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Martirio vuol dire testimonianza e, al tempo stesso, dimostrazione assoluta di amore 08 Giu 2020

La sapienza dei Protomartiri francescani illustrata da Paolo VI

Per una felice coincidenza nell’ottavo Centenario della morte dei cinque frati Minori uccisi in Marocco nel 1220 ricorre il cinquantesimo anniversario della canonizzazione dei frati Minori Nicola Tavelić, Deodato da Rodez, Stefano da Cuneo e Pietro da Narbonne che sono i Protomartiri della Custodia di Terra Santa. Nel 1970 in occasione del riconoscimento canonico della santità di quest’ultimi san Paolo VI nell’omelia affrontò le domande e dubbi che sorgono dalla loro vicenda e fece alcune considerazioni valide anche per Protomartiri francescani.

[…] Narra la storia che Nicola Tavelić ed i suoi compagni furono martiri volontari, i quali, più che subire l’orrendo supplizio a loro inflitto, ad esso si esposero. Siamo a Gerusalemme, al tempo dell’occupazione musulmana, in un periodo di relativa tregua, se allora i Francescani potevano risiedere nella città. I quattro Frati, protagonisti della tragica avventura missionaria, sono mossi da una duplice intenzione: quella di predicare la Fede cristiana confutando coraggiosamente, non certo forse cautamente e saggiamente, la religione di Maometto; e quella di sfidare e provocare il rischio del sacrificio della loro vita. È vero martirio? […]

Martirio, come si sa, vuol dire testimonianza, cioè affermazione soggettiva e oggettiva della fede. Soggettiva, perché con essa il martire attesta la convinzione sua propria, che s’identifica con la sua stessa personalità, della certezza ch’egli possiede, e che non può in alcun modo tradire; e oggettiva, perché con tale affermazione il martire vuole annunciare Cristo, vuole provare che Cristo è la verità, e che questa verità vale più della propria vita; è al vertice di ciò che è, e di ciò che preme, di ciò che salva. Diventa così motivo di credibilità. Acquista fecondità missionaria: Semen est sanguis christianorum.

Martirio, al tempo stesso, è una dimostrazione assoluta di amore. Gesù l’ha detto: «Non vi è amore maggiore di quello per cui uno offre la propria vita per coloro ch’egli ama». […] La storia diventa maestra. Pone un confronto fra queste lontane figure di frati idealisti, imprudenti, ma esaltati da un amore positivo e trascinante verso Cristo e persuasi della necessità missionaria propria della fede: martiri. E la nostra mentalità moderna, che nasconde sotto un mantello di evoluto scetticismo, una comoda e transigente viltà, e che, priva di principi superiori ed interiori, trova logico il conformismo alle idee correnti, alla psicologia risultante da un’alienazione collettiva alla ricerca e al servizio dei soli beni temporali.

Sorge in noi un certo sentimento di disagio: noi ci sentiamo al tempo stesso distanti da quei campioni della fede, ma insieme avvertiamo, per tante ragioni, che essi ci sono vicini. Essi non sono figure anacronistiche e per noi irreali: essi anzi troppo ci dicono, e quasi ci rimproverano la nostra incertezza, la nostra facile volubilità, il nostro relativismo, che talora preferisce alla fede la moda. Lontani e vicini essi sono pur nostri, e ci ammoniscono e ci esortano, a noi pare, con parole simili a quelle che Noi, non molti giorni or sono, proferimmo: bisogna avere il coraggio della verità! il coraggio cristiano.

Ed un secondo sentimento succede al primo con una domanda imbarazzante: ma allora dobbiamo inasprire i dissensi con la società che ci circonda, e aggredirla con polemiche e con contestazioni, che rompono i nostri rapporti col nostro tempo e che accrescono le difficoltà della nostra presenza apostolica nel mondo? È questo l’esempio che dobbiamo raccogliere da questi valorosi oggi canonizzati Santi? No; noi non crediamo. A ben leggere nella loro storia e soprattutto nei loro animi, noi vediamo che non è uno spirito d’inimicizia che li spinse al martirio, ma piuttosto di amore, di ingenuo amore, se volete, e di folle speranza; un calcolo sbagliato, ma sbagliato per desiderio di giovare e di condurre a salvamento spirituale quelli stessi che essi provocarono a infliggere loro la terribile repressione del martirio.

Questo è importante. È importante per il mondo della nostra così detta civiltà occidentale; il Concilio ce lo insegna. Ed è importante anche per quel mondo islamico nel quale si svolse e si consumò la tragedia di S. Nicola Tavelić e dei suoi Compagni: essi non odiavano il mondo musulmano; anzi, a loro modo, lo amavano. E certo lo amano ancora, e quasi personificano nella loro storia l’anelito cristiano verso il mondo islamico stesso, che la storia dei nostri giorni ci fa sempre meglio conoscere, fortificando la speranza di migliori rapporti fra la Chiesa cattolica e l’Islam: non ci ha esortato il Concilio «a dimenticare il passato e a esercitare sinceramente la mutua comprensione, non che a difendere e a promuovere insieme, per tutti gli uomini, la giustizia sociale, i valori morali, la pace e la libertà»? (Nostra aetate, 3).

Sono sentimenti questi che ci inducono a celebrare il Signore nei nuovi Santi, a ispirare la nostra vita al loro esempio, a invocare per la Chiesa, […] per tutta la famiglia francescana, e per il mondo intero la loro celeste protezione.

Circa i Protomartiri della Custodia di Terra Santa cfr. A. Ghinato, Fiamme a Gerusalemme. Vita e Martirio di s. Nicolò Tavelić e Compagni Francescani della Custodia di Terra Santa, Roma 1970.   



Martiri Pietro Messa Protomartiri francescani

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