, di fronte al mondo creato, assume un atteggiamento di lode dell’”Altissimo e onnipotente bon Signore” di cui tutte le creature “portano significazione”. Tuttavia il testo non ci permette di sapere quali effettive conseguenze questo sentimento di lode abbia prodotto nel modo di agire concreto di Francesco. Per essere aiutati in questo secondo versante della questione ecologica, cioè per gettare luce sul rapporto fattivo di Francesco con l’ambiente, possiamo appoggiarci alle narrazioni agiografiche.
Tralasciando la problematicità di queste fonti, mi limiterò a un doppio episodio narrato con dovizia di particolari da Tommaso da Celano nella sua Vita del beato Francesco (opera conosciuta anche come Vita prima). In essa, ai numeri 77-79, l’agiografo, riprendendo in qualche modo quanto già detto sull’amore di Francesco verso le creature, ai numeri 58-61 e anticipando quanto riproporrà ai numeri 80-81, narra due episodi molto simili, avvenuti quando Francesco, accompagnato dal provinciale frate Paolo, era nella Marca di Ancona, dove intervenne in favore prima di una pecorella minacciata da altri caproni (77-78) e poi di due agnellini che venivano portati al mercato (79). Per avere la chiave di lettura delle due vicende occorre riascoltare innanzitutto la premessa con la quale Tommaso apre i racconti: “Ridondava di spirito di carità, assumendo viscere di misericordia non solo verso gli uomini provati dal bisogno, ma anche verso gli animali bruti senza favella, i rettili, gli uccelli e tutte le creature sensibili e insensibili” (1Cel 77: FF 455).
Insomma, la premessa è chiara: la cura con cui intervenne a favore della pecorella e dei due agnellini era il frutto diretto delle “viscere di misericordia” che muoveva il Santo nei confronti dei più deboli e indifesi; e tra di essi gli agnelli occupavano una posizione speciale perché “nella Scrittura Gesù Cristo, per la sua umiltà, è paragonato spesso e a ragione all’agnello” (ivi). I due episodi, oltre a mostrare quanto concreto fosse in Francesco lo sguardo ecologico, evidenziano a mio avviso tre atteggiamenti essenziali che dovrebbe possedere ognuno animato da una seria responsabilità ecologica. Senza poter effettuare un’accura analisi dei racconti, ci limitiamo a sottolineare i tre aspetti della “cura e salvaguardia del creato” sentita e vissuta da Francesco come “fratello maggiore” a vantaggio dei suoi “fratelli minori”.
Il presupposto di partenza delle due storie tocca la sensibilità umana di Francesco che “si accorge” delle situazioni a rischio che stavano correndo sia la pecorella, sola in mezzo ad un gregge di montoni, sia i due agnelli che, penzolanti da un palo, venivano portati al macello dal loro padrone. Le sue “viscere di misericordia” gli donavano occhi capaci di “vedere” le difficili situazioni ambientali vissute da quelle creature e “fermarsi” per prendersene cura. Nell’episodio della pecorella l’agiografo racconta che “appena la vide, il beato Francesco si fermò” (1Cel 77: FF 456). Altrettanto avvenne per i due agnellini: “all’udire quei belati, il beato Francesco, vivamente commosso si accostò accarezzandoli come suol fare una madre con i figlioletti” (1Cel 79: FF 457). Senza questa attenzione e compassione non sarebbero avvenute le due storie: le viscere di misericordia hanno dato a Francesco un cuore capace di lodare e cantare la bellezza del mondo ma anche di accorgersi e coinvolgersi con la sofferenza e l’ingiustizia che a volte è presente in esso.
È interessante il fatto poi che, nel caso della pecorella posta tra i caproni, Francesco aiuta fra Paolo, il suo accompagnatore, ad entrare nella stessa coscienza ecologica, facendogli notare come essa si trovasse nella stessa situazione di Gesù tra i sacerdoti del tempio. Francesco divenne in questo modo educatore ecologico: infatti alle parole “di pietà” del Santo anche fra Paolo “cominciò a sentire commozione” (1Cel 78: FF 456). Se però questo sentimento di solidarietà non fosse diventato anche decisione operativa, si sarebbe trasformato in puro pietismo sentimentale.
Il centro del racconto è occupato proprio da questo secondo aspetto della coscienza ecologica di Francesco, che interviene concretamente per riscattare quegli animali. Non può non colpire il fatto che quell’uomo che aveva scelto la povertà assoluta, non abbia avuto difficoltà a “maneggiare” denaro pur di salvare quelle creature in difficoltà. Per la pecorella, non avendo nulla da dare al proprietario, Francesco ebbe l’aiuto di un ricco mercante che “offrì loro il prezzo considerato” (1Cel 78: FF 456). Nel caso dei due agnellini, che venivano portati dal contadino “penzolanti e legati sulla spalla”, cede invece al proprietario il suo mantello che “l’aveva ricevuto in prestito da un uomo proprio quel giorno per ripararsi dal freddo” (1Cel 79: FF 457). Insomma la compassione non basta se non è accompagnata da un impegno fattivo e “costoso”, con il quale intervenire nella situazione, coinvolgendosi in prima persona e pagando di tasca propria. La liberazione degli animali non avvenne cioè grazie ad una predica fatta da Francesco, con la quale convincere i proprietari ad avere sentimenti di compassione nei confronti di quegli animali indifesi, ma attraverso un’operazione economica costosa e impegnativa, con la quale di fatto il Santo verificò quanto le sue “viscere di misericordia” fossero ben più che un sentimentalismo o un buonismo ecologico, ma una convinta e determinata disponibilità ad intervenire e cambiare la situazione.
Il terzo elemento delle due narrazioni da mettere in evidenza è la loro conclusione, nella quale gli animali vennero consegnati alla cura di qualcuno: nel primo caso alle donne religiose che vivevano a Colpersito, un luogo accanto alla città di San Severino, e nel secondo allo stesso contadino. Partiamo da quanto narrato in questo secondo episodio. Le parole con cui Francesco affida allo stesso proprietario i due agnellini riscattati dalla loro sorte di morte, possono essere assunte come programma ecologista di cura amorosa per il creato: “Di mantenerli, nutrirli e custodirli con amore” (1Cel 79: FF 457). La conclusione dell’altra storia, quella della pecorella, pur essendo simile nell’affidamento finale, contiene qualcosa di ulteriore, relativamente ai frutti che sgorgano da quella consegna, accolta da qualcuno con amore e attenzione; infatti le sorelle, dopo aver ricevuto la pecorella come dono di Dio ne ebbero amorosa cura per lungo tempo, e poi con la sua lana tesserono una tonaca che mandarono al beato padre Francesco mentre teneva un capitolo alla Porziuncola. Il santo l’accolse con devozione e festosamente si stringeva la tonaca al cuore e la baciava, invitando tutti ad allietarsi con lui (1Cel 78: FF 458).
La cura del creato, in particolare delle parti più fragili e vulnerabili, non deve essere mossa solo da un principio di rispetto e di giustizia da riconoscere al mondo creato, ma anche da un’altra consapevolezza: l’ecologia avvantaggia sia la qualità della vita di tutti che la quantità del prodotto economico. E così una scelta ecologista, pur chiedendo un impegno a volte gravoso, ripaga in qualità e quantità. Per concludere questa breve lettura dei due episodi, mi sembra possibile porre in parallelo le loro dinamiche narrative con i tre momenti che caratterizzarono la storia del buon samaritano, quando dopo essersi fermato per compassione presso il malcapitato, si coinvolge in prima persona pagando per soccorrere il povero, fino ad affidarlo alle cure dell’altro. Il malcapitato che giaceva ai margini della strada potrebbe essere identificato con la creazione e in particolare con gli animali, bastonati e derubati dalla cupidigia dei nostri interessi economici: noi, come dei ladroni, stiamo rubando e consumando ogni risorsa della natura, lasciandola abbandonata e mezza morta. Non si può andare oltre senza accorgerci della sua grave condizione, perché in questo caso si parteciperebbe a quell’atto di violenza anche se non ne siamo i diretti colpevoli.
Occorre fermarsi e coinvolgersi in quel recupero, ognuno secondo le proprie possibilità e pagando di persona con scelte non solo di generosità ma anche di giustizia nei confronti del creato e degli animali; oltre tutto con la cura che avremo per sorella natura potremmo non solo guarire la sua condizione malata, ma anche rendere fraterno il rapporto con il mondo, facendone uno spazio di vita con una qualità più sostenibile e umana, e dunque con vantaggi duraturi per tutti. Ad ognuno di noi viene chiesto di avere “viscere di misericordia” per il nostro ambiente, diventando per esso non solo il samaritano che si accorge, si ferma e se ne prende carico, ma anche l’albergatore a cui fu detto: “prenditi cura di lui fino al mio ritorno”. Perché quando Lui ritornerà, ci chiederà conto di come abbiamo trattato le nostre sorelle creature: se cioè con viscere di misericordia o con un cuore predatorio attento solo al proprio guadagno.
di Pietro Maranesi
dal n. 97 di San Bonaventura informa
Ambiente Ecologia Fonti Francescane Pietro Maranesi San Bonaventura informa San Francesco
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